Violenza sulle donne

I numeri oltre il dramma

25 femminicidi e 9 tentati femminicidi in Svizzera da gennaio 2021, quattro negli ultimi 15 giorni – Frida Andreotti: «Il braccialetto elettronico? Può essere un deterrente, ma non vogliamo illudere le vittime: è sorveglianza passiva» – Angelica Lepori: «La prevenzione passa dal mandare messaggi chiari»
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Jenny Covelli
26.10.2021 06:00

È il 26 ottobre. Il 299. giorno del 2021. Mancano 67 giorni alla fine dell’anno. E in Svizzera ci sono già stati 25 femminicidi e 9 tentati femminicidi. Nelle ultime due settimane sono state uccise due 30.enni, una a Zurigo dal marito 46.enne, l’altra da un 27.enne a Netstal (Glarona). Un 53.enne a Vandoeuvres è stato arrestato per avere sparato alla moglie, 58 anni. A Solduno, giovedì 21 ottobre, un 20.enne ha sparato all’ex fidanzata di due anni più grande. Lei, fortunatamente, è sopravvissuta. «Dramma, dolore e preoccupazione», come titolava l’editoriale del direttore del CdT sul domenicale. Sono numeri da capogiro. Che mostrano un’immagine diversa della bella Svizzera. Nel nostro Paese una donna viene uccisa ogni due settimane dal marito, dal partner, dall’ex partner, dal fratello, dal figlio o da uno sconosciuto – si legge su stopfemizid.ch -. Ogni settimana una donna sopravvive a un tentato femminicidio». E tra un mese esatto, il 25 novembre, si celebra la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne.

Quando accadono fatti come quello di Solduno, si torna a parlare di violenza. Vengono intervistati procuratori, psichiatri, avvocati, criminologi. Partono interrogazioni, si mobilitano le associazioni. Le autorità e gli enti statali rivendicano le loro conquiste. Ma, concretamente, sono i numeri a parlare. E i numeri dicono che il problema della violenza sulle donne è più ampio di quanto si pensi. «Il mio assistito è un ragazzo psichicamente instabile, già da anni», ha detto il legale del 20.enne responsabile dell’aggressione nel Locarnese. Il giovane, in estate, si era mostrato minaccioso e nei suoi confronti era stato intimato un divieto di avvicinarsi alla ticinese. L’avvocato Daniele Jörg, presidente dell’associazione Consultorio delle donne, si è espresso su La Domenica: «Non sarebbe possibile imprigionare preventivamente o legare a una catena ogni persona che ne minaccia un’altra - ha spiegato -. Non ci sarebbe abbastanza spazio in carcere e poi per quanto tempo si dovrebbe mantenere una tale misura?».

Un braccialetto elettronico, che «non illuda le vittime»
Il Consiglio federale ha fissato al 1. luglio 2020 l’entrata in vigore della Legge federale per migliorare la protezione delle vittime di violenza. Tra le modifiche di legge, vi è l’entrata in vigore dell’art. 28c del Codice civile che disciplina l’uso della sorveglianza elettronica. E dal 1. gennaio 2022 prevede, anche in ambito civile, l’utilizzo del braccialetto elettronico con una sorveglianza passiva. Che permette, cioè, di controllare il rispetto di un divieto imposto dal pretore a posteriori. Si analizzano i dati raccolti dal GPS e si controlla che l’autore non abbia violato, per esempio, una determinata «area di sicurezza». Una misura puntuale, che però non è sorveglianza attiva. «Proteggiamo la personalità della persona, ma non la sua integrità – commenta Frida Andreotti, direttrice della divisione della giustizia del Dipartimento delle istituzioni -. Non vogliamo illudere le vittime, questo tipo di braccialetto è un mezzo probatorio che non serve a proteggere. Ma su certe persone può sicuramente avere un effetto deterrente».

Protezione, prevenzione, perseguimento e politiche coordinate sono tra gli obiettivi strategici a livello politico. Un lavoro che viene coordinato a livello federale e concretizzato a livello cantonale. Il Ticino dovrebbe presentare il messaggio sul piano di azione cantonale per il contrasto alla violenza domestica proprio tra un mese, il 25 novembre, in occasione della ricorrenza internazionale, spiega Andreotti. Allo stesso tempo, la Confederazione ha messo in consultazione il piano federale. «Bisogna concretizzare la Convenzione di Istanbul» che in Svizzera è entrata in vigore nell’aprile del 2018. Inoltre, in settembre il Consiglio degli Stati (dopo il Nazionale) si è detto favorevole alla creazione di una rete di consulenza professionale a livello nazionale, disponibile online e telefonicamente 24 ore su 24 per le donne vittime di violenza.

