Consiglio federale

Quella decisione «tirata» e avventata che ha segnato i rapporti con l’Europa

I documenti confidenziali resi pubblici pochi giorni fa svelano i retroscena del voto sullo Spazio economico europeo del 1992 – Lo storico Sacha Zala: «La domanda d’adesione alla Comunità Europea in maggio fu un errore tattico, ma il Governo volle giocare a carte scoperte»
La delusione del Consiglio federale, il 6 dicembre 1992, dopo il «no» popolare allo Spazio economico europeo. © KEYSTONE/ROLF SCHERTENLEIB
Luca Faranda
03.01.2023 06:00

«Il 6 dicembre del 1992 è stato il fallimento della politica europea. La posizione, molto chiara, del Consiglio federale in quell’anno era di sottoporre al popolo l’adesione allo Spazio economico europeo (SEE) e, allo stesso tempo, iniziare delle trattative per un’adesione alla Comunità Europea. Ma alla fine né uno, né l’altro diventerà realtà». Ora, a distanza di 30 anni, lo storico Sacha Zala ha permesso di svelare i retroscena che hanno portato alla cosiddetta «domenica nera» di fine 1992, come la descrisse l’allora consigliere federale Jean-Pascal Delamuraz.

Tramite i documenti e i verbali del Governo, finora segreti e confidenziali, viene ripercorsa in particolare la seduta del 18 maggio, con la decisione che molti considerano «il più grande errore tattico del Consiglio federale dalla Seconda guerra mondiale».

Lunedì 18 maggio 1992

È il 18 maggio 1992. Il Consiglio federale si riunisce per una riunione straordinaria che segnerà per sempre la politica europea della Confederazione.

La maggioranza della popolazione, il giorno precedente, ha seguito il Governo approvando con circa il 56% di voti favorevoli l’adesione alle istituzioni di Bretton Woods: il Fondo monetario internazionale (FMI) e la Banca mondiale. L’allora presidente della Confederazione, René Felber, all’inizio della seduta si congratula con i colleghi per il successo alle urne.

L’Esecutivo «ha così dimostrato di essere in grado di prendere decisioni accettate dal popolo», si legge nel verbale dell’epoca. Il resoconto confidenziale di quella storica seduta fa ora parte dei 1700 documenti che dal primo gennaio, alla scadenza del periodo di protezione legale di 30 anni, sono stati resi pubblici dall’Istituto di ricerca indipendente Dodis (Documenti diplomatici svizzeri), che fa parte dell’Accademia svizzera di scienze umane e sociali.

Un anno chiave

Già nell’ottobre 1991, Felber annuncia di porre come obiettivo l’adesione della Svizzera alla Comunità Europea, che dal 1993 è poi stata rinominata nell’attuale Unione europea.

La strategia di integrazione europea del Consiglio federale viene però discussa approfonditamente nel corso della successiva primavera. L’Esecutivo è chiamato a prendere una decisione formale sul tema, consapevole anche del rischio di interferenze tra la richiesta di adesione e il voto sul SEE, previsto per il 6 dicembre dello stesso anno. Tra aprile e maggio dedica tre sedute straordinarie alla questione. Il processo di avvicinamento e di adesione alla Comunità Europea sarebbe molto più semplice se gli svizzeri aderissero allo SEE, si dice convinto il Governo.

Governo sicuro di sé

«Il Consiglio federale era molto sicuro di sé, anche a seguito del successo relativo al FMI e a una buona posizione sulla scena internazionale. Questa nuova presa di coscienza della propria forza, forse, portò anche a una certa avventatezza. E a considerare maggiormente gli argomenti di politica estera che non quelli di politica interna», spiega Zala, direttore di Dodis.

Nella sua seduta del 18 maggio, però, il Governo osa troppo. Il ticinese Flavio Cotti (PPD), insieme al collega romando Jean-Pascal Delamuraz (PLR) e al presidente della Confederazione René Felber (PS) intendono presentare rapidamente una domanda per negoziare l’adesione alla Comunità Europea.

«Si tratta sostanzialmente di inviare una semplice lettera alla Commissione», viene spiegato nel verbale reso pubblico ora. Sul fronte dei contrari, anche per la questione della neutralità, si pongono Kaspar Villiger (PLR), Otto Stich (PS) e Arnold Koller (PPD). Quest’ultimo, in particolare, avverte che «dopo il voto sul FMI, le possibilità di adesione allo Spazio economico europeo sono aumentate. Ma se il Consiglio federale dovesse presentare una domanda di adesione prima del voto di dicembre, ciò metterebbe in pericolo lo stesso SEE».

