L’intervista

«Cinema commerciale da sempre, ma oggi...»

Roberto Turigliatto, storico curatore delle retrospettive del Festival del Film di Locarno, racconta la «scoperta» dell’attuale direttore, Giona Nazzaro, e il suo attaccamento al mondo della pellicola: «Non solo un talebano, apprezzo il digitale quando è fatto bene. Oggi il 35 millimetri è diventato un’esperienza e le bobine sono considerate opere d’arte»
Roberto Turigliatto, 70 anni, critico cinematografico e storico curatore delle retrospettive al Locarno Film Festival
Jona Mantovan
05.08.2021 19:00

Roberto Turigliatto, 70 anni, è il «veterano» delle retrospettive del Locarno Film Festival, ne ha curate almeno sei «ma due le ho fatte insieme ad altri», sottolinea (guarda il video allegato all’articolo). Si tratta della sezione della rassegna che, ogni anno, immerge gli spettatori nella storia del cinema. Spesso portando vere e proprie perle, scovate negli archivi di mezzo mondo e proiettate nella sala del GranRex. Quest’anno i riflettori sono puntati su Alberto Lattuada, che nella sua carriera ha attraversato oltre 40 anni di storia del cinema italiano, dall’esordio nel 1943 con «Giacomo l’idealista», fino a «Una spina nel cuore» (1986). Ma non è tutto: Turigliatto mercoledì—all’apertura della «maratona» del 2021—ha ricevuto un ringraziamento speciale dal direttore artistico Giona A. Nazzaro: «Se sono entrato nel mondo dei festival è proprio grazie a Roberto», ha detto. «Mi ha fatto piacere che ne abbia parlato. Sì, penso che abbiamo avuto un ottimo fiuto, all’epoca!», scherza Turigliatto nell’intervista al Corriere del Ticino.

Turigliatto racconta i retroscena da «scopritore di talenti»: «Io e Giulia D’Agnolo Vallan dirigevamo il Torino Film Festival. Un ruolo che ho ricoperto per quattro anni. Anche se, in realtà, sia io sia Giulia avevamo lavorato da anni per la manifestazione, con incarichi diversi. All’epoca, una volta direttori, avevamo scelto due giovani come selezionatori e programmatori. Uno era, appunto, Giona Nazzaro, l’altro Lorenzo Esposito. Evidentemente avevamo avuto il fiuto. Giona è direttore artistico, mentre Lorenzo oggi è a Berlino, dopo aver lavorato qui a Locarno insieme a Chatrian...».

Per tornare a Locarno, Turigliatto spiega come si inserisce la retrospettiva nel Festival: «Locarno è un festival che si concentra sul giovane cinema internazionale, soprattutto indipendente, molto documentario... vogliamo creare un polo non alternativo, ma complementare: per avere un’idea della totalità, della complessità del cinema».

L’impegno del critico cinematografico e curatore delle retrospettive si concretizza in una caccia alla bobina introvabile, magari scoperta in un angolo dimenticato di un archivio remoto. Una sorta di «Indiana Jones» del 35 millimetri? «Questa è un’esagerazione!», esclama divertito. «Gli archivi esistono e hanno più o meno schedato tutto... però è anche vero che parecchi dei film che sono proiettati qui non potrebbero essere proiettati altrove. Perché sono copie uniche di cineteca, ad esempio. Quest’anno è capitato che dei due film di Lattuada in coproduzione con la Francia, ‘L’imprevisto’ e ‘Lettere di una novizia’ non si trovassero le copie italiane. La Cinémathèque française ci ha dato le copie uniche che hanno loro».

Nell’era dello «streaming», il celluloide con i proverbiali 24 fotogrammi al secondo diventa un oggetto-opera d’arte: «Io ho fatto una battaglia per conservare il 35 millimetri come formato originario con cui è stato realizzato il cinema del Novecento. Una battaglia difficilissima. Intendiamoci, però. Non sono un talebano che rifiuta il digitale quando c’è un restauro fatto a regola d’arte. Noto tuttavia che ritorna quest’aurea del ‘trentacinque’ che non sarà mai più ristampato in questo formato. Un materiale che la cineteca conserva e che tende a non concedere più in prestito, proprio perché sa che è diventato un’opera d’arte da tutelare».

Il pubblico del Festival, abituato a costruirsi un proprio palinsesto entrando e uscendo in libertà tra le varie sale, apprezza: «Mi piace e mi sorprende vedere una certa eterogeneità, composta non dai soli addetti ai lavori, che ricrea quel che è stato il pubblico cinematografico, che era indifferenziato». Nel Novecento è stata un’arte popolare, che non era per pochi ma comunque di alto livello», sottolinea, precisando che, in realtà, «il cinema è sempre stato commerciale. Ed era sempre di altissimo livello. Adesso, invece, c’è un cinema commerciale con un livello basso. È questo il problema!», conclude Turigliatto.