Ucraina

«Perché lo scandalo sulle tangenti Enerhoatom ha rotto il patto di governo a Kiev»

Secondo Anna Zafesova, giornalista ed esperta del mondo ex sovietico, c’era qualcuno interessato, più di altri, a far scoppiare il caso in prossimità di una possibile intesa per mettere fine alla guerra - La soluzione «coreana», con la cessione non formale di territorio, è l’unica praticabile
Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky con il suo ex numero due, Andriy Yermak, costretto alle dimissioni per uno scandalo di presunte tangenti. ©Gleb Garanich
Dario Campione
01.12.2025 22:45

Un uomo stanco, logorato nel fisico e nell’animo da quasi quattro anni di guerra e una tensione che non è mai scesa sotto i livelli di guardia. Un uomo che sa di essere giunto alla fine del suo tragitto politico. E lotta, disperatamente, affinché il suo addio coincida quantomeno con la salvezza del Paese. Anche ieri, Volodymyr Zelensky ha incontrato e sentito i leader di mezza Europa nel tentativo di chiudere, con un accordo che non sia devastante per l’Ucraina, il conflitto iniziato nel febbraio 2022 con l’invasione russa da Est.

A Mosca, oggi, riprende la trattativa dell’inviato della Casa Bianca Steve Witkoff sul piano di pace. Quale sia la base di partenza, non è chiaro. Certo non il documento di Donald Trump in 28 punti, che somigliava a una vera e propria resa. Kiev arriva a questo possibile, ultimo miglio, in condizioni difficili. Sul terreno le armate del Cremlino avanzano, poco alla volta ma in modo costante. Nelle stanze del potere, è esploso un caso di corruzione - tangenti sui contratti dell’azienda statale per l’energia nucleare Enerhoatom per 75 milioni di euro - nel quale sono rimasti coinvolti Timur Mindich, comproprietario della casa di produzione Kvartal 95 che, fino al 2019, realizzava gli show dell’allora comico e attore Zelensky; e, soprattutto, Andriy Yermak, 54 anni, il braccio destro del presidente ucraino, soprannominato in patria il «Cardinale» con riferimento ai potentissimi consiglieri dei re di Francia, Mazzarino e Richelieu.

Quando ci sono le condizioni perché la guerra si fermi, nel momento cruciale, lo scandalo Enerhoatom ha messo Zelensky nell’angolo. È soltanto un caso? Anna Zafesova, per anni inviata a Mosca del quotidiano La Stampa e grande conoscitrice della realtà ex sovietica - ha da poco mandato in libreria il volume Russia, l’impero che non sa morire. Il passato di Mosca, il futuro di Kyiv (Rizzoli 2025) - pensa di no. «C’era un patto implicito, in Ucraina, che sembra essersi spezzato. Un patto per cui Zelensky, a guerra in corso, non si toccava. Lui era il leader della resistenza, il volto internazionale del Paese, quello che prendeva le decisioni strategiche sulla difesa dell’Ucraina», dice Zafesova al Corriere del Ticino. Un patto che, evidentemente, si è rotto.

«A differenza della Russia, dove tutto è immobile, l’Ucraina, è una democrazia. Una democrazia estremamente animata - spiega Zafesova - In un Paese in guerra, con un’economia di guerra e, di fatto, un’amministrazione militare, la presidenza Zelensky ha preso il sopravvento. E alimentato un certo scontento tra chi si è sentito escluso dalle decisioni. E qui il patto si è rotto. Che sia accaduto perché qualcuno ha perso la pazienza o perché si avverte l’imminenza di una tregua, e quindi riparte il gioco politico in vista di un ricambio, vedremo. Una cosa è certa: tutti erano d’accordo, compreso lo stesso Zelensky, che finita la guerra la presidenza sarebbe passata di mano».

Una sorta di «modello Churchill», lo definisce Zafesova: «Zelensky sarebbe diventato l’uomo che ha portato l’Ucraina alla vittoria o che l’ha salvata. Il resto, la ricostruzione e la rifondazione dello Stato, perché è evidente che dopo la guerra si tratterà di ripensare tutto, come accade sempre in situazioni simili, sarebbe stato affidato ad altri».

Lo scandalo delle tangenti Enerhoatom, adesso, rischia di far precipitare tutto. E chi se ne avvantaggia è, in prima battuta, il nemico. Vladimir Putin. E quanti, dentro l’amministrazione di Washington, non hanno mai apprezzato il presidente ucraino, Trump compreso.

«Non c’è dubbio - sottolinea Zafesova - Putin ha subito ribadito che Zelensky è un interlocutore non legittimo, con il quale lui non ha intenzione di trattare. E Trump ha ripetuto quanto già diceva nel 2019, ovvero che l’Ucraina è un Paese corrotto. Non va dimenticato che il tycoon aveva chiesto a Zelensky di indagare sul figlio di Joe Biden, Hunter, e sulle attività di quest’ultimo a Kyiv. Una richiesta che faceva parte della campagna contro i “democratici ladri”».

Insomma, c’era sicuramente qualcuno interessato, più di altri, a far scoppiare lo scandalo in prossimità di una possibile intesa. Che, in ogni caso, resta complicatissima da raggiungere.

«La cessione dei territori è abbastanza inevitabile - dice Anna Zafesova - purtroppo, non ci sono gli strumenti per costringere Putin a cedere, o meglio: pensavamo che questi strumenti ci fossero, pensavamo che in presenza di una crisi economica e di un milione di morti, un governante normale dicesse ok, finiamola qui. Ma la logica dei dittatori è diversa: di fronte a un milione di morti ne spendono un altro milione. E se il 40% della spesa pubblica per la guerra non basta, stanziano il 50. Certo, prima o poi la Russia collasserà. Questo è evidente. Ma ciò può accadere quando l’Ucraina sarà distrutta». Perché sembra ormai del tutto chiaro, dice Zafesova, «che la decisione del Cremlino, ormai, sia cancellare l’Ucraina e annientare i suoi abitanti. Parliamo di genocidio in altre zone del mondo, ma qui siamo di fronte a una guerra di sterminio, nel senso che ogni giorno sono colpite città e infrastrutture civili con l’evidente intento di lasciare gli ucraini al buio o al freddo e costringerli a fuggire o a morire congelati. O alla resa». Ecco perché Putin «va costretto all’intesa. E a prendere un impegno a non bombardare. Lo farà se sarà costretto da una crisi economico-militare oppure, forse, se si impegna a non attaccare più l’Ucraina in cambio di un pezzo di territorio. Ovviamente, non una cessione giuridicamente formale, ma una cessione de facto, diciamo una soluzione alla coreana».

Qualcosa che Putin vorrebbe escludere ma, probabilmente, anche l’unica realmente possibile. «Su questo, Putin chiede la luna - conclude Zafesova - non c’è diritto internazionale che conceda l’annessione di territori occupati militarmente. Se ciò accadesse, il giorno dopo il mondo entrerebbe in fibrillazione e ci sarebbero altre 10 Ucraine. La prima sarebbe Taiwan, ovviamente. Poi molte altre, ovunque: in Asia, in Africa, probabilmente anche in America del Sud e forse anche in Europa. Penso all’ex Jugoslavia. Non possiamo violare un principio sul quale si basa quel poco di pace che c’è in questo mondo».