L'addio a Franco Celio, «un esempio che resterà»

Il consigliere nazionale Alex Farinelli ricorda la figura di Franco Celio: classe 1953, docente, uomo politico di lungo corso tra le fila dei liberali radicali e appassionato di storia: «Un uomo vero, curioso, colto, leale. Un collega prezioso e un esempio che resterà».
Ricordo bene una piccola molletta di legno, una di quelle da bucato, che Franco Celio distribuiva ai comizi del PLR con il suo nome e il suo numero scritti a mano. Un santino elettorale fuori dagli schemi, semplice, che oggi mi sembra quasi una metafora perfetta di Franco: un uomo che teneva insieme esperienza, passione e rigore.
Ho iniziato a conoscerlo davvero nel 2010, quando sono diventato segretario del partito, in anni segnati da forti tensioni interne. Le correnti erano vive e combattive, e Franco era considerato un esponente di peso dell’area radicale. Era schietto, determinato, talvolta pungente, ma sempre animato da una profonda serietà e da un grande rispetto per le istituzioni e per il dibattito politico. In quella fase complicata ho imparato ad apprezzarne la coerenza e la chiarezza.
Quando nel 2015 sono entrato in Gran Consiglio e mi sono ritrovato subito capogruppo, Franco mi regalò una delle frasi che più porto con me. Un giorno mi disse, con la schiettezza tipica degli uomini di valle: «Quando ti hanno eletto capogruppo non ero convinto della scelta». E aggiunse, con altrettanta sincerità: «A ragion veduta mi sono ricreduto». In quelle parole c’era tutto il suo modo di essere: diretto, onesto, capace di esprimere critiche senza ferire e di riconoscere il lavoro degli altri quando lo riteneva giusto. Per me è stato un piacere e un onore lavorare con lui, e da lui ho imparato molto.
In Parlamento Franco era un lavoratore instancabile. Seguiva ogni dossier con una profondità rara e aveva una memoria impressionante. Una delle sue caratteristiche più note era quella di leggere sempre: durante le riunioni di gruppo, mentre tutti discutevano, lui aveva spesso un libro in mano. Appariva assorto, eppure al momento giusto alzava la mano, interveniva e dimostrava di aver seguito ogni parola. In aula era lo stesso. Io sedevo proprio dietro di lui e spesso, nel bel mezzo di un dibattito, si girava per commentare una frase o una posizione appena espressa. In quei momenti capivo quanto fosse attento, quanto nulla gli sfuggisse. Era, davvero, una presenza solida e vigile.
È soprattutto qui che voglio collocare una convinzione personale: Franco non era un uomo che divideva. Al contrario, pur difendendo con forza le sue idee, aveva la capacità di lavorare per l’unità quando il gruppo ne aveva bisogno. Se non era d’accordo, lo diceva senza giri di parole. Ma quando serviva compattarsi per un risultato comune, era anche pronto a fare un passo indietro. È la lealtà politica nella sua forma più alta, sempre più rara nel dibattito pubblico di oggi.
Negli anni successivi alla sua uscita dal Parlamento abbiamo continuato a scriverci. Commentava le mie apparizioni televisive, condividendo riflessioni acute, talvolta critiche, sempre motivate. E col tempo l’ho visto aprirsi ancora di più, rivedere posizioni, affrontare temi nuovi con curiosità e coraggio. Solo gli intelligenti sanno farlo: adeguare le proprie idee quando cambiano le condizioni. Franco apparteneva indubbiamente a questa categoria.
Ripenso allora a quella molletta. Un oggetto semplice, nato per tenere insieme. E credo che, al di là delle percezioni esterne, Franco abbia fatto spesso proprio questo: unire. Non con la superficialità del “vogliamoci bene”, ma con il peso delle sue conoscenze, con la sua serietà, con la volontà di trovare soluzioni e non pretesti. È così che l’ho conosciuto ed è così che voglio ricordarlo: un uomo vero, curioso, colto, leale. Un collega prezioso, e per me un esempio che resterà.
