«Quel bonifico da Lugano per Zico, e altre storie»

Nel suo profilo WhatsApp ha un’immagine che racchiude il senso di una profonda amicizia, quella con l’indimenticabile Gigi Riva. «Mi manca molto, era davvero una persona perbene. E dire che il primo incontro fu catastrofico. Era avvenuto durante un Cagliari-Milan. Io alla vigilia avevo intervistato Mario Brugnera e mi aveva fatto notare che nei giornali si parlava sempre e solo di Riva. Così su questa frase ci feci il titolo. Il giorno dopo incontrai Riva negli spogliatoi, allora si poteva accedere senza problemi, e lui mi affrontò: «Tu in Sardegna non ci metti più piede». Non disse a Cagliari, ma in Sardegna. Allora capii che era il simbolo non di una città ma di una regione», racconta Alberto Cerruti, seduto in un bar non lontano dalla sua casa di Lugano, dove vive insieme alla moglie. Quest’uomo pacato con uno scrigno infinito di aneddoti dal 1974 al 2023 è stato una delle firme di punta della Gazzetta dello sport, ha commentato otto finali dei Mondiali, comprese le due vinte dall’Italia con Bearzot (1982) e con Lippi (2006) e tredici finali di Champions, e di queste storie potrebbe scriverne centinaia. Ne ha selezionato trenta, trenta tappe che sintetizzano una lunga carriera e che si possono leggere nel suo ultimo libro «Dal vostro inviato. Mezzo secolo in rosa con i grandi del calcio», uscito recentemente per le edizioni Ultra Sport.
Carletto con la maglia dell’Inter
Il lungo racconto, con una prefazione di Carlo Verdelli (dal 2006 al 2010 direttore della Gazzetta), contiene ricordi particolari, come il debutto a San Siro di Carlo Ancelotti con la maglia dell’Inter. «Era il 20 maggio del 1978 quando l’Inter era guidata da Eugenio Bersellini, alla fine campionato in cui era arrivata quinta, e affrontava in amichevole i tedeschi dell’Hertha Berlino, davanti ad appena quattromila tifosi», racconta Cerruti. Ancelotti è in prestito dal Parma (in serie C) e viene notato dal direttore sportivo Giancarlo Beltrami e dal dirigente Sandro Mazzola. Alla fine Ancelotti torna al Parma: il presidente dell’Inter Ivanoe Fraizzoli ritiene eccessiva la richiesta di 750 milioni di vecchie lire e punta su Evaristo Beccalossi, «emergente fantasista del Brescia». Ma Ancelotti, che Cerruti ha ritrovato in altri campi, ancora oggi è un amico che può chiamare al telefono saltando filtri di uffici stampa e dirigenti. «È rimasto - racconta - un esempio di serietà e competenza, non dimentichiamoci che è restato 7 anni e mezzo (su 31 complessivi) nel Milan di Berlusconi. E poi è una persona semplice pur avendo vinto praticamente tutto nella sua straordinaria carriera. Un po’ come un altro amico, Enzo Bearzot».
La parola chiave «el amigo de Daniel»
Il calcio è uno sport imprevedibile. E non soltanto in campo. Ci sono coincidenze che solo chi vive quotidianamente dentro questo sport riesce a cogliere. Ecco perché, parlando del più grande di tutti, Diego Armando Maradona, nel suo libro Cerruti svela un desiderio arrivato in tempi non sospetti. Succede che Maradona allora al Barcellona è isolato in casa da due mesi per un’epatite virale e non rilascia più interviste. «Per aggirare l’ostacolo chiesi al mio amico Daniel Passarella, il libero dell’Argentina acquistato dalla Fiorentina che avevo intervistato dopo un suo lungo silenzio, e che considerava Diego un fratello minore, se fosse disposto a parlare con la Gazzetta.
Lui lo chiamò e mi disse di telefonare, era il 2 di febbraio 1983, a un certo numero esattamente alle 13.30. Lo feci, mi rispose la fidanzata Claudia che chiamò Diego dicendogli che c’era «el amigo de Daniel». Il giorno dopo avevamo un titolone: Maradona fa il profeta». E questo perché El Pibe aveva detto a Cerruti che «se potessi giocare in Italia, sceglierei il Napoli». Un anno dopo, il 5 luglio 1984, c’è la presentazione in quello che diventerà il suo stadio, e dove venerdì è stato festeggiato il quarto scudetto del Napoli («l’ho detto a inizio campionato che Conte sarebbe riuscito nell’impresa»)
Qualche tempo dopo l’esordio Cerruti chiama Maradona e lo invita per la Gazzetta a rispondere al telefono ai lettori. Lui accetta ricordandosi dell’intervista. «Un graditissimo regalo, senza chiedere nulla in cambio».
Alberto Cerruti fa parte di quella (fortunata) generazione di giornalisti che saltavano da un aereo all’altro, da uno stadio all’altro, domenica dopo domenica, quando ancora non c’erano telefoni, computer, e dovevi esser capace di tessere pazientemente e con astuzia rapporti personali con allenatori e calciatori per avere sempre notizie fresche; il calcio non era sovraccarico di marketing, uffici stampa, regole che hanno sottratto poesia facendolo diventare in parte prodotto per le televisioni a pagamento. La sua passione per il giornalismo è nata molto presto. A 17 anni andò nell’ufficio dell’allora direttore della Gazzetta Gualtiero Zanetti che lo invitò a finire il liceo classico. Sei anni più tardi, il 17 aprile 1974, l’anno in cui la Lazio di Maestrelli vince il primo scudetto, con il direttore Giorgio Mottona inizia a 22 anni la sua carriera di reporter con una paga di 121 mila lire .
L’ultima volta con el Paròn
Nel libro di Cerruti si intrecciano storie umane e professionali. L’esordio di Paolo Rossi, quello di Franco Baresi, l’ultima intervista a el Paròn («il padrone»), Nereo Rocco, realizzata a Trieste dove era ricoverato nel Sanatorio, «stanza numero 7», precisa Cerruti con un dettaglio che evidentemente è emerso dai suoi appunti. Si parlò del Milan e del Campionato. Era il 15 gennaio 1979. Il 20 febbraio la scomparsa. Un’altra importante amicizia nata negli anni è quella con Arthur Antunes Coimbra, il grande Zico. «A breve - racconta Carruti - tornerà a Udine, a questa città è rimasto molto legato, e mi ha invitato ad un incontro. Ci andrò perché Zico oltre che essere stato un calciatore straordinario è una persona che ha grandi qualità umane». Nel libro c’è una foto, ha la data del 9 luglio 1983, c’è Zico con in braccio il figlio Junior nella casa di Rio de Janeiro, una istantanea di una delle tante interviste realizzate in Brasile. Zico è arrivato all’Udinese dopo una trattativa con il Flamengo rallentata da intoppi burocratici e normativi, e non solo, che si era sbloccata all’improvviso. E Cerruti spiega come: «Da una banca svizzera parte il bonifico di sei miliardi di lire, equivalenti a due miliardi e cento milioni di cruzeiros, come conferma il 25 luglio 1983 l’avvocato di Lugano Renzo Rezzonico al collega David Messina». Zico nel primo anno con la maglia dell’Udinese segna 19 gol. Il 6 febbraio del 1990 alla partita d’addio al calcio di Zico al Maracanã di Rio Cerruti è uno dei pochi giornalisti italiani che hanno ricevuto un invito personale.