Formazione

Livelli, voci critiche dalla scuola

Il tema del superamento dei corsi A e B alle Medie al centro di un’audizione della Commissione formazione e cultura - Sentiti i rappresentanti delle associazioni magistrali e sindacali: «Sul concetto di codocenza il messaggio è vago, servono chiarimenti»
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Francesco Pellegrinelli
06.12.2022 06:00

Sì al superamento dei livelli, ma non a tutti costi. E non necessariamente attraverso il nuovo modello pedagogico elaborato dal Dipartimento dell’educazione (DECS). Il mondo della scuola - sentito ieri in audizione dalla Commissione formazione e cultura, incaricata di discutere il messaggio del Consiglio di Stato - non ha risparmiato critiche (alcune severe) nei confronti della proposta messa in esame dal Dipartimento dell’educazione. Dopo i dubbi espressi da una parte dei commissari, la strada per il superamento corsi A e B si fa, una volta di più, in salita.

«Maggiore chiarezza»

È stato presentato come il modello «promosso dal basso», elaborato dalla Conferenza dei direttori di scuola media. E, invece, come detto, il messaggio del DECS ha incassato le critiche di chi la scuola la fa e la vive, ossia i docenti. Tra i temi affrontati ieri in audizione dalle associazioni sindacali e magistrali, in prima battuta, va menzionato proprio il concetto di codocenza, che rappresenta uno dei pilastri principali della riforma del DECS (vedi box a lato). «È stato messo in evidenza che esistono almeno sei tipi di codocenza distinte. Su questo punto, però, il messaggio è piuttosto vago», osserva il presidente del Movimento della scuola, Fabio Camponovo. «Servono approfondimenti», ha aggiunto il presidente di OCST docenti Gianluca D’Ettorre. «Si tratta di un passo necessario per capire se la codocenza è praticabile e a quali condizioni». Un aspetto condiviso anche dalla VPOD docenti: «Sicuramente la codocenza consente di rispondere meglio ai bisogni degli allievi», commenta Cristophe Forni. «Dal profilo del carico di lavoro, però, il modello presenta aggravi non indifferenti per il docente che deve condividere il percorso con un collega». Se, insomma, parliamo di una codocenza «paritaria», con una responsabilità condivisa in termini di programma, lezioni e valutazioni, allora, il modello comporta un grande investimento per il docente. «Se, invece, la codocenza è da interpretare tra un docente titolare e uno di appoggio, allora il tipo di lavoro è ben diverso e meno oneroso in termini di tempo», chiosa D’Ettorre.

La valutazione

Altro aspetto discusso in audizione: la valutazione, ai quali tutti gli allievi, anche i più deboli, verrebbero sottoposti con un metro di giudizio comune. «C’è un chiaro rischio: che lo stigma sociale, oggi rappresentato dal corso B, venga sostituito dallo stigma dell’insufficienza grave in matematica o tedesco», spiega Camponovo, aggiungendo anche che «sarebbe tempo di ragionare sui motivi impliciti che attribuiscono a queste due materie uno statuto privilegiato nella scuola media». Un ragionamento condiviso anche da D’Ettorre che, pungente, premette: «Se l’obiettivo è solo superare lo stigma dei livelli, allora, si dovrebbero eliminare anche le note». In generale, tuttavia, sulla codocenza in relazione alla valutazione, D’Ettorre osserva che «l’intenzione è buona, ma il risultato rischia di essere controproducente. Se il docente deve seguire un allievo adattando i tempi e le consegne di lavoro, inevitabilmente, lo studente raggiungerà meno obiettivi». Di qui, l’inevitabile differenza a livello di voti a fine anno. Insomma, se la valutazione deve essere oggettiva, il voto finale metterà in evidenza i risultati diversi ottenuti dai singoli allievi, osserva D’Ettorre. Meno critico, su questo punto Forni: «Il valore della nota già oggi è messo in discussione dalla soggettività del docente. Da oltre trent’anni si discute di uniformare i criteri di valutazione, senza tuttavia riuscire nell’intento. La codocenza, invece, obbligherebbe il docente a confrontarsi con un collega, trovando una mediazione sulla valutazione finale». Più in generale, Forni ribadisce: «Come VPOD, riteniamo fondamentale che qualsiasi riforma risponda a due principi, a due valori. Da una parte occorre posticipare il più possibile la selezione tra gli allievi e quindi anche la loro scelta formativa e professionale futura: l'adolescenza è quel delicato periodo in cui ogni individuo cerca di costruire una propria identità, maturando valori e pensieri personali su cui svilupparsi come persona. Ecco allora che un sistema eccessivamente selettivo può produrre danni enormi, in termini di fiducia nelle proprie capacità e di autostima. D'altra parte riteniamo essenziale promuovere il lavoro a gruppi eterogenei». Una necessità per dare al gruppo «una spinta virtuosa che ritroviamo nelle classi a tronco comune, evitando il ghetto del corso B, dove sempre più spesso confluiscono allievi con problemi comportamentali».

