Presunta truffa dell'oro da cento milioni: l'incarto passa di mano

Una presunta maxitruffa per oltre cento milioni di franchi e almeno mille persone (ma potrebbero essere molte di più) raggirate dalla falsa promessa di investimenti nell’oro. Le vittime risiederebbero in Germania, Austria, Spagna e nel Liechtenstein e il denaro sarebbe stato raccolto in Svizzera e all’estero su conti intestati ad avvocati. Parliamo di una delle inchieste per reati finanziari più importanti mai approdate sul tavolo degli inquirenti ticinesi. Ma che ora dovrà passare in mani federali.
Come si evince da una sentenza del Tribunale penale federale (TPF) del 24 gennaio scorso, sia il Ministero pubblico ticinese e Ministero pubblico della Confederazione (MPC) ritenevano che dovesse essere la controparte ad occuparsene. Riassumendo all’osso, per gli inquirenti ticinesi, e meglio il pp Daniele Galliano, la complessità dell’incarto e le ramificazioni internazionali richiedevano un intervento dell’MPC. Per quest’ultimo, invece «il foro naturale della causa in Svizzera si trova in Ticino in quanto, in Svizzera, le attività illecite risultano essere state svolte prevalentemente in questo cantone». Senza considerare che il presunto deus ex machina del raggiro risiederebbe proprio a Sud delle Alpi (anche se al momento del suo arresto si trovava in Spagna). Il Tribunale penale federale, lo diciamo subito, ha dato ragione al Ministero pubblico ticinese e l’incarto passa nelle mani dell’MPC.
I risvolti luganesi
Detto questo, dalla sentenza del Tribunale penale federale emergono elementi di rilievo che aiutano a contestualizzare l’inchiesta. La stessa era stata avviata in Ticino nei confronti di quattro persone a seguito di una cinquantina di denunce penali sporte a partire dalla fine di novembre 2023. I reati contestati sono truffa riciclaggio di denaro, accettazione indebita di averi dal pubblico, falsità in documenti, conseguimento fraudolento di una falsa attestazione, e false indicazioni alle autorità incaricate del registro di commercio.
Il presunto architetto del maxi-raggiro avrebbe (in correità con terze persone, alcune con domicilio fittizio in Ticino) proposto a circa mille persone degli investimenti (fittizi) nell’oro tramite due società. In realtà, l’oro non sarebbe mai stato acquistato e il denaro raccolto veniva utilizzato per rimborsare i vecchi clienti, per le spese societarie e per garantire l’alto tenore di vita dell’imputato. Dall’inchiesta aperta in Ticino è infatti emerso che l’uomo avrebbe acquistato tramite provento di reato un’abitazione a Lugano e due macchine di lusso, una Lamborghini e una Land Rover, oltre a condurre uno stile di vita estremamente agiato. Dalle prime ricostruzioni emerge che almeno mille persone sarebbero state truffate per un danno totale di oltre 100 milioni. Ma secondo gli inquirenti tedeschi i raggirati potrebbero essere addirittura 1.400, per un ammontare della truffa che si attesterebbe attorno ai 150 milioni di franchi.
Lo scorso ottobre alcune presunte vittime avevano raccontato la loro esperienza alla trasmissione Falò: in sintesi, agli investitori era stato fatto credere – tramite una fitta rete di broker situati in svariati Cantoni, ma anche all’estero, ignari di tutto – di investire nell’oro grezzo che sarebbe stato estratto in Africa e raffinato a Rancate prima e in una raffineria di Lecce poi. In realtà, il metallo in questione non sarebbe mai stato acquistato e il denaro raccolto sarebbe stato utilizzato per arricchire gli indagati, in particolare il presunto dominus, ossia colui che avrebbe orchestrato e diretto la truffa. Il denaro sarebbe infine confluito su suoi conti all’estero, per esempio a Dubai e sull’Isola di Man.
L’attività truffaldina, si legge sempre nella sentenza del Tribunale penale federale, sarebbe iniziata già nel 2016: per far luce sulla stessa è stato aperto un procedimento da parte della FINMA ed è stato attivato un canale Europol a cui avrebbero partecipato diversi Paesi, ossia Germania, Liechtenstein, Italia e Austria, in ognuno dei quali sarebbe stato avviato un procedimento penale parallelo.
Insomma, per dirla con le parole della Corte dei reclami penali del TPF presieduta dal giudice Roy Garré, «il presente procedimento penale richiede un particolare coordinamento a livello federale» e che «la fattispecie è infatti caratterizzata da modalità di funzionamento complessi e da ramificazioni internazionali che richiedono una procedura unica e coordinata a livello federale».