Le valli, un mondo da studiare

Alzare lo sguardo dal fondovalle verso le valli laterali del Ticino per riflettere su quei territori che costituiscono una parte profonda dell’identità geografica e culturale del nostro cantone, ma che - fino ad oggi - sono stati meno o poco studiati dal profilo architettonico e urbanistico.
A promuovere il cambio di prospettiva è l’Accademia di architettura di Mendrisio, che ha deciso di dedicare il corso di diploma del prossimo anno accademico allo studio delle valli laterali del Ticino. L’iniziativa è firmata dal professor Martino Pedrozzi, responsabile del diploma 2026: «I tre corsi di diploma precedenti dedicati interamente al territorio cantonale si erano concentrati sul fondovalle. Nel 2008, Aurelio Galfetti aveva affrontato il tema Alptransit, nel 2014 Michele Arnaboldi aveva lavorato su Città Ticino, mentre nel 2020 Muck Petzet si era concentrato sul territorio transfrontaliero di Chiasso e Ponte Chiasso». In tutti e tre i casi, l’attenzione era rivolta al fondovalle urbanizzato. Con questo progetto, invece, l’intenzione è di volgere lo sguardo verso l’alto, concentrandosi sulle valli laterali, ossia quei territori caratterizzati da una presenza urbana limitata e senza collegamenti ferroviari. Non si tratta di contrapporsi al lavoro svolto sul fondovalle, precisa Pedrozzi, ma di completarlo: «L’obiettivo è offrire una lettura complementare, esplorando quelle aree che finora sono rimaste ai margini del dibattito architettonico ticinese».
Le quindici valli
Seguendo questo principio, sono state individuate quindici valli, tante quanti i professori dell’Accademia coinvolti nel progetto di diploma: a ciascuno verrà assegnata una valle: Bedretto, Tremola, Blenio, Morobbia, Verzasca, Vallemaggia, Onsernone, Vira, Val d’Isone, Valle del Cassarate, Magliasina, Tresa, Mara, Gaggiolo e Valle di Muggio. Ogni studente sceglierà una valle e, sotto la guida di un professore dell’Accademia, lavorerà per un intero semestre, su quel territorio.
«Ciascun professore sarà libero di scegliere il proprio metodo e l’aspetto da approfondire, seguendo le proprie competenze e specializzazioni», annota Pedrozzi. Alcuni potrebbero concentrarsi sulla vita abitativa nei contesti montani, altri sul riuso di architetture rurali in abbandono, sulla mobilità sostenibile o sulla valorizzazione del patrimonio storico-paesaggistico. Questa libertà permetterà di raccogliere punti di vista diversi, capaci di raccontare la varietà e la complessità delle valli ticinesi, nel loro legame con il presente e con i cambiamenti in corso.
Anche la scala degli interventi potrà variare: si potrà spaziare dall’analisi paesaggistica fino alla progettazione di dettaglio. Ed è proprio in questa gamma aperta di possibilità che il lavoro potrebbe trovare un terreno fertile di collaborazione con le comunità vallerane: «L’idea è di coinvolgere e incuriosire le amministrazioni locali e stimolare un dibattito sul futuro delle valli ticinesi». Per questo motivo, Pedrozzi ha deciso di muoversi ora, comunicando in anticipo il tema di diploma 2026. «Comuni, esperti e pianificatori potranno così interagire, portando spunti e conoscenze personali», contribuendo, in questo modo, a sviluppare una politica territoriale in sintonia con l’identità e le esigenze del cantone.
Un gesto controcorrente
In un momento storico in cui l’attenzione si concentra spesso lungo le direttrici principali del traffico, dello sviluppo urbano e delle grandi infrastrutture, l’Accademia di architettura dell’USI compie quindi un gesto controcorrente: «La decisione nasce dalla consapevolezza che le valli laterali del Ticino rappresentano oggi un banco di prova concreto per ripensare i rapporti tra architettura, territorio e società. Questi contesti, spesso segnati da spopolamento, invecchiamento della popolazione e carenze infrastrutturali, pongono sfide reali alla progettazione contemporanea». Ma è proprio in queste difficoltà che si aprono spazi per nuove domande: come si può abitare il territorio alpino oggi? Quali forme di coesistenza tra tradizione e innovazione sono possibili? E soprattutto: quale ruolo può giocare l’architetto nel sostenere processi di rigenerazione culturale, ecologica ed economica? La scelta di portare il tema di diploma in questi luoghi risponde al desiderio di formare progettisti capaci di confrontarsi con la complessità e la specificità dei territori, aggiunge Pedrozzi. In questo modo, lo studio non sarà solo un esercizio accademico, ma potrà diventare un contributo concreto alla riflessione sul futuro delle terre alte. Con l’idea che ogni intervento architettonico, anche piccolo, possa creare nuove connessioni tra persone, spazi e paesaggi.