La carenza di docenti formati

Terzo tema affrontato in audizione: la disponibilità di docenti per mettere in pratica la codocenza. «Bisogna considerare il fatto che già ora in queste due materie, ossia matematica e tedesco, sono attivi decine e decine di docenti che non hanno ancora ultimato il percorso di formazione, o non hanno i titoli accademici necessari», premette Camponovo, secondo cui sarebbero oltre una cinquantina i docenti che oggi si trovano in questa situazione. «Qualora si partisse con questo modello, avremmo bisogno di docenti formati. Invece, partiamo con una fragilità di fondo, alla quale si aggiunge il fabbisogno aumentato dal modello della codocenza». Il messaggio stima infatti a 65 unità il fabbisogno di nuovi docenti a tempo pieno nelle due materie di riferimento. A questo si aggiunge anche la «grande responsabilità» di cui i docenti sarebbero investiti, osserva D’Ettorre: «Spetterebbe infatti ai docenti scegliere, senza confrontarsi con i genitori, come dividere gli allievi, stabilendo metodi e contenuti dei vari gruppi». Infine, critiche sono state espresse anche sull’annosa questione procedurale. «La cosiddetta proposta dei direttori non è stata vagliata ufficialmente neppure dall’intero collegio dei direttori», tuona Camponovo. Insomma, «nessuna proposta condivisa dal basso come esplicitato nel messaggio governativo».

Di cosa parliamo?

E quindi sul principio di fondo? «A parole tutti esprimono la necessità di superare la differenziazione curricolare, ma poi, nei fatti, cosa intendano politicamente i diversi schieramenti è un’altra cosa», commenta ancora Camponovo. Il ventaglio delle sensibilità, infatti, è molto aperto. Da un lato troviamo chi dice di voler superare i livelli mantenendo fino in quarta media i medesimi stimoli formativi e culturali per tutti gli allievi; dall’altra chi, invece, propone di affrontare il tema dell’orientamento, inserendo scelte opzionali già dalla terza media. Su questo ampio arco di sensibilità si pongono, con differenze a volte sostanziali, i partiti e le associazioni magistrali e sindacati. Paradossalmente, verrebbe da concludere che il dibattito è appena iniziato. In realtà, l’atteso segnale politico per iniziare con la sperimentazione il prossimo settembre tarderà ad arrivare, se non nei tempi, sicuramente nei modi voluti dal Dipartimento dell’educazione.

La proposta del DECS: Il modello elaborato dai direttori della scuola media, presentato a settembre dal presidente della Conferenza dei direttori di scuola media Marco Costi, è concepito su quattro pilastri. La proposta si applica al secondo biennio di scuola media, ossia terza e quarta classe. La precedente proposta del DECS, invece, riguardava solo la terza classe. La grande novità consiste nella codocenza. Invece di dividere gli allievi in laboratori a classi più piccole, il nuovo modello mette a disposizione due docenti per ogni classe di tedesco e matematica. Inoltre, il modello prevede che almeno un’ora alla settimana sia svolta a gruppi ridotti. Infine, il nuovo modello prevede una nota unica per tutti gli allievi, anche per matematica e tedesco, mandando così in pensione la differenziazione dei livelli.