Lo studio

Abusi nella Chiesa: anche la diocesi di Lugano sotto la lente

La ricerca degli storici dell'Università di Zurigo mette in evidenza le problematiche legate all'archivio segreto della Curia: domani prevista la conferenza stampa con l'amministratore apostolico Alain de Raemy
©Chiara Zocchetti
Dario Campione
12.09.2023 12:08

(Aggiornato alle 20.00) C’è un grande vuoto, nella storia recente della Chiesa ticinese. Un vuoto documentale. Un vuoto che forse non permetterà di ricostruire in modo chiaro e attendibile i casi di abusi sessuali commessi, nel secolo scorso, da sacerdoti e religiosi nel territorio della diocesi della Svizzera italiana.

Nel «Rapporto» dell’Università di Zurigo pubblicato oggi, il capitolo dedicato alla Chiesa luganese formula ipotesi inquietanti e pone domande precise ai vertici della curia: gli attuali e i precedenti. Ed è del tutto prevedibile che, dopo una giornata di silenzio, proprio a queste domande l’amministratore apostolico Alain de Raemy vorrà rispondere domani mattina nella conferenza stampa convocata alle 9.30.

Un compito non facile. Perché le accuse delle due ricercatrici zurighesi sono molto esplicite: tra la metà e la fine degli anni Novanta, su indicazione probabilmente del vescovo Eugenio Corecco (in carica dal 5 giugno 1986 al 1. marzo 1995), fu decisa la «distruzione di documenti» la cui «entità non è ancora stata» del tutto chiarita.

Nessun inventario

«L’archivio storico della diocesi» di Lugano, si legge nel rapporto, «è stato gestito per molti anni da personale non specializzato in archivistica. A oggi, non esiste un inventario del patrimonio e le scatole sono ordinate solo sommariamente per argomento».

Tutto il materiale documentario diocesano è suddiviso in tre aree: una liberamente consultabile; una che conserva atti «confidenziali non accessibili al pubblico (ad esempio su sacerdoti che sono entrati in conflitto con la diocesi, ma non per casi di abusi sessuali)»; e una, infine, segreta, dove sono stati collocati anche gli incartamenti «relativi ai cosiddetti sacerdoti considerati “problematici” al momento dell’indagine».

È ovvio che sia proprio l’archivio segreto ad accogliere «i dossier di maggiore interesse per il progetto pilota» commissionato all’Università di Zurigo. Questa parte dell’archivio, infatti, «contiene i “casi riservati” di sacerdoti diocesani o extra-diocesani e di membri di congregazioni religiose, ed è stata recentemente riordinata dall’attuale archivista, don Carlo Cattaneo».

Ma c’è un ma: i ‘casi riservati’ «contengono decine di dossier che, tuttavia, non documentano solo casi di abusi sessuali, ma anche comportamenti problematici agli occhi della Chiesa per altri motivi, come rapporti con donne o uomini adulti». Inoltre, «questi “casi riservati” evidenziano una difficoltà centrale della situazione delle fonti nella diocesi di Lugano: i documenti in essi conservati sono spesso frammentari a causa della prassi archivistica, circostanza che rende difficile la ricostruzione dei casi di abuso. Diverse fonti suggeriscono che le lacune riscontrate siano dovute anche alla distruzione di documenti da situare tra la metà e la fine degli anni Novanta, la cui entità non è ancora stata chiarita. Nel 1995, ad esempio, stando a una lettera del vicario generale al nunzio apostolico, un sacerdote ricevette dall’allora vescovo Eugenio Corecco l’ordine di “[…] bruciare quanto era nei […] cassetti [del vescovo] riguardante i sacerdoti […]. Quanto nell’archivio segreto è rimasto, ma senza la documentazione trattenuta da Corecco e, come detto, bruciata”».

Corrispondenza distrutta

«Il sacerdote in questione - si legge ancora nel rapporto - è stato contattato dal gruppo di ricerca e ha negato di aver ricevuto l’ordine di distruggere la corrispondenza che avesse come tema gli abusi sessuali. Queste affermazioni contraddittorie rendono impossibile confermare con certezza la distruzione di documenti».

Tuttavia, nel luglio del 1999, in una nota dattiloscritta conservata nello stesso archivio segreto, un altro sacerdote scriveva alla diocesi: «Ho concluso il lavoro assegnatomi e che è durato circa 10 mesi. È stato un impegno che ho svolto con il criterio evangelico della “misericordia”, togliendo tutti quei documenti che gettassero anche un’ombra sugli interessati. Il mio parere, maturato lungo il lavoro, è che questi documenti non vengano conservati e che prendendo come norma il can. 489.2 siano distrutti. Non servono per la storia della diocesi […] P.S. I documenti esaminati concernono gli ultimi cento anni».

«Ogni anno si distruggano i documenti che riguardano le cause criminali in materia di costumi, se i rei sono morti oppure se tali cause si sono concluse da un decennio con una sentenza di condanna, conservando un breve sommario del fatto con il testo della sentenza definitiva», dice il canone citato. Purtroppo, però, di questi brevi sommari non ci sono tracce. E ormai, chiosano gli estensori del rapporto, non è più possibile accertare se il sacerdote censore «si sia attenuto a questi requisiti - che sono in realtà alquanto specifici - o se abbia invece deciso del destino dei documenti secondo una definizione soggettiva di “misericordia”».