Finanze cantonali

L'appello all'unità e la strada in salita

Al via il dibattito sui conti consuntivi del 2024, che verosimilmente saranno sostenuti solo da PLR e Centro, rischiando così di essere bocciati il secondo anno di fila – In aula Christian Vitta si appella al Gran Consiglio: «Occorre unità per fare avanzare il Paese»
©Gabriele Putzu
Paolo Gianinazzi
10.06.2025 21:53

Le semplici cifre contabili, sì, ma soprattutto la visione dello Stato: tra chi lo vorrebbe più forte e chi, invece, vorrebbe vederne ridotto il ruolo nella società. Ma anche la recentissima polemica sull’arrocco di dipartimenti in Governo, qualche inevitabile frecciatina tra partiti e, infine, un accorato appello all’unità da parte del consigliere di Stato Christian Vitta.

Nella prima giornata di dibattito sul Consuntivo 2024 (anno che si è chiuso con 71,8 milioni di disavanzo), in Gran Consiglio gli elementi messi sul tavolo sono stati parecchi. Elementi che, facendo un passo indietro per guardare il quadro generale, hanno fatto emergere tutta la fragilità degli attuali equilibri politici in Ticino: un Parlamento in cui trovare solide maggioranze sembra diventata una «missione impossibile» (lo stesso consuntivo potrebbe essere bocciato pure quest’anno); e i rapporti sempre più tesi tra Legislativo ed Esecutivo.

In aula, infatti, in molti hanno sottolineato la necessità di riforme. Di cambiare passo per rilanciare il cantone in un momento di difficoltà per le finanze cantonali. Altrettanti, però, hanno evidenziato pure la difficoltà crescente nel trovare maggioranze e unità d’intenti a favore di quelle riforme. A cominciare da Fiorenzo Dadò (Centro), relatore di maggioranza del rapporto commissionale a sostegno del consuntivo, il quale ha fatto notare che, se queste sono le premesse, la strada per portare a casa il Preventivo 2026 è già parecchio in salita.

Frecciatine e visioni opposte

Dadò, nei primi passi del suo discorso, ha infatti ricordato che «il vero dibattito sul futuro delle finanze cantonali si terrà in autunno, in occasione del voto sul Preventivo 2026». Ma – e qui è partita la frecciatina in merito all’arrocco di dipartimenti – in un contesto in cui occorrerebbero riforme, «c’è chi si diverte a dividere la già fragile concordanza tra partiti, che si trova sempre più vicina al baratro». E, ha aggiunto Dadò, se «non si pone immediatamente fine alla vicenda, non vi saranno più i numeri per i grandi progetti e neppure per le manovre finanziarie». Detto altrimenti: se lo scambio di dipartimenti sarà portato avanti, il Centro si chiamerà fuori. E questo perché, se la «fragilità della situazione finanziaria è sotto gli occhi di tutti», al contempo «è evidente che non si potrà trovare un percorso condiviso se mancano la fiducia e il dialogo, in primis tra il Governo e il Parlamento. Parlamento che, come auspicato dal presidente del Gran Consiglio, dovrà sì adoperarsi con maggiore impegno in questa direzione. Ma, se all’interno del Governo c’è ambiguità e qualcuno destabilizza il già fragile equilibrio tra i partiti, non andremo da nessuna parte». In questo senso, ha chiosato Dadò, «tentare di trovare una maggioranza in vista del Preventivo 2026, a questo punto è una strada molto più in salita, che può appianarsi solo con una seria volontà di dialogo costruttivo».

Oltre al rapporto di maggioranza (sostenuto da Centro e PLR, e firmato con riserva dalla Lega, che si asterrà al voto finale), sono poi stati presentati i due rapporti di minoranza. Uno sostenuto dai progressisti, l’altro dai democentristi. Due fronti opposti che, per motivi altrettanto opposti, bocceranno i conti del 2024.

Il relatore del PS, Ivo Durisch, ha essenzialmente cassato la politica fiscale del Governo, con cui – in sintesi – tramite le riforme fiscali si è favorita una minoranza privilegiata, togliendo allo Stato le risorse e lo spazio di manovra per agire. «Tagliare oggi e non attuare politiche importanti significa aggravare i problemi di domani e lasciare indietro le persone fragili», ha affermato, per poi aggiungere: «Si tratta di scelte politiche che mostrano chi si decide di aiutare e chi si decide di lasciare indietro».

