Il fenomeno

Aumenta la richiesta di informatici, ma l’offerta è sempre in ritardo

Problema annoso, ormai: nonostante la domanda, la Svizzera fatica a produrre un numero adeguato di professionisti nel settore IT - Continuano a mancare le quote femminili - E la pandemia, accelerando la digitalizzazione, ha contribuito a generare un divario ancora più ampio
©Gabriele Putzu
Paolo Galli
Giona Carcano
06.12.2022 06:00

«La digitalizzazione continuerà e il fabbisogno di lavoratori in grado di usare, sviluppare e applicare con efficacia le tecnologie digitali, rimarrà di conseguenza elevata. La capacità della Svizzera di adattarsi alle sfide del futuro dipenderà in buona misura da quanto riuscirà a garantire la continua disponibilità di lavoratori qualificati in questo settore attraverso l’immigrazione dall’estero, oltre a sviluppare e potenziare il potenziale indigeno. I continui sforzi in questo senso assumono un significato ancora maggiore perché i lavoratori IT stranieri tendono a non rimanere a lungo in Svizzera e la concorrenza globale per questi lavoratori continuerà ad aumentare nei prossimi anni». La citazione è tratta dal recente 18° rapporto dell’Osservatorio sulla libera circolazione delle persone tra Svizzera e UE della Segreteria di Stato dell’economia (SECO).

La concorrenza internazionale

Una citazione a cui ci aggrappiamo, oggi, all’indomani della pubblicazione dei dati da parte dello Swiss Job Index, secondo cui, in novembre, gli annunci del ramo informatico pubblicati dalle imprese elvetiche sui loro siti internet e sulle piattaforme di reclutamento sono aumentati del 7,5% rispetto a ottobre. Si è sviluppata una sorta di corsa ai profili più qualificati. Una corsa, a dirla tutta, che si protrae ormai da anni. Già nel 2018, uno studio della società di consulenza McKinsey sottolineava che in Svizzera vengono formati circa tremila informatici ogni anno, ma anche che il fabbisogno è destinato a salire, entro il 2030, fino a diecimila all’anno. E quindi, che cosa fare per colmare questa distanza? Ne abbiamo parlato con Yanik Kipfer, dell’Osservatorio del mercato del lavoro dell’Università di Zurigo, e con Sandro Pedrazzini, responsabile del corso di Ingegneria informatica al Dipartimento tecnologie innovative della SUPSI. Kipfer inquadra il fenomeno: «Da diversi anni le professioni informatiche registrano una carenza di personale. Secondo uno studio di ICT-Formazione professionale, entro il 2030 saranno necessari 119.600 specialisti in più. I fattori che aggravano la carenza di lavoratori qualificati nelle professioni IT sono, in particolare, il progressivo pensionamento dei baby boomers e la crescente digitalizzazione. Inoltre, i professionisti IT formati a livello nazionale sono ancora troppo pochi rispetto alla domanda. Ciò significa che molti lavoratori qualificati devono essere reclutati all’estero. Tuttavia, questi lavoratori qualificati sono sempre più richiesti anche all’estero. Di conseguenza, la concorrenza internazionale si sta intensificando».

I perché di un mancato boom

Il professor Pedrazzini aggiunge: «Questa situazione è anche frutto della spinta che c’è stata nel periodo pandemico, con la digitalizzazione, le opportunità date dal lavoro in remoto e la necessità in varie professioni di utilizzare strumenti infomatici adeguati. Questa accelerazione ha creato una maggiore necessità di informatici. Noi, dal nostro osservatorio, lo percepiamo anche nel fatto che gli studenti in informatica della SUPSI, una volta terminata la formazione, non hanno particolari difficoltà nel trovare lavoro. È un indicatore molto chiaro sul presente, un indicatore che ci permette però di dare buone prospettive ai nostri nuovi studenti». Ma allora perché non assistiamo a un boom di iscrizioni in questo settore? Un settore che promette posti di lavoro garantiti, il più delle volte ben remunerati, dovrebbe funzionare come una calamita. «In effetti, anche nel 2021, in SUPSI non si è fermato il trend di aumento di studenti già iniziato negli anni precedenti. Un aumento che, invece, nel 2021 non risulta nelle nostre consorelle, ovvero nelle altre scuole universitarie professionali svizzere. Le scelte della professione sono molto individuali e spesso non dipendono dalle garanzie di impiego». Certo che, alle nuove generazioni, tendiamo ad appiccicare un’etichetta digitale. Parliamo infatti di «nativi digitali» e insistiamo nel descrivere i giovani come parte di un mondo sempre più virtuale. Ma tutto ciò non si traduce in una ricerca scontata di carriere in questa direzione. Pedrazzini parla di «vari fattori», a cominciare dal fatto che al liceo solo da quest’anno l’informatica è materia obbligatoria. «Questo avrà semmai un impatto negli anni a venire. E poi si può fare un ragionamento anche in merito ai posti di apprendistato. Secondo la stima dell’organizzazione professionale ICT, attualmente in Svizzera solo il 5,9% dei posti disponibili sono legati al settore. Mentre per avere numeri tali da rispondere alle sollecitazioni del mercato, tale percentuale dovrebbe superare quota 8%. Osservando altre statistiche, a livello europeo, scopriamo che siamo in ritardo sugli universitari nei settori dell’informatica - 2,9% contro la media europea del 3,9% - ma in leggero vantaggio, più in generale, nelle scienze naturali - 6,8% contro 6,2% -. Insomma, formiamo pochi informatici, ma è vero che in Svizzera c’è anche una domanda maggiore rispetto ad altri Paesi. Anche per questo si crea tale squilibrio». Lo conferma anche Kipfer: «C’è ancora una discrepanza tra l’offerta di specialisti ICT e la domanda, significativamente più forte. Pertanto, per soddisfare la domanda sarebbe necessario formare un numero significativamente maggiore di lavoratori qualificati».

