È stato un massacro fisico e psicologico

(Aggiornato alle 23.06) Lo hanno preso a schiaffi, pugni e calci. Anche al volto, anche mentre era a terra. Lo hanno investito con l’auto, lo hanno trascinato legandolo al retro della vettura. Poi lo hanno messo sul tetto guidando per quasi un chilometro a ottanta all’ora, ridendo. Lo hanno obbligato a spogliarsi al freddo, hanno affondato il suo viso nella neve. Lo hanno colpito con una spranga di ferro, gli hanno dato la scossa con i cavi per la batteria. Lo hanno cosparso di benzina, minacciandolo con un accendino. L’hanno umiliato, provocandogli ferite difficili da guarire.
È la cronaca di un massacro fisico e psicologico, l’atto accusa della procuratrice pubblica Valentina Tuoni nei confronti dei sei ragazzi tra i 21 e i 33 anni che lo scorso inverno, con ruoli e in momenti diversi, hanno riversato la loro violenza su un diciottenne del Mendrisiotto che non aveva pagato un debito di droga di duemila franchi, poi saliti a settemila con gli interessi. Gli imputati, tre ticinesi, un cittadino colombiano, un italiano e un rumeno, tutti residenti nel Luganese, sono a processo da ieri alle Criminali di Lugano di fronte al giudice Amos Pagnamenta e alla giuria popolare e sono accusati, a vario titolo, di una serie di reati fra cui tentato omicidio intenzionale, sequestro di persona, esposizione a pericolo della vita altrui e omissione di soccorso. Ammettono i fatti.
Ore di terrore
Quelle subite dalla vittima sono state delle vere e proprie spedizioni punitive. Nella prima, dopo aver attirato con l’inganno il diciottenne, una notte di dicembre, quattro degli aggressori l’hanno caricato in auto e portato in una zona discosta della Leventina, dove l’hanno sottoposto a violenze di ogni genere per farsi consegnare il denaro che doveva a uno di loro. Parte della somma, in teoria, sarebbe poi dovuta andare agli altri componenti del gruppo.
Il mattino dopo la vittima è stata portata in un’abitazione di Cadro e messa nuovamente sotto pressione affinché pagasse. Il secondo episodio si è consumato il mese successivo con un copione simile. Dopo averlo incontrato a Riazzino, sempre per discutere del debito, gli imputati hanno portato il diciottenne in auto a Vezia, dove ha dovuto sopportare un’altra ondata di violenza. Ad essa hanno partecipato anche gli altri due imputati e uno di loro, a cui il ragazzo non aveva restituito un prestito di settecento franchi, l’ha colpito con una spranga e obbligato, quando ormai era inerme, ad ingoiare un suo sputo.
Distrutto dentro e fuori, il diciottenne è stato trovato da alcuni passanti e portato in ospedale. Ma la denuncia non è scattata subito. Il ragazzo temeva ritorsioni. L’identità dei suoi aguzzini non ha voluto rivelarla nemmeno al padre, che era andato a riprenderlo dopo la prima aggressione. Solo più avanti ha raccontato tutto. E sono scattate le manette.
Una vita non facile
«Per paura - ha detto in aula l’avvocato della vittima, Sandra Xavier - il mio cliente non voleva nemmeno costituirsi accusatore privato. Diceva ‘quelli mi hanno già fatto a pezzi...’». Xavier ha poi ripercorso la vita del suo assistito, segnata da una situazione familiare non facile. La tossicodipendenza ha complicato le cose e lo ha portato ad accumulare debiti che non riusciva più a ripagare. Come quello che ha innescato i pestaggi.
Per un mese, dopo i fatti, ha dovuto assumere antidolorifici e antinfiammatori. Ma le ferite più profonde sono altre. «Gli ha fatto male, durante l’inchiesta, ricordare tutto quello che è successo. Alcune cose erano talmente difficili da accettare che ha provato a negarle, mentre gli imputati le confermavano. È stato violato nel corpo e nell’anima. È passato un anno, ma ha ancora paura. E oltre a questo - ha aggiunto Xavier - ha ricevuto una denuncia mendace per un reato odioso, violenza carnale, orchestrata dai familiari di un imputato e poi ritirata».
«Il caso più agghiacciante»
Chiedendo pene dai 6 agli 11 anni, la procuratrice pubblica ha parlato di «crudeltà inaudita nei confronti di un ragazzo che non ha mai avuto un atteggiamento provocatorio». Tuoni ha poi criticato l’atteggiamento degli imputati durante l’inchiesta, caratterizzato a mente sua da «menzogne, banalizzazione, mancata assunzione di responsabilità, colpevolizzazione della vittima e mancanza di rispetto nei confronti delle autorità». La procuratrice ha poi sottolineato la responsabilità degli accusati come gruppo:«Ognuno di loro ha sposato ogni singola azione commessa: sono tutti corresponsabili per aver messo in pericolo la vita della vittima. Nessuno si è dissociato o ha fatto in modo che i soprusi terminassero. Troppe volte ho sentito dire ‘io non c’entro’ o ‘quello l’ha fatto lui’». «È una delle pagine più vergognose della storia del nostro cantone - ha affermato la pp -, il caso più agghiacciante che abbia visto negli ultimi decenni».
«Non c’era contradditorio»
La prima giornata del processo si è conclusa con l’arringa dell’avvocato Sabrina Aldi, patrocinatrice dell’imputato che aveva un credito di settecento franchi con il diciottenne. «Non ci sono dubbi che il mio cliente abbia sbagliato, ma va prosciolto dall’accusa di tentato omicidio:non ci sono prove che i suoi calci fossero abbastanza forti da rischiare di uccidere la vittima». Secondo Aldi non regge nemmeno l’accusa di sequestro di persona, «perché il mio assistito ha saputo solo in seguito tutto quello che era successo quel giorno». La legale ha poi sottolineato il fatto che la vittima non abbia confermato le sue dichiarazioni in un contraddittorio con i difensori degli imputati. Come detto, ad un certo punto non voleva più saperne, non voleva ripercorrere quei momenti. «La sua rabbia è comprensibile - ha chiarito Aldi - ma di fronte a richieste di pena così importanti serve la collaborazione della parte lesa nell’accertamento della verità».