«Ci serve un'industria bellica che sia degna di questo nome»

«Nessuno può pensare di fronteggiare minacce transnazionali da solo. Rispondere in maniera efficace vuol dire rispondere insieme». Il consigliere federale Martin Pfister è tornato a Bruxelles per la seconda volta in meno di sei mesi perché «a fronte del deterioramento della sicurezza europea, uno scambio» con istituzioni e partner europei dell’UE e della NATO e le industrie della difesa «è fondamentale»: «La neutralità non ci impedisce di cooperare in materia di sicurezza. È, semmai, nostro interesse reciproco».
L’occasione l’ha offerta, oggi, la seconda edizione degli «Swiss Defence Industry Days», simposio per promuovere l’eccellenza militare elvetica organizzato dall’Ufficio federale dell’armamento (armasuisse) insieme all’associazione di settore SWISS ASD, che ha visto nella capitale belga una cinquantina di aziende militari, tra cui alcune sigle ticinesi. L’obiettivo dell’evento è «presentare la tecnologia e il “know-how” delle start-up e delle piccole e medie imprese svizzere, illustrando come possiamo contribuire alla sicurezza europea rispettando al tempo stesso la nostra neutralità», ha spiegato Pfister nel corso di un punto stampa nella sede della missione della Confederazione presso l’UE.
Rafforzare la capacità di difesa
«Nel contesto geopolitico attuale, è importante rafforzare la capacità di difesa della Svizzera. Per farlo, serve un’industria degli armamenti degna di questo nome; e le nostre aziende hanno molto da offrire, dalla fabbricazione di munizioni alla produzione di cariche propulsive fino ai componenti di alta precisione», ha aggiunto il consigliere federale. Il ruolo della manifattura svizzera è stato al centro del primo incontro con il segretario generale della NATO Mark Rutte, con cui Pfister si è soffermato sull’allentamento della Legge federale sul materiale bellico in modo da favorire le esportazioni militari, alla vigilia della discussione parlamentare prevista per oggi al Consiglio nazionale.
Più flessibilità per i partner
Sul tema, il consigliere federale è tornato nel corso del suo intervento agli «Swiss Defence Industry Days»: «È una condizione essenziale affinché possano acquistare armamenti in Svizzera. La nostra industria è sotto pressione: la legge va cambiata per sostenerla» e garantire ai partner europei la flessibilità di riesportare sistemi d’arma e componenti verso Stati coinvolti in conflitti.
La giornata belga ha anche avuto risvolti operativi. Accompagnato da una delegazione di membri delle Camere Federali, dal comandante delle Forze aeree elvetiche, il divisionario Christian Oppliger, e dal direttore generale di armasuisse, Urs Loher, il «ministro» ha visitato la base aerea di Florennes, nel sud del Belgio, dove a ottobre sono stati consegnati quattro caccia da combattimento F-35, gli stessi che l’esercito svizzero si prepara a ottenere dagli Stati Uniti.
Indipendenza nell’impiego
«Abbiamo potuto assistere a un decollo e fare varie domande sulle infrastrutture in cui gli aerei sono custoditi, sui costi di manutenzione e su come si configurano le dipendenze dagli USA», ha affermato Pfister. «E abbiamo constatato che, almeno per il Belgio c’è un’ampia indipendenza nell’impiego di questi velivoli. E lo stesso varrà anche per noi».
Impiegati da oltre una dozzina di Paesi, gli F-35 sono visti come una sorta di denominatore comune della difesa aerea del continente europeo. A sera, Pfister ha poi firmato un aggiornamento dell’accordo di cooperazione tra la Svizzera e l’EDA, l’Agenzia europea per la difesa, concluso in origine nel 2012. Giuridicamente non vincolante, l’intesa definisce il quadro della collaborazione e permette alla Confederazione di partecipare ad attività e progetti di ricerca e sviluppo.
Sullo sfondo della visita a Bruxelles è rimasto SAFE, il nuovo schema dell’UE per rafforzare la sicurezza collettiva attraverso appalti congiunti (e prestiti per un massimale di 150 miliardi di euro, l’equivalente di 140 miliardi di franchi, per gli Stati dell’Unione).
Le imprese dei Paesi non associati al programma, com’è ad oggi il caso della Svizzera, possono fornire solo fino al 35% del costo stimato della commessa. Per superare questa soglia, e per poter fare acquisti comuni e più vantaggiosi con altri governi europei, serve prima firmare un partenariato per la sicurezza e la difesa con l’UE, come fatto da Regno Unito e Canada (solo Ottawa, tuttavia, è nel frattempo riuscita ad aderire a SAFE, mentre il negoziato specifico con Londra è finito su un binario morto). Già a giugno, il Consiglio federale aveva segnalato l’interesse a concludere un tale partenariato con l’UE, mentre dopodomani il Consiglio degli Stati si esprimerà su una mozione che incarica di avviare le trattative. La selezione per gli ingressi extra-UE è per adesso chiusa, ma Berna scommette di potere ancora entrare nel «club», magari l’anno prossimo, con il nuovo round di adesioni: «Faremo tutto il possibile per essere presenti, perché ciò comporta importanti vantaggi nella politica degli armamenti, che va condotta congiuntamente per operare in maniera efficiente e beneficiare dei vantaggi di appalti più ampi», ha affermato Pfister.