La farmaceutica teme per i dazi, ma l’incognita maggiore è il franco forte

Mentre Trump minaccia di imporre dazi al resto del mondo, la farmaceutica ticinese riflette sul suo stato di salute. Quanto spaventa la scure brandita dal presidente americano? Una risposta, non definitiva, è giunta oggi dall’associazione Farma Industria Ticino (FIT) che, alla vigilia dell’assemblea generale prevista per domani a Lugano, ha convocato la stampa per fare il punto. Prima anticipazione: spaventa più il franco forte che i dazi.
Il presidente Piero Poli ha esordito sottolineando la sostanziale tenuta del settore chimico-farmaceutico ticinese in un momento di grandi trasformazioni geopolitiche, cominciate dapprima con la pandemia e proseguite poi con la guerra in Ucraina e, infine, con la politica protezionistica del presidente USA Donald Trump. «Se le incertezze logistiche e di approvvigionamento sono andate lentamente esaurendosi, oggi il settore deve fare i conti con nuove incognite. Accanto alla politica dei dazi del presidente americano, il quale ha ingaggiato una vera e propria guerra commerciale su scala globale, l’apprezzamento del franco svizzero rappresenta la sfida maggiore, soprattutto per un settore che esporta la quasi totalità della sua produzione, pari all’84% del fatturato».
In questo contesto, ha precisato ancora Poli, il settore ticinese ha comunque visto crescere sia il numero delle imprese associate, sia le persone occupate, sia la massa salariale complessiva. Meno marcata, invece, la crescita del fatturato che nel 2024 è rimasto sostanzialmente in linea con i risultati dell’anno precedente. «Il settore ha però continuato a investire. Parliamo all’incirca 440 milioni di franchi sul biennio», ha sottolineato Poli. «E questo a riprova di un’industria che continua a credere nel territorio e nel suo sviluppo».
Dall’analisi del sondaggio condotto tra le aziende associate emergono tuttavia anche segnali di incertezza, in particolare riguardo all’andamento di fatturato e ordinativi. Mentre nel 2023 prevalevano aspettative di crescita, nel 2024 a dominare è stato un clima di prudente stabilità, riflesso diretto di un contesto economico e geopolitico sempre più instabile. Lo stesso vale per l’occupazione: se nel 2023 una quota significativa degli interpellati prevedeva un incremento del personale, nel 2024 quasi l’80% ha indicato la stabilità dell’organico come scenario prevalente. In generale, rispetto al 2023, diversi indicatori evidenziano un atteggiamento di maggiore cautela da parte delle aziende ticinesi. «Si tratta di risposte che non tengono conto dell’ondata di incertezza che la politica dei dazi USA ha apportato sul settore», ha precisato dal canto suo la direttrice di Farma Industria Ticino, Daniela Bührig. Il sondaggio è stato infatti realizzato prima del 2 aprile, data in cui il presidente Trump ha annunciato le tariffe commerciali Paese per Paese. Bührig ha quindi posto l’accento su un problema centrale per le aziende ticinesi, ossia la difficoltà nel reperire personale qualificato. «Si tratta di una questione da tenere sotto stretta osservazione anche nei prossimi anni, soprattutto alla luce del nuovo accordo fiscale con l’Italia». Gli effetti di questa intesa si sono già fatti sentire: nel quarto trimestre del 2024, il numero di frontalieri attivi in Ticino è diminuito dell’1,1%, mentre nel resto della Svizzera si è registrato un aumento del 2,9%.
Il mercato UE
Guardando al futuro, il presidente Poli si è detto comunque fiducioso riguardo a una possibile crescita delle attività chimico-farmaceutiche in Ticino. La minaccia dei dazi va infatti commisurata al peso effettivo del mercato americano rispetto a quello europeo: «Circa il 12% della produzione ticinese è destinata all’export verso gli Stati Uniti, mentre la quota restante viene esportata quasi interamente in Europa, che continua a rappresentare il mercato di riferimento».
Negli scorsi mesi, le grandi case farmaceutiche svizzere hanno comunque annunciato investimenti miliardari negli Stati Uniti, a cominciare da Novartis che investirà 23 miliardi in 5 anni. L’azienda basilese intende costruire sei nuovi centri di produzione e uno di ricerca a San Diego. Un’operazione da 4.000 posti di lavoro di cui 1.000 specializzati. Anche la rivale Roche ha annunciato l’intenzione di espandersi nel mercato americano, senza tuttavia rivelare l’entità dell’investimento.
Un’opzione, quella della delocalizzazione, che difficilmente entrerà in linea di conto per chi non ha già una struttura produttiva negli USA (vedi anche articolo sotto). «Il mercato farmaceutico è fortemente regolamentato», ha spiegato al riguardo Poli. «Trasferire un’attività produttiva e immettere un nuovo prodotto sul mercato può richiedere diversi anni». Proprio per questo motivo, il tessuto industriale ticinese, almeno sotto questo profilo, può considerarsi in parte protetto dal rischio di grandi delocalizzazioni.