Processo

Per la truffa dei garage è giunto l’ultimo verdetto

Da un normale controllo di un’automobile, poi risultata rubata, si sviluppò l’imponente inchiesta che chiamò in causa sei autofficine del Sottoceneri, numerosi professionisti del mestiere, svariati assicuratori e centinaia di clienti compiacenti – Ora è stata pronunciata l’ultima condanna
©CHRISTIAN BEUTLER
Stefano Lippmann
13.12.2025 06:00

La mente torna alla fine di gennaio del 2017. Allora il Ministero pubblico comunicò che nell’ambito di un’indagine che aveva interessato garage, carrozzerie e concessionarie auto del Sottoceneri, erano state arrestate diverse persone. Ieri, con l’ultima condanna pronunciata dalla Corte delle assise correzionali, si è sostanzialmente chiusa la vicenda ribattezzata «truffa dei garage». L’inchiesta, coordinata negli anni dal sostituto procuratore generale Andrea Maria Balerna, è stata davvero importante. Basti pensare ai titolari di officine, capi vendita, capiofficina condannati. Senza dimenticare gli assicuratori compiacenti e le centinaia di clienti conniventi raggiunti da un decreto d’accusa.

Ieri, come detto, si è in sostanza messo un punto finale. Il giudice Marco Villa – aderendo alla proposta di pena formulata dal sostituto procuratore generale e dall’avvocato Sebastiano Pellegrini – ha condannato a 24 mesi di carcere (sospesi per un periodo di prova di due anni) e all’espulsione dalla Svizzera per 5 anni il 47.enne allora responsabile di un garage a Capolago e di una carrozzeria a Riva San Vitale. Tra il 2012 e il 2017 l’uomo – condannato per truffa aggravata – ha sostanzialmente ingannato (o aiutato a farlo) numerose compagnie assicurative per un totale di circa 600.000 franchi. Come? Annunciando falsi sinistri su numerose autovetture (in diverse occasioni creati o fatti creare ad arte) nonché falsi danni da grandine.

Un controllo casuale

Allora l’inchiesta permise di scoperchiare il proverbiale vaso di Pandora. Sei i garage (autofficine o carrozzerie) del Sottoceneri finiti sotto la lente del sostituto procuratore generale. Senza contare altre inchieste, simili, condotte da altri magistrati inquirenti. E pensare che tutto partì grazie a un fermo casuale. Nell’ottobre del 2016 una pattuglia di polizia fermò un uomo di origini italiane a bordo di un’auto di lusso poi risultata essere rubata. L’uomo fu arrestato al fine di chiarire le circostanze e dopo alcune settimane dietro le sbarre decise di «aprire il libro» e di raccontare come le attività truffassero, di fatto, le compagnie assicurative. Da quel momento partirono i «blitz»: prima un garage di Pambio Noranco che, a sua volta, ne coinvolse uno di Mendrisio e un altro del Luganese. Gli inquirenti si spostarono nell’officina di Capolago e nella carrozzeria di Riva San Vitale. Infine, si arrivò anche a un altro garage, sempre di Capolago.

Dalla sfera alla pala gommata

Dalle risultanze dell’inchiesta emersero chiaramente i diversi modus operandi utilizzati per creare i falsi sinistri. Non mancò di certo la fantasia. C’è chi utilizzò, ad esempio, una sfera di vetro per riprodurre fedelmente i danni cagionati dalla grandine. Altri, invece, inizialmente decisero di indossare il casco, mettersi alla guida e far collidere volontariamente l’auto. Ci fu anche chi decise di usare una pala gommata per creare un danno totale alle vetture. Senza dimenticare i finti danni ai parabrezza. Decine e decine di casi di parabrezza rotti annunciati all’assicurazione attraverso della documentazione fotografica. In realtà, grazie a un segno con il gessetto o un po’ di saliva, utilizzando l’inquadratura giusta, l’immagine scattata simulava la rottura del vetro.

Clienti compiacenti

Nella rete degli inquirenti sono finiti anche alcuni assicuratori. E soprattutto, centinaia di clienti, raggiunti negli anni da decreti d’accusa. La stragrande maggioranza delle truffe, infatti, sono state attuate con la connivenza dei clienti. Il garagista, ad esempio offriva la possibilità di guadagnare dei soldi dalla riparazione, o quantomeno non pagare la franchigia, aumentando il danno. Oppure, ancora, si faceva leva sulla «clausola del valore venale maggiorato» presente nella polizza assicurativa. Una copertura supplementare che, in caso di danno totale, garantisce un risarcimento superiore al semplice valore di mercato attuale, riducendo la perdita economica per l’assicurato. Grazie a quella clausola, in parole povere, poteva valere la pena – semplifichiamo – creare un danno totale.