«In aula bisogna parlare meno»: ma la proposta divide la politica

Interventi lunghi, doppioni, sovrapposizioni. È in un Parlamento sempre più frammentato, in cui il dibattito spesso si incaglia diventando ridondante, che è nata l’esigenza di ridurre i tempi di parola dei deputati. Un’esigenza di una parte della politica tradotta in un’iniziativa presentata la scorsa primavera da Giuseppe Cotti e Paolo Caroni (il Centro) assieme a colleghi di UDC, PLR e Avanti con T&L. In soldoni, i deputati chiedono di comprimere i tempi di parola (anche del Governo) per accelerare i lavori parlamentari. Il tutto, attraverso modifiche puntuali alla Legge sul Gran Consiglio, che regola anche la forma del dibattito e il relativo «minutaggio».
Martedì, dalla Commissione Costituzione e leggi sono usciti due rapporti, che saranno dunque discussi a metà dicembre in Gran Consiglio. Uno di maggioranza di Roberta Passardi (PLR, firmato anche da Lega, UDC e una parte del Centro) e uno di minoranza di Daria Lepori (PS, sottoscritto pure dai Verdi e da un deputato del Centro). Il primo accoglie il cambiamento, e dunque va nel solco dell’iniziativa, l’altro semplicemente invita a mantenere lo status quo.
I vantaggi e gli svantaggi
Passardi, innanzitutto, soppesa vantaggi e svantaggi dell’iniziativa. Fra i vantaggi, individua tre elementi: il miglioramento dell’efficienza («ridurre i tempi di parola permette di gestire meglio le sessioni parlamentari, consentendo di trattare un numero maggiore di argomenti in un tempo più contenuto»; l’aumento della concentrazione («si evita che l’attenzione dei partecipanti e del pubblico cali»); l’equità nel dibattito («limiti di tempo uguali per tutti i deputati garantiscono che ogni voce abbia un’opportunità equa di essere ascoltata, evitando che i parlamentari più loquaci monopolizzino il dibattito»). Alla voce svantaggi, invece, la deputata liberale radicale cita la riduzione della profondità, la limitazione della libertà d’espressione («alcuni potrebbero vedere questa misura come una restrizione alla libertà di espressione dei deputati», nonché una possibile ingiustizia perché «non tutti i temi richiedono lo stesso tempo per essere discussi» e «una riduzione uniforme potrebbe svantaggiare argomenti che necessitano di maggiore approfondimento». Tuttavia, come ribadisce Passardi, «l’iniziativa e la maggioranza della Commissione non intendono ridurre la pluralità delle voci, bensì distribuire il tempo in modo più equilibrato tra i diversi attori e tra i diversi oggetti all’ordine del giorno, evitando che pochi interventi molto lunghi finiscano per comprimere di fatto gli spazi di altri deputati o di altri temi». Ad ogni modo, chiarisce ancora il rapporto, «i nuovi limiti temporali sono calibrati in modo da rimanere sufficienti per sviluppare un ragionamento politicamente compiuto, ma al contempo tali da incentivare la sintesi ed evitare sovrapposizioni. Si intende così valorizzare ogni intervento, favorendo la chiarezza del messaggio e l’attenzione reciproca, invece di premiare la prolissità». Infine, come sostengono gli iniziativisti, le discussioni politiche principali sui temi avvengono già nelle commissioni.
Di tutt’altro avviso la minoranza della Commissione. Lepori, vocabolario alla mano, definisce innanzitutto la parola Parlamento. Aggiungendo che «il luogo fisico e l’istituzione che chiamiamo Parlamento sono connotati dall’azione del parlare. Un parlare, si capisce, che non ha mai da essere “a vanvera” né fine a sé stesso, ma finalizzato alla presentazione delle opinioni, delle posizioni e – idealmente – del confronto in quanto ritenuto ancora possibile. Pertanto, qualsiasi proposta di modifica dei tempi di parola significa intervenire sostanzialmente sull’essenza del Parlamento». Non solo. Secondo Lepori, «affermare, come fanno gli iniziativisti, che le discussioni si esauriscono nelle commissioni non è corretto in quanto una parte dei parlamentari (13 su 90) non ne fa parte». Ecco che allora «qui si insinua il peggior vizio dell’iniziativa, perché riduce in maniera sproporzionata i tempi di parola proprio a chi non ha nessuna altra possibilità di argomentare e contro argomentare». Per la minoranza, dunque, il testo va bocciato: la riduzione dei tempi di parola di deputati e consiglieri di Stato è eccessiva e, per certi versi, discriminante.
