Migranti

Passa il piano Ruanda, ma le critiche restano

Le Nazioni Unite e il Consiglio d’Europa chiedono a Londra di abbandonare il controverso disegno di legge che prevede il trasferimento nel Paese africano di una quota di richiedenti l’asilo entrati illegalmente - Paola Gaeta: «Per il diritto internazionale si dovrà capire se è un approdo sicuro»
©TOBY MELVILLE
Francesco Pellegrinelli
23.04.2024 22:30

Dopo il via libera definitivo del Parlamento di Westminster al «Ruanda Bill», il controverso disegno di legge che prevede l’espulsione in Ruanda dei richiedenti l’asilo entrati illegalmente nel Regno Unito, il Governo del conservatore Rishi Sunak procede spedito con la sua riforma, ignorando i veti incrociati e l’altolà delle organizzazioni internazionali che hanno criticato aspramente il piano.

Secondo il Guardian, che cita fonti del Ministero dell’interno, il Governo avrebbe già identificato un primo gruppo di immigrati con basse probabilità di vedere accolta la propria domanda di asilo nel Regno Unito: saranno probabilmente loro, quindi, i primi a essere trasferiti via aereo a Kigali.

«Stop the boat»

Il provvedimento - dopo un lungo processo di revisione e negoziazione tra le due Camere - ora attende l’approvazione formale da parte di re Carlo mediante il Royal Assent. Approvazione che dovrebbe giungere oggi. Dal canto suo, il premier Sunak ha affermato che i primi voli per l’Africa partiranno entro 10-12 settimane al più tardi.

«L’approvazione del disegno di legge non è solo un passo avanti, ma un cambiamento fondamentale nell’equazione globale sulla migrazione», ha dichiarato il premier britannico, il quale ha nuovamente difeso l’obiettivo dissuasivo della riforma. Non a caso uno degli slogan della sua recente campagna elettorale era proprio «Stop the boat», ossia «fermiamo i barconi». «La legge renderà evidente che chi arriva nel Paese in maniera illegale, non potrà rimanere», ha ribadito il primo ministro. Nel frattempo, anche il Governo di Kigali ha espresso la propria soddisfazione per l’approvazione della legge, e si è detto pronto ad accogliere i primi migranti in arrivo dal Regno Unito.

I veti incrociati

In realtà, le reazioni di contrarietà all’approvazione del disegno di legge non si sono fatte attendere. Per le Nazioni Unite, «il piano Ruanda minaccia lo stato di diritto e costituisce un pericoloso precedente a livello globale».

L’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, Volker Türk, e il suo omologo responsabile per i rifugiati, Filippo Grandi, hanno invitato il Governo di Sunak «a prendere misure pratiche per combattere i flussi irregolari di migranti sulla base della cooperazione internazionale e del rispetto del diritto internazionale dei diritti umani».

Non meno critica è stata la presa di posizione del Consiglio d’Europa che, a stretto giro di posta, ha chiesto al Regno Unito di abbandonare il controverso piano Ruanda: «L’adozione della legge da parte del Parlamento britannico solleva serie preoccupazioni sul rispetto dei diritti umani dei richiedenti asilo e solleva anche importanti interrogativi sullo stato di diritto in generale», ha affermato il commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa Michael O’Flaherty.

I rischi del rimpatrio

La legge votata dal Parlamento impone infatti di considerare il Ruanda come Paese «sicuro», indipendentemente da quanto avviene al suo interno. «Inoltre, proibisce esplicitamente ai Tribunali britannici di prendere in considerazione il rischio che il Ruanda invii le persone in altri Paesi; così come anche di valutare l’equità e l’efficacia delle procedure di asilo che il Paese africano metterà in atto», ha commentato l’alto funzionario, parlando senza giri di parole di una «legge che viola l’indipendenza della magistratura e il rispetto del diritto internazionale».

