"I confini non sono barriere impenetrabili"

Nella sua omelia sul passo del San Gottardo, Monsignor Valerio Lazzeri ha toccato il problema della migrazione - LE FOTO
(Foto Maffi)
Red. Online
01.08.2015 10:18

PASSO DEL SAN GOTTARDO - Come da tradizione, il Vescovo di Lugano S.E.R. Mons. Valerio Lazzeri ha tenuto la sua omelia per la festa federale del 1. agosto sul passo del San Gottardo, davanti a parecchie centurie di persone e fedeli. Purtroppo il tempo non è stato dalla loro parte, la nebbia e la pioggia hanno accompagnato le parole del Vescovo. La cerimonia è stata trasmessa in tutto il Paese dalla SSR-SRG Ideée Suisse e Monsignor Lazzeri ha parlato nelle quattro lingue nazionali.

Tra le altre domande, Monsignor Lazzeri si è chiesto "quale significato può avere per noi il ritrovarci a celebrare l'Eucaristia in questo giorno della Festa nazionale? Perché radunarci sul passo del San Gottardo, crocevia di continui scambi e luogo d'incontro tra culture diverse?" e prendendo spunto da un passaggio dell'Antico Testamento ha tracciato un parallelismo tra i movimenti migratori odierni con il panico che preso Balak, Re di Moab, per l'invasione del suo paese da parte di un popolo sconosciuto.

"Il suo paese sta per essere invaso da un popolo sconosciuto – le tribù d'Israele da poco entrate in terra di Canaan – e non sa più che cosa fare. Nella disperata ricerca di un rimedio alla catastrofe imminente, si rivolge a Balaam, un indovino pagano, e lo incarica di maledire gli invasori prima che distruggano la sua patria. Nel momento cruciale, però, dalla bocca del mago escono parole del tutto inattese, contrarie alle sue aspettative: "come maledirò quel che Dio non ha maledetto? Come minaccerò quel che il Signore non ha minacciato?". Balak deve allora arrendersi all'evidenza: non c'è solo il diritto sacrosanto di abitare la propria terra, di essere protetti fra le quattro mura della propria casa, di essere sicuri nella propria patria. Il bisogno umanissimo di proteggersi e di stare bene deve sempre fare i conti con un orizzonte più vasto: il Signore che, partendo da Abramo, vuole far giungere la sua benedizione a tutti i popoli"

Monsiglior Lazzeri ha poi aggiunto: "Penso alle occasioni in cui ho potuto incontrare alcuni richiedenti l'asilo nel nostro Paese. Devo riconoscere che in quei momenti il nostro cuore può sentirsi lacerato tra il desiderio di aiutare e la percezione di non potercela fare. Anche in questo però Gesù ci consola facendo sue le nostre fatiche. Ricordate la frase da Lui  pronunciata: "non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini". Qui Gesù mostra di conoscere da dentro il bisogno di protezione che tutti abbiamo. Anche Lui ha avuto la preoccupazione che in fondo regge ogni ordinamento nazionale, ogni costituzione e ogni legge particolare: garantire prima di tutto i diritti dei figli, di quelli che abitano lo stesso luogo e condividono i beni e le risorse di una determinata terra.

È il pensiero che ci abita, quando ci riferiamo alla nostra Patria. Non possiamo non prendercene cura. Ne va delle generazioni future. Come ci ricorda Papa Francesco nella sua Enciclica recente, siamo chiamati a essere "amministratori responsabili" della nostra "casa comune" e questo si realizza prima di tutto in quello spazio preciso di terra che ci è stato affidato dal Creatore.

Gesù però ci fa andare oltre. Non si ferma a questo. Attraversa la durezza. Si lascia plasmare dal contrattempo, dall'incontro imprevisto, dal dialogo non programmato. Si lascia portare fuori dall'ambito circoscritto della sua patria interiore, biologica, psicologica e culturale. Si lascia raggiungere dalla voce del Padre celeste che gli arriva in quel momento attraverso la fede audace della donna straniera: "è vero, Signore – disse la donna –, eppure i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni".

Riconoscendo la fede di questa donna pagana, Gesù "di due ha fatto una cosa sola, abbattendo il muro di separazione che li divideva, cioè l'inimicizia, per mezzo della sua carne". È andato oltre il confine. Non lo cancella con un colpo di spugna, con una teoria astratta e irreale di uguaglianza, incapace di tenere conto del nostro essere corporei e mortali. Passando attraverso le nostre angustie, crea "in se stesso, dei due, un solo uomo nuovo, facendo la pace" e riconcilia "tutti e due con Dio in un solo corpo, per mezzo della croce, eliminando in se stesso l'inimicizia".

Ecco la speranza che, come cristiani, annunciamo ogni Primo di agosto, venendo in questo luogo simbolico, che fa della nostra Patria una terra di passaggio e di incontro, di convivenza pacifica tra diversi e un'opportunità di sempre nuovi attraversamenti. Non illudiamoci! Non ci sono soluzioni prodigiose che ci possono evitare il confronto quotidiano con la fragilità delle nostre difese e delle nostre delimitazioni territoriali. Gli immensi fenomeni migratori che caratterizzano il nostro tempo non si bloccano con la magia. S'ingannava, a questo proposito, Balak, Re di Moab. I confini non sono mai barriere impenetrabili. E d'altra parte, è illusorio fare come se essi non esistessero. I confini sono la pelle di un organismo vivente. Quello che siamo impegnati ogni giorno a far crescere insieme, alimentandolo e curandone le ferite. E come la pelle del nostro corpo separa e insieme rende possibile il contatto, così il confine dà il senso vero dell'io e del tu, del noi e del voi. Contiene ciò che ci è caro e insieme ci permette di irradiarlo e di comunicarlo.

Possa questa consapevolezza, che oggi rinnoviamo in questo luogo speciale, rendere più gioiosa la nostra festa, più luminosa la nostra gratitudine per il dono della nostra Patria, più intelligenti e generosi nell'offrirla come spazio di rifugio a chi ne ha bisogno, più umili e semplici nell'accoglierla ogni giorno come vocazione a cui rispondere, come impegno di fraternità, di solidarietà e di pace gli uni verso gli altri".

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