L'intervista

«Il Ticino è Svizzera: commercializzare Lugano come vicina a Como la farebbe rientrare nell'orbita italiana»

È arrivata l'estate: ma come sarà, nel nostro Paese? Lo abbiamo chiesto al direttore di Svizzera Turismo Martin Nydegger: «Sarà solida, ovvero né negativa né euforica»
© CdT/Gabriele Putzu
Marcello Pelizzari
21.06.2025 06:00

Come sta la Svizzera? Riformuliamo: come sarà l'estate, a livello turistico, nel nostro Paese? Sarà davvero trainata dalle notti magiche dell'Europeo di calcio femminile? E ancora: chi sono, oggi, i visitatori che puntano sulla Confederazione? Infine: che posizione occupa il Ticino nel ventaglio delle destinazioni possibili? Domande, queste, che abbiamo rivolto a Martin Nydegger, direttore di Svizzera Turismo.

Iniziamo da un vostro video, nel quale la presidente della Confederazione Karin Keller-Sutter suggerisce (ironicamente) a tifose e tifosi di non puntare sul risultato della propria nazionale bensì sulla scoperta delle bellezze elvetiche. Sarà, quindi, un'estate carica di turisti quella che ci apprestiamo a vivere?
«Se penso all'estate, dico che la nostra sarà solida. Un aggettivo di per sé neutro, nel senso che non sarà negativa né, d'altro canto, euforica. Veniamo da un 2024 fantastico, ma credo che la ripresa post pandemia sia definitivamente tramontata. Dopo il Covid, è evidente, c'era tantissima necessità di viaggiare. Non a caso, negli ultimi due anni siamo cresciuti parecchio».  

E adesso?
«Dopo una curva di crescita piuttosto ripida, adesso siamo tornati alla normalità. E per normalità, beh, intendo lottare per ogni singolo cliente. Noi svizzeri, spesso, pensiamo di vivere nel Paese più bello al mondo. Il che può anche essere vero, ma non per tutti. Di qui, appunto, il discorso legato ai clienti. Venendo alle previsioni, è necessario fare dei distinguo».  

Prego...
«Noi siamo soliti separare i flussi turistici in tre mercati distinti: chi arriva da lontano, con voli a lungo raggio, chi arriva dall'Europa e chi, invece, si sposta all'interno della Svizzera. Ecco, in quest'ultimo segmento credo proprio che la festa sia finita. I turisti svizzeri, nel migliore dei casi, saranno stabili. Anche perché, considerando la forza del franco, è possibile godersi una splendida vacanza all'estero».

E gli altri segmenti?
«L'Europa sta ristagnando. Ci sono, in particolare, problemi con un mercato storicamente forte per noi: la Germania. Si tratta di un Paese con problemi economici e, in parte, anche politici. Anche in questo caso, dunque, ci aspettiamo, nella migliore delle ipotesi, stabilità. La dinamica positiva, al contrario, arriva dal lungo raggio. Riassumendo, rispetto all'anno precedente dovremmo chiudere fra un +0,5% e un +2%. Ma se chiudessimo con una crescita del 2% vorrebbe dire che il nostro sarebbe stato un anno eccellente».

Con la normalità sono tornate anche determinate abitudini o i turisti nel frattempo sono cambiati?
«Le persone, sicuramente, ora si fermano più a lungo. Hanno capito che una o due notti non sono sufficienti. Ci siamo altresì resi conto che i turisti apprezzano sempre più destinazioni meno di grido. Intendiamoci: i visitatori chiedono e cercano ancora Zermatt, Lucerna o Interlaken. Molti, di riflesso, vogliono andare in Ticino. Parallelamente, però, i tour operator ci segnalano che le richieste si stanno concentrando sulle cosiddette gemme nascoste».

La parola overtourism è ovunque e tutti vogliono evitarla. Tanto i clienti quanto gli operatori turistici si chiedono: dove possiamo evitare le folle?

