Giudiziaria

Dieci anni per le anfetamine dalla Siria: la condanna all'imprenditore italo-svizzero è definitiva

Confermata nell’ultimo grado di giudizio la pesante pena inflitta in Italia a un imprenditore italo-svizzero: tramite una società di Lugano, il 47.enne aveva fatto arrivare al porto di Salerno 14 tonnellate di captagon
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Federico Storni
18.09.2023 06:00

«Era un soggetto pienamente inserito negli ambienti del narcotraffico internazionale». Un giudizio espresso dai giudici di merito italiano e confermato la scorsa primavera (ma le motivazioni sono state depositate solo negli scorsi giorni) dalla Corte di Cassazione, grossomodo l’equivalente del nostro Tribunale penale federale. Stiamo parlando del più grosso sequestro di anfetamine mai compiuto nel Mediterraneo (forse nel mondo): oltre 14 tonnellate di captagon (un’anfetamina) rinvenute in dei container nel 2020 nel porto di Salerno, «con mittente inesistente e destinate in parte in Libia e in parte in Arabia Saudita». A occuparsi della spedizione una ditta con sede a Lugano, riconducibile a un imprenditore 47.enne italo-svizzero che per questo era stato condannato a dieci anni di carcere; sentenza per l’appunto confermata negli scorsi mesi. Da parte sua il condannato aveva sostenuto di non essere consapevole della natura illecita del carico, ma anche di credere che «lo stupefacente non fosse destinato allo spaccio», bensì a forze armate operanti in zone di guerra». Anche per la Corte di cassazione, però, l’impianto accusatorio ha tenuto: «La Corte di merito, con motivazione esente da vizi logici e giuridici, ha diffusamente esplicitato le ragioni del proprio convincimento in ordine all’esatta ricostruzione della vicenda e alle ragioni per cui ha ritenuto che l’Amato avesse avuto contezza certa dell’illecito carico di droga presente all’interno del container».

La cocaina in aereo

L’arresto dell’imprenditore è stato l’equivalente del proverbiale battito d’ala di farfalla in ambito giudiziario, in quanto ha permesso agli inquirenti di aprire due altre inchiesta. Quella del captagon non è infatti l’unica spedizione sospetta imputata al 47.enne. In un’altra inchiesta italiana con importanti addentellati in Ticino - vicenda che deve ancora approdare in aula penale, a differenza delle anfetamine - l’uomo è accusato di aver tentato di fare arrivare in Italia ingenti quantità di hashish dal Marocco e 600 chili di cocaina dal Sudamerica, per conto di un’organizzazione albanese. Anche in questo caso l’uomo si sarebbe occupato delle spedizioni. E non solo lui: sul registro degli indagati sono finite (almeno) altre tre persone residenti nel nostro Cantone: un imprenditore attivo nell’ambito dell’aviazione e già noto alle cronache giudiziarie, un ex maresciallo dei Carabinieri (nella cui abitazione nel Luganese sarebbero stati rinvenuti 125.000 euro in contanti nascosti in un elettrodomestico della cucina) di recente condannato in via definitiva per una questione di riciclaggio tra Italia e Svizzera, e un broker italo-svizzero. I primi tre erano o già in stato di fermo o già stati fermati durante l’inchiesta, mentre l’ultimo - ma sono notizie ormai di due anni fa e le cose potrebbe essere mutate: non siamo riusciti ad appurarlo - era risultato irrintracciabile.

Riciclaggio in Albania

A questo proposito, torniamo al battito d’ali. Perché dalle intercettazione è emerso che il broker irrintracciabile sarebbe implicato in un’altra vicenda ancora. Quella cioè - questa quantomeno l’ipotesi accusatoria - di aver cercato di far sparire una ventina di milioni riconducibili a Francesco Zummo, imprenditore italiano fra gli autori del cosiddetto «Sacco di Palermo», a cui in Italia negli scorsi anni erano stati sequestrati circa 150 milioni di euro (fra cui una ditta palermitana fondata nel 1974: la Ponte Tresa Costruzioni srl). Il broker avrebbe in sostanza dato una mano nella presunta operazione truffaldina. Non sarebbe peraltro stato solo (anche qui la vicenda a nostra conoscenza non è ancora approdata in aula): agli arresti in Italia vi è un avvocato di Zummo e in Albania fra gli altri è stato rinviato a giudizio quasi un anno fa un petroliere albanese noto per i suoi investimenti passati in squadre di calcio italiane e su cui ora pende un mandato di cattura internazionale per il ruolo che avrebbe avuto nella vicenda, vale a dire mettendo a disposizione i suoi conti. Lo scorso aprile, riporta la stampa albanese, per il loro coinvolgimento in questa vicenda sono stati condannati l’autista e il cognato del petroliere a 7 anni e 4 mesi e a 6 anni e 8 mesi.