Ogi ago della bilancia

Tre favorevoli, tre contrari. L’ago della bilancia è Adolf Ogi. L’allora «ministro» dei Trasporti vorrebbe rimandare la decisione almeno all’autunno, poiché teme che l’avvio dei negoziati di adesione possa ripercuotersi negativamente anche sulla votazione - prevista nel settembre dello stesso anno - sulla Nuova trasversale ferroviaria alpina (NFTA), che dà il via libera alla costruzione delle nuove gallerie di base del San Gottardo, del Ceneri e del Lötschberg.

Dopo un secondo giro di discussioni, però, Ogi cede e decide di allinearsi ai favorevoli. «Achille Casanova - ex vicecancelliere e portavoce del Consiglio federale - era diplomaticamente molto abile nella stesura dei verbali, fatti in motale che nessuno si arrabbiasse. Ancora oggi non si capisce bene cosa abbia fatto cambiare idea a Ogi», afferma Zala, secondo cui a influire sulla decisione del democentrista bernese fu anche il cancro diagnosticato a Felber.

Per lo storico, «Il Consiglio federale volle giocare a carte scoperte e in maniera trasparente verso il popolo. Ma se lo scopo era di entrare nello Spazio economico europeo, si può certamente dire che fu un errore tattico. Ma lo fece per un motivo: nel 1992 il Governo trova una fiducia e una sicurezza nella forza politica del Paese che sarebbe stata impensabile solo fino a pochi anni prima. Con la fine della Guerra fredda e la caduta del Muro di Berlino fu un periodo di grosse speranze, quasi di euforia, per la comunità internazionale».

Segreto svelato

Il dado è dunque tratto: «Il Consiglio ha deciso a maggioranza di presentare una domanda di apertura dei negoziati per l’adesione della Svizzera alla Comunità Europea prima della votazione sullo SEE. Questa richiesta sarà presentata il prima possibile. La decisione del Consiglio sarà tenuta riservata e sarà annunciata mercoledì», rivela il verbale.

Le cose però non vanno come vorrebbe il Consiglio federale. Già nel pomeriggio, la notizia rimbalza nelle redazioni e tra i partiti, dando il via a una serie di critiche. In particolare, è l’UDC a scagliarsi contro la politica europea del Governo: «Ora il voto sullo SEE diventa contemporaneamente un voto sull’UE», dichiara l’allora consigliere nazionale Christoph Blocher, che durante la campagna di voto diventerà il faro dei contrari.

La «domenica nera»

Due giorni dopo la decisione del Consiglio federale, il Presidente della Confederazione René Felber scrive una lettera per chiedere formalmente a Bruxelles di avviare i negoziati di adesione.

Il resto è storia nota: Blocher vince la sua battaglia sullo Spazio economico europeo e il referendum del 6 dicembre - con una partecipazione del 78,73% - viene respinto dal 50,3% dei votanti. «Un magnifico autogol, una domenica nera», dichiara stizzito Delamuraz commentando l’esito del voto. La domanda d’adesione, congelata in seguito alla bocciatura, è stata formalmente ritirata solamente nel 2016.

Dodis: i segreti dell'Esecutivo svelati trent'anni dopo

Oltre alla votazione sullo SEE, i documenti analizzati da Dodis mostrano una panoramica a 360 gradi che va dal vertice ambientale di Rio de Janeiro (Brasile), agli sviluppi nell’Europa orientale - anche a seguito della fine della Guerra fredda e della caduta del Muro di Berlino - e pure alla questione della neutralità nel nuovo contesto della politica di sicurezza.

Tra i documenti pubblicati, spiega Sacha Zala, un gruppo di studio del Consiglio federale auspicò un «riorientamento della politica estera in materia di neutralità». In seguito ai cambiamenti geopolitici, nel 1992 emersero anche i limiti della capacità di auto-difesa dell’Esercito svizzero. L’Amministrazione federale pertanto avvertì che la neutralità sarebbe potuta diventare un pericolo per la sicurezza del Paese. In particolare, «se l’esercito del piccolo Stato neutrale svizzero potrà in futuro svolgere la sua missione militare solo in associazione con forze armate straniere».

Milioni di pagine

Ogni anno, l’Archivio federale svizzero rende accessibili milioni di pagine che si «desecretano» automaticamente dopo 30 anni. Per i dossier contenenti dati personali sensibili si applica invece un periodo di protezione di 50 anni. Il centro di ricerca indipendente Dodis, durante il 29.esimo anno, analizza e valuta migliaia e migliaia di incarti, pubblicando poi una selezione di circa 1.700 documenti chiave. L’istituto delle Accademie svizzere delle scienze si occupa della storia della politica estera e delle relazioni internazionali del Paese sin dalla fondazione dello Stato federale nel 1848.