Una sorta di fuga dal turismo di massa, quindi?
«Possiamo vederla in questo modo, sì. La parola overtourism è ovunque e tutti vogliono evitarla. Tanto i clienti quanto gli operatori turistici si chiedono: dove possiamo evitare le folle?».  

Stiamo uscendo, lentamente, dallo shock legato alla distruzione di Blatten. Una distruzione figlia, anche, del cambiamento climatico. Crede che l'immagine di una Svizzera non più Svizzera possa ledere anche a livello turistico? Ci spieghiamo meglio: il paesaggio sta cambiando e potrebbe cozzare con la percezione che uno ha del nostro Paese.
«Che si tratti di Blatten o, l'anno scorso, della Mesolcina e della Vallemaggia, la prima reazione, in Svizzera come all'estero, è di forte empatia e solidarietà. Poi, con il passare del tempo, subentrano altre sensazioni. Non dico che le persone dimentichino, ma forse hanno imparato a convivere con i disastri naturali e in un certo senso ad accettarli. Ci troviamo, alle volte, a chiederci se il turismo tornerà mai in un determinato posto colpito da una sciagura. Salvo accorgerci che, in realtà, dopo un paio di settimane o mesi lo shock viene assorbito. È successo anche in Vallemaggia».

Tante persone, però, hanno un'immagine stereotipata della Svizzera: le Alpi innevate, lo sci, in generale la neve. Il fatto che il cambiamento climatico stia cambiando le carte in tavola non rischia di influire sulle scelte di viaggio delle persone?
«No, perché i turisti sanno adattarsi. E anche i professionisti del turismo. Fra venti, trent'anni – lo sappiamo – avremo non poche destinazioni in Svizzera che saranno del tutto senza neve. Ma, come detto, in questi casi entra in gioco la capacità di adattamento. Di conseguenza, mi immagino attività diverse in montagna. Non sciistiche. Novembre e dicembre, ancora, non saranno più visti come mesi invernali. Soprattutto in Ticino, dove magari avremo medie più alte. Attenzione: il mio non è un discorso per negare l'esistenza del cambiamento climatico. Purtroppo esiste, e dobbiamo tutti fare qualcosa per frenarlo. Ma penso, come detto, che in termini turistici prevarrà innanzitutto la capacità di adattarsi alla nuova situazione. L'industria, d'altronde, lo ha sempre fatto».

Rovesciando la questione, la Svizzera è scelta proprio per i suoi sforzi a livello di sostenibilità e cura dell'ambiente. È corretto?
«Sì, non a caso abbiamo coniato il termine swisstainable. Una parola che unisce due concetti: la Svizzera e la sostenibilità, appunto. I nostri sforzi sono concreti, reali, tangibili. La gente, di conseguenza, non ha dubbi: facciamo sul serio. E abbiamo esempi a conferma di quanto diciamo: il fatto che il riciclaggio sia nel nostro DNA, o che circa il 15% del nostro territorio sia costituito da parchi naturali. O, ancora, che ci sia una presenza massiccia di energia idroelettrica e che il traporto pubblico sia così popolare e accessibile. Nessuno può mettere in dubbio la nostra serietà. Abbiamo molte storie da raccontare».

Prima parlava del lungo raggio: c'è un mercato che l'ha sorpresa?
«Sì, il Brasile. Abbiamo aperto un ufficio di rappresentanza, nel Paese, forse trent'anni fa. Per tanti anni abbiamo aspettato, aspettato e sperato. Ci dicevamo: quando arriverà il mercato brasiliano? Poi, con l'inizio degli anni Duemila è iniziata una crescita pazzesca. Ora, abbiamo più pernottamenti dal Brasile che dal Giappone. A volte, e questo è un esempio, è necessario avere pazienza e resistenza. Se penso al Sudest asiatico, abbiamo dovuto aspettare a lungo una risposta da mercati come Singapore, Malesia, Indonesia e Thailandia. Mercati, ora, solidi. Lo stesso dicasi per il Medio Oriente. Avevamo aperto un ufficio sia a Dubai sia a Riad. E, anche in questo caso, abbiamo dovuto pazientare. Come organizzazione turistica nazionale, però, sappiamo che sono necessari anni di lavoro alla base prima di ottenere i frutti».