La questione di genere

Una questione nota, all’interno di questo discorso, è quella di genere. Yanik Kipfer sottolinea: «Un gruppo di popolazione che rimane significativamente sottorappresentato nelle professioni IT è quello delle donne. Ad esempio, secondo una statistica delle scuole universitarie, nell’anno accademico 2019/20 la percentuale di donne nell’informatica era solo del 17% nelle università e del 15% nelle scuole universitarie professionali. Il potenziale di crescita è evidente. I politici, le istituzioni formative e l’economia devono fare uno sforzo per attrarre anche i talenti femminili».

Sulla stessa lunghezza d’onda, Sandro Pedrazzini: «Se noi aumentassimo la quota femminile, allora avremmo già risolto, almeno in parte, il problema. Al Dipartimento tecnologie innovative della SUPSI viaggiamo tra l’8 e il 10% di quota femminile, tra gli iscritti. Si può davvero fare meglio. Ma qualche esperimento in Ticino è già stato fatto, come per esempio l’apertura di una scuola professionale informatica per sole ragazze. Dopo un’iniziale ondata di entusiasmo, arrivata poi sino alla SUPSI, il tutto è rientrato nella media. Ma ci sono anche altri esempi, dalla Svizzera interna, a livello di scuole universitarie professionali, che ci riportano dell’introduzione di profili più soft nei percorsi di studio di informatica, meno matematici, che sottolineano maggiormente aspetti più vicini alle scienze umane - come possono essere l’interaction design, l’analisi dei requisiti di un progetto, il contatto con il cliente, la gestione di progetto -, ma anche in questi casi, dopo iniziali incrementi di quote femminili, si è tornati ai livelli di partenza».

Il professore ragiona quindi su un aspetto: «Bisogna forse lavorare sull’immagine dell’informatico, ancora legata a vecchi cliché: il programmatore davanti a uno schermo, solitario, poco incline alla collaborazione. Ecco, questo stereotipo va sfatato, anche perché oggi l’informatico lavora in team multidisciplinari e anche multiculturali, distribuiti in più Paesi, è chiamato a collaborare spesso con persone provenienti da altri ambiti professionali. È un aspetto che va spiegato meglio, migliorerebbe l’immagine dell’informatico, l’attrattività del percorso».

È toccato anche il Centro svizzero di calcolo scientifico

La carenza di informatici si fa sentire a ogni livello: nelle piccole come nelle medie aziende, passando per i grandi istituti. Anche il Centro svizzero di calcolo scientifico (CSCS) è confrontato ad alcune problematiche legate alla penuria di profili specializzati. «Il nostro centro, per dimensioni e attività svolta, è sempre alla ricerca di informatici», spiega Michele De Lorenzi, vicedirettore del CSCS con sede a Lugano. «La conformazione del mercato, in questo settore, impone alle aziende uno sforzo in più per scovare i profili adatti». In sostanza, la penuria di personale specializzato mette le società o gli istituti in competizione fra loro. La concorrenza, quindi, è grande. «Sì, è difficile trovare collaboratori qualifcati», conferma De Lorenzi. «Il secondo aspetto che va sottolineato ci tocca ancora più da vicino: il Centro di calcolo ha bisogno di persone altamente  specializzate. Siamo dunque abituati a sondare il mercato svizzero, europeo e mondiale. Da noi spesso si viene a lavorare per un periodo più o meno lungo prima di ripartire per affrontare altre esperienze all’estero. Nel nostro campo c’è una sorta di scambio di specialisti a livello mondiale, ma è normale che sia così. Aggiungo però che la vicinanza del CSCS ai due Politecnici federali e, più in generale, al mondo universitario, ci favorisce. È più facile trovare giovani studenti desiderosi di mettersi alla prova». Ad ogni modo, non tutte le specializzazioni informatiche sono uguali. Dalle università, dopo il dottorato, arrivano al CSCS sviluppatori di codici per applicazioni scientifiche. Per altri ruoli, come lo «storage» dei dati, l’istituto pesca invece dal mercato globale. «Data la situazione di scarsità di manodopera», conclude De Lorenzi, «è importante mantenere le condizioni quadro attualmente in vigore in Svizzera, che permettono al nostro settore di godere di un buon livello di approvvigionamento di profili specialistici».