La Corte Suprema

Al controverso disegno di legge si è giunti dopo un iter piuttosto complesso che rende il voto in Parlamento ancora più controverso. Il primo volo che avrebbe dovuto trasportare i richiedenti l’asilo in Ruanda era infatti previsto il 14 giugno 2022. A causa di un ordine della Corte europea dei diritti dell’uomo, venne tuttavia bloccato all’ultimo minuto. La decisione diede luogo nel Paese una lunga vertenza legale terminata lo scorso novembre quando il Tribunale di ultima istanza del Regno Unito stabilì che il piano Ruanda era illegale. In quell’occasione, la Corte Suprema respinse il progetto di legge motivando la bocciatura con la mancanza di sicurezza nel Paese africano. Secondo la Corte era infatti altamente probabile che le autorità di Kigali avrebbero rimandato i migranti nel Paese di origine, violando in questo modo le leggi sui diritti umani ed esponendo i migranti coinvolti a grandi rischi.

Nonostante la battuta d’arresto impartita dalla Corte Suprema, il primo ministro - sentendo ormai ridursi il tempo a sua disposizione per attuare la riforma ritardata più volte - riannunciò l’intenzione di stipulare un nuovo trattato con il Ruanda e, parallelamente, di introdurre una legislazione d’emergenza che designasse il Ruanda come Paese sicuro, ignorando così il parere contrario emesso nella sentenza della Corte Suprema.

Di qui, appunto, la reazione critica del commissario del Consiglio d’Europa O’Flaherty: «Il Governo del Regno Unito dovrebbe astenersi dal trasferire le persone sulla base del piano Ruanda, la cui legge viola il principio dell’indipendenza della magistratura».

«Si dovrà capire se effettivamente è un Paese sicuro»

«Nessun tribunale internazionale ci fermerà». Con queste parole il premier conservatore Rishi Sunak, lunedì, durante un intervento televisivo, lanciava la volata finale alla discussione in Parlamento, sicuro che il nuovo disegno di legge avrebbe messo al riparo la riforma sulla migrazione da ogni futura contestazione legale. Quale effetto avrebbe, tuttavia, un ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo?

«La Corte europea dei diritti dell’uomo ha lo scopo di sorvegliare il rispetto, da parte degli Stati firmatari, delle disposizioni contenute nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU)», spiega al CdT Paola Gaeta docente di diritto internazionale all’Istituto di alti studi internazionali di Ginevra. «La Corte è quindi l’ultima istanza giudiziaria a cui ci si può rivolgere quando, a livello nazionale, si esauriscono tutte le vie legali disponibili». Un’eventuale sentenza della Corte di Strasburgo, tuttavia, non avrebbe alcun potere coercitivo sullo Stato raggiunto dalla decisione, spiega Gaeta: «La CEDU non ha l’autorità di rendere esecutive le sue sentenze nei paesi membri; il rispetto delle sue sentenze è basato principalmente sulla volontà politica e sull’adesione volontaria agli obblighi internazionali da parte degli Stati». Detto altrimenti, un’eventuale sentenza della Corte non avrebbe la «forza» di bloccare la legge Ruanda votata dal Regno Unito. «In caso di mancata esecuzione di una sentenza della CEDU, il sistema prevede che la questione venga portata davanti al Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa. Questo comitato è l’organo responsabile della supervisione dell’esecuzione delle sentenze della Corte. Una volta che la Corte ha emesso una sentenza e qualora quest’ultima non venga eseguita, il Comitato dei Ministri può richiedere di adottare misure specifiche per risolvere la violazione e prevenire futuri abusi». Ancora una volta - spiega però Gaeta - non vi è la possibilità di costringere uno Stato ad adempiere ai propri obblighi. «Questo non implica che tali decisioni siano prive di valore, poiché hanno impatti interni e influenzano il dibattito politico». Il punto cruciale riguardante la decisione sul «Ruanda Bill» è se sia o meno conforme al diritto internazionale, conclude Gaeta: «Il Paese africano è stato valutato come sicuro. Sarebbe pertanto possibile fare un rimpatrio senza violare il principio di non respingimento. Ma si tratta di una valutazione politica. Si dovrà capire se effettivamente sia il caso». Come già accaduto nel 2022, la Corte europea potrebbe ancora ritenere che la legge violi la CEDU se considerasse il Ruanda un Paese non sicuro.