Non puoi fare affidamento solo su uno o alcuni mercati. La Svizzera ha bisogno di una buona base di mercato interno, di svizzeri che viaggiano all'interno del proprio Paese, ma anche di viaggiatori provenienti dall'Europa e da più lontano

Quello statunitense è diventato il vostro mercato principale?
«No, la Germania con 3,8 milioni di pernottamenti all'anno rimane il mercato estero più forte. Tuttavia, l'America ha prodotto 3,5 milioni di pernottamenti. La differenza, dunque, non è così grande. Da una parte un Paese confinante, con una cultura paragonabile alla nostra e una lingua che anche noi parliamo, un Paese da cui è facile raggiungere la Svizzera, sia in auto sia in treno. Dall'altra, un Paese lontano, con lingua e cultura completamente differenti. Eppure, i pernottamenti sono pressoché simili. La conclusione è duplice: la forza dell'America è davvero notevole, mentre è triste vedere la Germania in calo».

È giusto andare in all-in su un singolo mercato e, quindi, adesso spingere ancora di più per attirare turisti americani?
«No, è necessario puntare su mercati diversi. Sempre. Non puoi fare affidamento solo su uno o alcuni mercati. La Svizzera ha bisogno di una buona base di mercato interno, di svizzeri che viaggiano all'interno del proprio Paese, ma anche di viaggiatori provenienti dall'Europa e da più lontano. A vincere, nel turismo, è la diversificazione».

Dice così perché, visti gli alti e bassi con Donald Trump alla Casa Bianca, teme che dazi e politica tariffaria possano far calare la domanda di viaggi per la Svizzera da parte dei turisti statunitensi?
«Il primo trimestre del 2025 è positivo, con un aumento dell'11% e oltre rispetto all'anno precedente. E il 2024 era stato da record. L'America, al momento, continua a correre. Ma dobbiamo aspettare il 1. luglio, quando scadrà la moratoria sui dazi: con Trump è impossibile fare previsioni. L'altro aspetto è legato all'autunno: i viaggiatori statunitensi prenotano con largo anticipo, quindi le vacanze primaverili ed estive non sono state toccate dalle decisioni e dalle politiche di Trump. La vera domanda, di riflesso, è: questi turisti continueranno a prenotare e a scegliere la Svizzera? Lo scopriremo solo in ottobre. Finora, ribadisco, non c'è stato alcun impatto negativo».

Di che turisti stiamo parlando? O meglio: i visitatori dagli USA si fermano in Svizzera e poi rientrano a casa o il nostro Paese fa parte di un tour europeo più ampio?
«Non abbiamo numeri precisi in tal senso, ma sappiamo che i turisti americani quando arrivano in Europa scelgono diversi Paesi. Nulla di paragonabile ai tour massacranti che proponevano agli asiatici una decina di anni fa, con due giorni in Italia, due in Svizzera, due in Francia, due in Germania e due a Londra per dire. No, il trend oggi è di fermarsi più a lungo. E gli americani, quando decidono di fare un viaggio transatlantico, raramente citano un singolo Paese. Dicono: vado in Europa. Per loro è l'Europa, nel suo insieme, la destinazione. Entrando nel dettaglio, una volta in Europa combinano due o tre Paesi».

Mettiamola così, allora: perché nel suo bouquet di Paesi un americano dovrebbe inserire la Svizzera?
«Perché a mio avviso abbiamo la posizione più forte in termini di natura, montagne, laghi, natura. Non possiamo competere con Firenze, Roma o Parigi per quanto riguarda la parte storica, anche se abbiamo molto da offrire, mentre sugli aspetti citati siamo davvero senza eguali».