Il collettivo femminista
Parallelamente, c’è qualcun altro che ha realizzato un «piano d’azione» per l’eliminazione della violenza sulle donne. È un piano «femminista» le cui autrici sono membre del collettivo «Io l’8 ogni giorno». Che al Governo ticinese chiedono (tra le altre cose): che le donne possano rivolgersi a un numero di emergenza specifico raggiungibile 24 ore su 24; campagne informative; che le farmacie e gli studi medici siano luoghi dove le donne possono chiedere aiuto e che possano comunicare il loro disagio anche con parole chiave; che dopo un intervento della polizia vi sia la possibilità che la donna sia contattata dal Consultorio o dalla Casa delle Donne; che siano aumentati i luoghi sicuri e i posti per donne vittime di violenza e i loro figli, come pure i posti letto per uomini abusanti; che gli uomini che sono autori di violenza non possano più rientrare a casa dopo le due settimane di allontanamento previste per legge; che venga garantito alle donne che desiderano sottrarsi a situazioni di violenza un reddito d’emergenza; che siano rese obbligatorie formazioni mirate e corsi di aggiornamento per tutte le figure professionali che entrano in contatto con vittime di violenza; e un’attenzione particolare per le donne migranti. «In generale quello che proprio manca è una capacità di accogliere, ascoltare le vittime di violenza – spiega Angelica Lepori, del collettivo -. C’è anche una difficoltà nel sapere a chi rivolgersi ed è sempre difficile riuscire a orientarsi tra i servizi che ci sono». Lepori evidenzia anche una serie di problemi «a livello di giustizia che tende a colpevolizzare la vittima, ad esempio chiedendo a alla donna che ha subito uno stupro se ha fatto capire chiaramente il suo ‘‘no’’ all’uomo. Un meccanismo che nasconde una cultura tale per cui il corpo di una donna è un corpo a disposizione. O ancora quando va alla ricerca di una causa psicologica o una sofferenza alla base di un gesto estremo commesso da un uomo, come a ‘‘giustificare’’ in qualche modo certi atti».

Presa di coscienza ed educazione
La direttrice della divisione della giustizia del Dipartimento delle istituzioni sottolinea che, oltre alla prevenzione, già oggi nel nostro cantone si fa un lavoro sugli autori di violenza. Se ne occupa l’Ufficio dell’assistenza riabilitativa che svolge in generale una funzione socio-educativa operando nell’ambito penale e post-penale assumendo, tra le altre cose, la consulenza e il sostegno di persone che hanno, o si presume abbiano, esercitato violenza domestica. «Quando una persona viene allontanata dal domicilio, c’è una norma sulla legge di polizia che consente a questo ufficio di prendere contatto con l’autore e discutere di quello che è successo. E troppo spesso questi personaggi dicono ”sì, ma non è così grave”. Il dialogo che ne segue permette alla persona di scegliere di seguire autonomamente un programma anti-violenza. E la volontarietà, in questi casi, è la chiave di volta, perché avviene con presa di coscienza». Un lavoro che però, anche in questo caso, avviene a posteriori. Le istituzioni arrivano dopo.

«Sono d’accordo che bisognerebbe ‘‘educare ai sentimenti’’ – conclude Andreotti -. E questo è un altro tema del piano cantonale. La presa di consapevolezza, da entrambe le parti, è fondamentale. Il nostro lavoro in ambito di prevenzione consiste anche nell’aiutare a riconoscere quando un rapporto non è sano e come dovrebbe invece ‘‘operare’’ la coppia. Dobbiamo essere concreti e pragmatici». Un principio che fa suo anche Angelica Lepori: «Ci vuole un’educazione all’affettività, alle relazioni. E la prevenzione passa dal mandare messaggi chiari: se io potenzio i servizi di ascolto, di cura per le donne, mando il messaggio che come società non accetto queste cose e proteggo le vittime. Che messaggio mando – aggiunge – se invece chiedo alla donna vittima di stupro com’era vestita o concedo un porto d’armi a un uomo che ha problemi psichici? La società ha il dovere di proteggere le donne da queste situazioni».