Lavoro

Delocalizzazione, la Cebi di Stabio sposta i macchinari

L’azienda che impiega oltre 600 dipendenti era finita al centro della bufera sul salario minimo
© Ti-Press / Elia Bianchi
Francesco Pellegrinelli
07.09.2022 06:00

Alla fine, in sordina, sono partiti i macchinari. Una parte. Direzione Est Europa, con tanto di personale appresso per la formazione dei nuovi dipendenti. In una parola: delocalizzazione.

Assieme alla Plastifil e alla Ligo Electric, la Cebi di Stabio era una delle tre aziende del Mendrisiotto che avevano sottoscritto un contratto collettivo con soglie salariali inferiori al minimo legale. «Una necessità temporanea» per evitare licenziamenti e delocalizzazioni. Così avevano spiegato i vertici dell’azienda, assieme all’associazione di categoria Ticino Manufacturing e TiSin, oggi Sindacato libero della Svizzera italiana (SLSI), nel momento della bufera mediatica, ossia quando i sindacati storici, UNIA e OCST, denunciarono - proprio davanti ai cancelli della Cebi - «la scorciatoia» intrapresa da queste aziende per aggirare l’ostacolo del salario minimo. Una via lasciata aperta dalla legge, che la politica condannò compatta a stretto giro di posta. Lo stesso Sindacato libero della Svizzera italiana, all’epoca TiSin, per bocca del suo presidente Nando Ceruso, affermò che il CCL presentava soglie inferiori al salario minimo ma che «costituiva una proposta di percorso contrattuale». Insomma, se la situazione economica delle aziende fosse migliorata, sarebbero partite le trattative per adeguare le retribuzioni verso l’alto. Il resto è storia. Il PS ha lanciato una raccolta firme per rivedere al rialzo le soglie del salario minimo, abrogando nel contempo la possibilità di deroga in caso di CCL, fissando la soglia minima a 21.50.

Un anno dopo

E ora? Un anno dopo la bufera del salario minimo, la Cebi ha delocalizzato parte della produzione, circa 40 macchinari, procedendo nel contempo all’interruzione di alcuni contratti di lavoro. Il presidente del sindacato SLSI, Nando Ceruso, da noi contattato, per il momento ha preferito non commentare. Con la direzione dell’azienda, invece, ieri non è stato possibile parlare.

L’entità del trasferimento e i motivi all’origine della scelta sono ancora tutti da chiarire ma la nuova soglia salariale del contratto normale di lavoro cui l’azienda è stata sottoposta dopo la sentenza del Tribunale federale, assieme alla forza del franco e ai costi dell’energia, può aver influito sulla decisione dei vertici.