All'apice, avevamo 1,8 milioni di pernottamenti da parte di turisti cinesi. Oggi, con i turisti americani abbiamo 3,5 milioni di pernottamenti. I media, però, anni fa erano come impazziti parlando di eccessiva presenza di visitatori dalla Cina

Prima della pandemia, i turisti cinesi erano dominanti. Con, anche, qualche strascico polemico. Dopo la pandemia, anche per via dell'uscita più lenta dall'emergenza sanitaria da parte di Pechino, questo mercato ha faticato a recuperare. Conferma?
«Confermo. Ma i numeri aiutano a contestualizzare: all'apice, avevamo 1,8 milioni di pernottamenti da parte di turisti cinesi. Oggi, con i turisti americani abbiamo 3,5 milioni di pernottamenti. I media, però, anni fa erano come impazziti parlando di eccessiva presenza di visitatori dalla Cina. Con gli americani, per contro, nessuno dice nulla. Tornando ai cinesi, il dato del 2024 è comunque buono: 1,2 milioni di pernottamenti. Significa che è un mercato ancora molto, molto forte. Anche se non credo che tornerà ai fasti di un tempo».

Come mai?
«In primo luogo, perché il governo cinese motiva i suoi cittadini ad andare in vacanza in Cina. C'è una forte spinta in questo senso. In secondo luogo, altri Paesi sono più aperti rispetto alla Cina: in Thailandia, ad esempio, i cittadini cinesi non necessitano del visto a differenza della Svizzera. I nostri hotel hanno ceduto i contingenti un tempo riservati ai clienti cinesi ad altri Paesi».

È un problema avere meno turisti cinesi rispetto a prima? O vale sempre la logica della diversificazione?
«Va bene così. Anzi, ci siamo resi conto che gli svizzeri si sentono a disagio se un Paese, turisticamente parlando, è troppo dominante».

Viviamo tempi complicati, con due guerre come quella in Medio Oriente e quella in Ucraina e un contesto geopolitico tendente all'instabilità. La Svizzera, a livello turistico, ne soffre le conseguenze?
«L'intensificarsi della crisi fra Iran e Israele ha avuto alcune ripercussioni sui nostri clienti arabi, ad esempio. Immaginate non poter sorvolare l'Iran, o altre porzioni di cielo: i tempi di percorrenza si allungano. Per il momento, nel caso specifico sono conseguenze non gravi. Le guerre, l'instabilità, le crisi in generale non hanno o non stanno innescando una paura di viaggiare nelle persone. Semmai, chi viaggia teme di non riuscire più a tornare a casa e di rimanere bloccato. Proprio come accadeva durante il Covid. I mercati in Medio Oriente ora come ora sono un po' più cauti, non ci sono grandi cancellazioni ma per le nuove prenotazioni evidentemente i clienti stanno cercando prima di capire che cosa succederà. Il punto è che nessuno sa se Iran e Israele daranno vita a una guerra lunga o se arriverà una soluzione a breve. O, ancora, se gli Stati Uniti rimarranno in disparte o verranno coinvolti. A livello generale, ovunque accada qualcosa nel mondo il turismo ne risente. Se c'è una catastrofe naturale, se c'è una guerra, se c'è una crisi finanziaria, se c'è una pandemia. Il turismo ne risente, sempre, ma allo stesso tempo è resiliente».

