Ticino e Lombardia si alleano e scrivono a Roma e Berna: «Rischiamo gravi ripercussioni»

Una lettera inviata a Berna e Roma per chiedere alle autorità nazionali di «tutelare l’economia e l’occupazione delle regioni di confine». Ma soprattutto, un appello ai Governi centrali affinché prestino «particolare attenzione alle dinamiche peculiari a cui sono soggette le realtà di frontiera tra Svizzera e Italia» e ne tengano conto «nell’elaborazione di eventuali iniziative politiche». Questa volta, il Ticino, la Lombardia e il Piemonte hanno deciso di fare fronte comune, scrivendo al capo del Dipartimento federale dell’economia Guy Parmelin e al ministro dell’economia Giancarlo Giorgetti, con l’obiettivo di tutelare l’economia nella regione insubrica.
Alla base, si legge nella lettera inviata dalla Regio Insubrica, ci sono i timori per quanto sta avvenendo a ridosso del confine. Nel Varesotto, infatti, la multinazionale Beko Europe ha annunciato la chiusura di due linee produttive e la casa motociclistica MV Augusta ha prospettato il licenziamento collettivo. Nel Verbano Cusio Ossola, invece, lo stabilimento Barry Callebaut terminerà l’attività entro giugno, mettendo a rischio molti impieghi. Alla luce delle prospettate chiusure, scrive la Regio Insubrica, «desideriamo condividere con le rispettive autorità nazionali la nostra preoccupazione, sia nel contesto della situazione specifica, sia in riferimento al quadro generale cui l’economia e il mercato del lavoro dell’area insubrica sono attualmente caratterizzati». La situazione attuale, evidenziano, «desta notevole preoccupazione», considerato l’importante numero di dipendenti coinvolti e l’impatto sul mercato del lavoro, tanto in termini di risorse umane («attualmente si parla di 541 operai a rischio posto di lavoro e 6.000 dipendenti della filiera potenzialmente colpiti in Provincia di Varese e di oltre 150 nella Provincia del VCO»), quanto di risorse logistiche e infrastrutturali.
Scambi per 50 miliardi
Senza dimenticare le ripercussioni sul Ticino, che - spiega Norman Gobbi, presidente della Regio Insubrica e consigliere di Stato - «rischia di risentire direttamente dell’impoverimento industriale registrato dalle regioni oltreconfine». Da un lato, infatti, «potremmo assistere a una crescente pressione sul nostro mercato del lavoro, con il rischio di accrescere anche la pressione sui salari». Dall’altro, «sono molte le ditte ticinesi o con sede in Ticino che acquistano da produttori e fornitori piemontesi e lombardi le componenti che poi vengono assemblate qui». Da qui, come detto, la richiesta che i Governi centrali siano più attenti alle zone di frontiera. Tanto più che, come evidenzia Gobbi, «la fascia di confine garantisce oltre il 40% del volume complessivo degli scambi commerciati tra i due Paesi. Scambi che ammontano a 50 miliardi di franchi e che testimoniano bene l’importanza della regione transfrontaliera, non solo per l’economia locale ma anche per le economie dei due Paesi». Insomma, ribadisce, «siamo una delle aree più ricche e produttive d’Europa, ma se lasciamo che il settore industriale si impoverisca le ripercussioni potrebbero essere gravi». In questo contesto, il pensiero va anche alle misure di risparmio volute dalla Confederazione. «Il Consiglio federale - prosegue Gobbi - intende ridurre i contributi per la politica regionale, quindi anche i fondi destinati all’innovazione e di aiuto alle aziende. Questo ci preoccupa, anche perché verrebbero meno anche i programmi di cooperazione transfrontaliera. Iniziative che, a nostro avviso, non devono essere indebolite, ma anzi potenziate ulteriormente».
Tassa sulla salute e sicurezza
In occasione del viaggio a Roma insieme all’assessore lombardo Massimo Sertori e il sottosegretario alla presidenza del Piemonte Alberto Preioni, Gobbi ha anche discusso con il ministro Giorgetti della cosiddetta «tassa sulla salute». «Attendiamo ancora la Legge di applicazione della Lombardia. Solo a quel punto potremo capire se è in contrasto o meno con il nuovo accordo fiscale sui frontalieri», dice il consigliere di Stato. Per poi aggiungere: «A mio giudizio, comunque, qualcuno dovrà versare questo contributo. I frontalieri non pagano la cassa malati in Svizzera, ma beneficiano dei servizi del sistema sanitario italiano. Il danno economico mi pare quindi evidente». Una posizione peraltro ribadita dallo stesso ministro Giorgetti solo pochi giorni fa, quando aveva rimarcato che «qualcuno deve pagare i costi della sanità». Pertanto, «se non la pagano i frontalieri, toccherà ai Comuni». Infine, sempre in tema di collaborazione con l’Italia, il direttore del DI ha anche incontrato diversi attori nell’ambito della sicurezza. «L’accordo di collaborazione in materia di polizia è in vigore da ormai dieci anni. Abbiamo quindi segnalato alcuni punti da rivedere, come ad esempio l’esigenza di potenziare la lotta alla criminalità organizzata e la necessità di arginare alcuni fenomeni preoccupanti - e che rischiano di mettere a rischio la sicurezza di tutta l’area di confine - come lo spaccio dei boschi nel Varesotto».