Berna vuole vendere più armamenti: potranno finire nelle zone di guerra

Il Parlamento ha deciso di allentare la legge sul materiale bellico (LMB) per facilitare l’esportazione e la riesportazione di armi. Ieri, il Consiglio degli Stati ha eliminato tutte le divergenze con il Nazionale. Ma cosa cambierà? Ecco tutto quello che c’è da sapere.
Perché la LMB è stata allentata?
Nel 2022 è entrato in vigore il controprogetto all’iniziativa popolare contro le esportazioni di armi in paesi in guerra civile, detta «iniziativa correttiva». L’esportazione di materiale bellico è consentita solo se il Paese acquirente firma una dichiarazione di non riesportazione. Inoltre, non è possibile esportare e riesportare armi se il Paese finale è coinvolto in un conflitto armato interno o internazionale. Pochi mesi dopo l’entrata in vigore, però, con l’invasione russa in Ucraina, le richieste di riesportazione di armi verso Kiev si sono accumulate, così come le critiche da altri Paesi europei (Germania, Paesi Bassi e Danimarca) contro l’inflessibilità elvetica che non ha permesso il trasferimento di armi. Questa modifica di legge, che facilita l’esportazione di materiale bellico, mira a promuovere lo sviluppo della Base tecnologica e industriale rilevante in materia di sicurezza (STIB). Si vuole così sostenere l’industria degli armamenti, in modo che possa beneficiarne pure l’Esercito per aumentare la capacità di difesa della Svizzera e per rafforzare la sua neutralità armata.
Cosa proponeva il Consiglio federale?
Il Governo (su impulso del Parlamento) chiedeva l’introduzione di una facoltà, per il Governo stesso, di derogare ai criteri di autorizzazione per affari con l’estero in presenza di eventi straordinari e se lo impone la salvaguardia degli interessi del Paese. Questa facoltà di deroga, il Consiglio federale l’aveva in realtà già pensata (ma ai tempi non aveva trovato una maggioranza in Parlamento) nel controprogetto all’iniziativa correttiva. A questo giro, invece, invece di limitarsi ad aggiungere questa modifica, le Camere federali hanno deciso di andare ben oltre.
Cosa ha deciso il Parlamento sulle esportazioni?
Al posto della competenza derogatoria, il Parlamento chiede un cambio di paradigma. In futuro, le esportazioni sarebbero in linea di principio consentite verso una serie di Paesi, 25 in tutto (vedi box), che rientrano nell’«Allegato 2 dell’Ordinanza sul materiale bellico». La novità è che gli armamenti - salvo eccezioni - potranno essere esportati anche in caso di conflitti che coinvolgono proprio questi Stati. La SECO valuterà sempre a fondo ogni singola richiesta di esportazione, ha promesso il «ministro» dell’Economia Guy Parmelin.
Sono previste eccezioni per le esportazioni?
Sì, non sarà un via libera assoluto. Le domande da questi Paesi potrebbero essere respinte in presenza di circostanze eccezionali e qualora lo richiedano gli interessi della Svizzera in materia di politica estera, di politica di sicurezza e anche (è un’aggiunta voluta dall’UDC) di politica di neutralità. Rimangono escluse le nazioni che violano i diritti umani in modo grave e sistematico. Il Consiglio federale avrà così un diritto di veto che gli permetterà di avere un maggior margine di manovra.
Concretamente, quali sono gli scenari?
Parmelin ha fatto alcuni esempi in aula, ricordando che la legge rimarrà comunque restrittiva. «Nel caso in cui la Russia dovesse attaccare un Paese dell’Allegato 2 - come la Polonia - e si raggiungesse la soglia del conflitto armato internazionale, il diritto di neutralità rimarrebbe pienamente applicabile. Ciò significa concretamente che potrebbero essere autorizzate solo le esportazioni di materiale bellico che non contribuiscono alle operazioni militari della Polonia contro la Russia o che non sono adatte all’uso in un conflitto». Se invece ad essere attaccato è un Paese che non fa parte dell’Allegato 2 (come Estonia, Lituania o Lettonia), il Consiglio federale dovrebbe prima effettuare una valutazione per verificare se sussistono circostanze straordinarie e se gli interessi della Svizzera in materia di politica estera, di politica di sicurezza o di politica di neutralità richiedono una deroga per autorizzare determinate esportazioni di materiale bellico verso questo Paese. Anche qui, poi, vige la stessa regola: sono autorizzate solo le esportazioni che non contribuiscono alle operazioni militari tra il Paese attaccato e (in questo caso) la Russia.
Cosa ha deciso il parlamento sulle riesportazioni?
Dall’entrata in vigore di questa legge, in linea di principio, tutti i Paesi dovrebbero poter rivendere liberamente le armi acquistate in Svizzera. Ciò vale anche per i componenti e gli assemblaggi, nel caso in cui si tratti di una fornitura nell’ambito di una «catena di creazione di valore internazionale». Ecco il cambio di paradigma: ora gli Stati acquirenti devono firmare la dichiarazione di non riesportazione. In futuro, sarà invece il Governo (in base agli interessi elencati in precedenza) a valutare se esigere o meno la garanzia che le armi rimangano nel Paese acquirente. La decisione del Consiglio federale su questa garanzia va presa al momento dell’acquisto (e non può essere richiesta in un secondo tempo): ciò significa che se non è stato chiarito in precedenza, le armi vendute ad altri Paesi potranno essere trasferite senza vincoli (e senza il bisogno dell’autorizzazione di Berna) in zone di guerra.
L’Ucraina, alla fine, riceverà armi prodotte in Svizzera?
Di sicuro, non a corto termine. «Forse tra qualche anno», ha fatto sapere Parmelin, ricordando però che continua ad applicarsi il diritto della neutralità. La legge rivista non prevede alcun effetto retroattivo. Pertanto, tutto il materiale bellico venduto in passato (e da oggi fino alla futura entrata in vigore di questa modifica di legge) non potrà essere trasferito da altri Paesi verso l’Ucraina. Ci sarà pure un ulteriore limite: gli Stati che acquisteranno armamenti dalla Svizzera (anche dopo l’allentamento della legge) non devono avere come fine quello di riesportare subito il materiale bellico verso zone di conflitto (come appunto l’Ucraina). Il Governo in questi casi potrà intervenire.
Armi prodotte in svizzera finiranno in zone di guerra?
Sì, è probabile. Per la maggioranza, infatti, la Svizzera non deve essere responsabile per anni o per decenni del materiale bellico venduto all’estero (e che potrebbe un giorno finire in zone di guerra, conflitti interni compresi). Come spiegato dal «senatore» Thierry Burkart (PLR/AG), il materiale bellico non viene prodotto per i musei, ma per «potenziali azioni di difesa». Parmelin, dal canto suo, ha voluto ricordare che la Svizzera (in virtù del diritto internazionale e dei trattati sul commercio di armi) si è impegnata a evitare che le armi finiscano in Paesi finali «indesiderabili».
Quali saranno i prossimi passi?
PS e Verdi hanno criticato aspramente questa «Lex industria degli armamenti»: a loro avviso, «è solo questione di tempo prima di leggere di nuovo titoli come “Granate della Ruag nelle mani dell’ISIS”». Il 19 dicembre ci saranno le votazioni finali e se dovesse essere accolta, la sinistra ha già annunciato che lancerà il referendum. Il voto popolare potrebbe tenersi già nel 2026.