Uscendo dalle difficoltà legate al contesto geopolitico e rimanendo nel campo del turismo, come può la Svizzera competere con giganti del calibro di Francia e Italia solo per citare due mercati fortissimi che confinano con il nostro?
«Otto anni fa, quando sono diventato direttore di Svizzera Turismo, ritenevo che i fattori con cui ci identificavamo – affidabilità, pulizia, sicurezza, puntualità – non interessassero a nessuno. Otto anni dopo, questi fattori sono diventati determinanti. Tanti clienti, oggi, quando prenotano una vacanza dicono: non voglio essere disturbato, voglio che le cose funzionino, voglio un'ospitalità affidabile e non voglio avere paura. Alcuni clienti brasiliani vengono da noi proprio per il fatto di poter indossare i loro gioielli o un orologio di lusso in Svizzera: da loro, non sarebbe possibile. L'altro aspetto interessante, notato durante la mia vicepresidenza alla European Travel Commission, l'Associazione europea di tutti gli uffici nazionali del turismo, è che la Svizzera può offrire turismo tutto l'anno. Per dodici mesi. Con offerte differenti. Anche innovative. Un'offerta sull'arco dell'anno si traduce altresì in posti di lavoro per tutti i mesi».

In questi trent'anni nell'industria ho capito una cosa: il turismo è piuttosto territoriale. Deve essere chiaro a tutti che il Ticino è svizzero. Più svizzero che italiano, sicuramente

In Ticino, non a caso, si parla spesso di destagionalizzare...
«Sì, Ticino Turismo sta spingendo molto su questo aspetto e sono contento che le autorità turistiche del cantone lo stiano facendo. Guai, insomma, a fare lo stesso errore di Italia, Francia o Grecia. Serviranno anni per destagionalizzare davvero, non è facile, ma è un passaggio molto, molto importante».

Sempre in Ticino, dall'esterno l'impressione è che ci siano troppi attori – Ticino Turismo, gli enti regionali – e poca capacità di lavorare davvero assieme per il bene comune: lei che ne pensa?
«Parliamo di un organo supremo cantonale e quattro organizzazioni per il marketing per altrettante destinazioni. La vostra è una delle strutture più snelle e vorrei che anche altrove, in altri cantoni, le cose fossero così chiare. Naturalmente, i vari attori devono lavorare insieme e assicurarsi che tutti sappiano chi sta facendo cosa. Ma è ciò che sta accadendo: c'è chi è responsabile del turismo internazionale e chi di quello locale, chi degli eventi e chi di altri aspetti. Noi, in quanto organizzazione turistica nazionale, lavoriamo davvero bene con i partner ticinesi. Bene e a stretto contatto».

Quanto conta il Ticino per Svizzera Turismo?
«È una regione turistica estremamente forte. Anche perché offre un'alternativa in termini culturali e linguistici. Non solo, storicamente il vostro cantone esprime il massimo del suo potenziale in estate. Ma il primo break al caldo, in primavera, di molti svizzeri è proprio in Ticino. Perché, banalmente, per i primi tepori e il primo cappuccino all'aperto bisogna scendere al sud. Ma lo stesso vale in autunno, con le temperature miti che da voi tengono più a lungo che altrove. Angelo Trotta, direttore di Ticino Turismo, giorni fa mi ha detto testuale: novembre ci appartiene, noi rivendichiamo novembre. Vuole e vogliamo, insomma, che questo diventi il mese del Ticino e per il Ticino».

In Ticino si parla anche di collaborare, a livello turistico, con l'Italia. Pensiamo al Lago Maggiore e al vicino Lago di Como. È qualcosa che vede di buon occhio?
«In questi trent'anni nell'industria ho capito una cosa: il turismo è piuttosto territoriale. Deve essere chiaro a tutti che il Ticino è svizzero. Più svizzero che italiano, sicuramente. La mia raccomandazione, venendo al caso specifico, è sempre valida: commercializzare Lugano, ad esempio, come vicina a Como la farebbe rientrare nell'orbita del mercato italiano. Sono aperto alle cooperazioni transfrontaliere, ma devo anche essere onesto: non ne conosco di successo. E badate bene: non sono un isolazionista. Penso, tuttavia, che prima di tutto dovremmo ottimizzare la collaborazione all'interno del nostro Paese».