Sul fronte opposto, la relatrice dell’UDC, Roberta Soldati, ha criticato la «mancanza di strategia e di misure» per il contenimento della spesa e per la crescita economica. Detto in altre parole, a mente dell’UDC a mancare è una «visione a medio e lungo termine» per il nostro cantone.

Dal canto suo il capogruppo del PLR, Matteo Quadranti, ha in parte ribaltato la narrativa, affermando che «una crisi può anche essere un momento per chiarirsi e ricompattarsi». Un auspicio ingenuo? Si è chiesto il liberale radicale. «Vorrei non saper dare una risposta, ma sulla base di quanto visto finora temo non sarà facile». Ad ogni modo, sottolineando la necessità di riforme, Quadranti ha ribadito che il tempo a disposizione è ben poco.

Il capogruppo del Centro, Maurizio Agustoni, ha sottolineato il «record storico» del rapporto di maggioranza a sostegno dei conti consuntivi, firmato senza riserve solo da quattro deputati. Segno che, ha rilevato Agustoni, «si intravvede già oggi la campagna elettorale del 2027». Motivo per cui il capogruppo ha auspicato un maggior dialogo costruttivo tra le parti.

A chiedere invece maggior coraggio nel contenere la spesa è stato il capogruppo della Lega, Boris Bignasca. Il deputato ha infatti sottolineato la «notizia positiva» legata al fatto che perlomeno 91 uffici su 226 dell’amministrazione cantonale nel corso del 2024 sono riusciti a risparmiare. «Un barlume di speranza – ha detto Bignasca – che ci mostra che risparmiare è possibile: basta solo volontà politica e rigore da parte dei funzionari dirigenti». Una volontà necessaria perché, ha rilevato il leghista, «la macchina statale è troppo grande e dispendiosa».

Un appello generale al Governo è poi giunto anche dai Verdi (che bocceranno i conti del 2024), con il co-coordinatore Marco Noi, il quale ha fatto riferimento al coraggio mostrato dall’Esecutivo cantonale durante la pandemia. Coraggio che, in sintesi, dovrebbe ritrovare anche in questo frangente. Ma, ha chiarito, «per fare ciò hanno bisogno anche del nostro sostegno (ndr. del Parlamento): dobbiamo smetterla di esasperare la concorrenza interpartitica» e di «piantare bandierine» e quindi capire «come vogliamo costruire la collettività e il cantone Ticino».

Tra il dire e il fare

Un assist involontario, quello legato al periodo della pandemia, che il consigliere di Stato Christian Vitta ha preso al volo, lasciando da parte il testo scritto del suo intervento per «andare a braccio» e lanciare un appello al Gran Consiglio. «Ricordiamoci la forte spinta che in quel momento è giunta dal Paese e dal Parlamento. Ciò ci ha molto rafforzato verso Berna. Al di là delle cifre, dunque, c’è bisogno di quell’unità e di quella spinta che aiuta il Governo nelle sue richieste». Detto altrimenti: «Il Governo, e lo dico con molta umiltà, ha bisogno di segnali di fiducia». Un appello, quello lanciato da Vitta, non indifferente viste le recenti tensioni tra Legislativo ed Esecutivo in merito alle polemica legata all’arrocco in Consiglio di Stato. «Il Governo le sue battaglie le vuole fare. E intende farle anche con voi. Ma c’è bisogno di unità», ha quindi affermato il direttore del DFE. «Quando ci presentiamo come Cantone che non approva i consuntivi e in cui ogni preventivo diventa uno psicodramma, siamo un cantone indebolito nelle richieste che facciamo fuori dei nostri confini». Oggi, ha chiosato Vitta, «siamo tutti chiamati, da destra a sinistra, passando dal centro e dal Consiglio di Stato, a costruire soluzioni che permettano di far avanzare il Paese. Perché un consuntivo bocciato è fonte di ulteriori polemiche e un preventivo paralizzato è fonte di paralisi per il Paese».

Un appello che sarà accolto domani in aula quando – dopo i dibattiti sui singoli dipartimenti – ci sarà il voto finale sul consuntivo? Difficile da dire, ma i numeri attuali (con il solo sostegno di PLR e Centro e l’astensione della Lega) ci dicono che i conti 2024 non avranno certo vita facile. Anzi, per il secondo anno di fila potrebbero essere cassati dal plenum. Segno che, di solide maggioranze, all’orizzonte non se ne intravvedono.