Quando l'assist è miliardario: «Più tasse per i super ricchi»

«Se la società non interviene, gli Elon Musk, i Mark Zuckerberg e i Fredy Gantner accumuleranno ancora più soldi nei prossimi 20 anni». E ancora: «Non è possibile che pochi eletti in questo Paese possiedano enormi ricchezze, mentre altri non sanno come pagare i premi di cassa malati o l’affitto».
Stanno facendo discutere le parole del miliardario svizzero Alfred Gantner, il quale – all’indomani della sonora bocciatura dell’iniziativa per il futuro – ha dichiarato alle testate di Tamedia che «la progressiva concentrazione della ricchezza è un problema globale». Secondo Gantner, la società presto o tardi dovrà chinarsi sul tema, in quanto «la creazione di valore è sempre più generata dalle aziende e meno dai dipendenti», una tendenza destinata a intensificarsi con la crescente diffusione dell’intelligenza artificiale. «Esistono già fabbriche dove lavora a malapena un essere umano», ha aggiunto l’imprenditore, il quale con grande sorpresa ha dichiarato: «Avremo bisogno di un nuovo sistema fiscale per rispondere a questa situazione».
Ma il controverso imprenditore svizzero, comproprietario di Partners Group, che di recente ha incontrato Trump nello Studio Ovale insieme ad altri miliardari per discutere di dazi, non si è limitato a una riflessione generale sulla concentrazione della ricchezza. Gantner si è spinto oltre proponendo una sua ricetta. «Abbiamo bisogno di una tassazione progressiva della ricchezza. Ad esempio, si potrebbe dire che sui patrimoni superiori a 200 milioni di franchi si debba pagare un’imposta dell’1%. A mezzo miliardo, l’imposta sarebbe dell’1,2%, a un miliardo dell’1,5%, e così via». Secondo Gantner, una tassa progressiva sulla sostanza per i super ricchi avrebbe un impatto molto più significativo dell’iniziativa della Gioventù Socialista. «Nel giro di trent’anni – sostiene – si otterrebbe una ridistribuzione più ampia ma soprattutto più sostenibile rispetto all’iniziativa GISO, che a mio avviso è mal concepita».
Concorrenza tra Cantoni
In realtà, l’uscita di Gantner solleva più di un quesito, non da ultimo, quello riguardante la concorrenza fiscale intercantonale. L’imposta sulla sostanza, infatti, è prelevata da Cantoni e Comuni con un’aliquota variabile che, nella maggior parte dei casi, è strutturata in modo progressivo. Per intenderci, la proposta di Gantner dell’1% per i patrimoni superiori a 200 milioni corrisponde all’attuale livello di imposizione di Ginevra, che si colloca all’ultimo posto nel confronto intercantonale con un’aliquota complessiva (cantone + capoluogo) pari al 10‰. Il Ticino, oggi, si colloca al 16. posto su 26, quindi nella seconda metà nella classifica, dopo che i cittadini nel 2018 hanno approvato la riforma fisco-sociale, che ha ridotto l’aliquota complessiva sulla sostanza (cantone + capoluogo) dal 6,8‰ all’attuale 4,9‰. Al primo posto figura invece Nidvaldo, con un’aliquota dell’1,3‰. In generale, i cantoni della Svizzera centrale – in particolare Uri, Svitto e Obvaldo – applicano i prelievi più bassi, mentre i cantoni romandi presentano gli oneri più elevati.
Tema divisivo
Un po’ ovunque, in Svizzera ma non solo, il rapporto tra imposizione fiscale e contribuenti facoltosi è una materia particolarmente divisiva. Il Partito socialista ticinese, nei mesi precedenti la votazione sulle iniziative sui premi di cassa malati, aveva illustrato un proprio sistema di finanziamento che faceva leva sull’aliquota sulla sostanza. Nel concreto, si proponeva, assieme ad altre misure, di riportare la parte cantonale dell’aliquota dal 2,5‰ al 3,5‰, una mossa che avrebbe garantito all’erario cantonale circa 65 milioni di franchi di gettito aggiuntivo. L’ipotesi scatenò una serie di redazioni negative tra chi, ancora oggi, mette in guardia da una possibile fuga di contribuenti facoltosi verso altri cantoni, ma non solo. Si comprende, dunque, come la proposta di Gantner possa fare particolarmente rumore, considerando che porterebbe l’aliquota per i super ricchi al 10‰.
Le ripercussioni
Le sensibilità sul tema, anche in Ticino, restano molto distanti e spesso si scontrano (soprattutto) sugli effetti a lungo termine di un eventuale ritocco dell’aliquota. Un recente studio dell’Università di Princeton ha analizzato l’impatto dell’aumento dell’imposta sulla ricchezza, introdotto in Norvegia nel 2021, mettendo in evidenza diversi effetti negativi: invece di rafforzare le entrate pubbliche, la riforma ha innescato un massiccio esodo di capitali e una forte erosione del gettito. Secondo lo studio, 54 miliardi di dollari di patrimonio sono usciti dal Paese e le entrate fiscali sono diminuite di 448 milioni. Al di là delle cifre, i ricercatori sottolineano come l’aumento dell’imposta abbia spinto numerosi contribuenti benestanti a trasferirsi altrove, molti dei quali imprenditori, con ricadute negative anche sui ricavi delle loro aziende. Dall’altra parte, chi sostiene una revisione dell’aliquota ritiene che scenari di fuga generalizzata siano spesso ingigantiti. Secondo questa visione, un aggiustamento mirato e moderato dell’imposizione non comprometterebbe l’attrattività fiscale della Svizzera, che rimarrebbe comunque competitiva nel confronto internazionale. Per i favorevoli, dunque, una tassazione più elevata sui grandi patrimoni sarebbe sostenibile e non innescherebbe alcun esodo rilevante. Ora, in questo schieramento si è aggiunto anche un miliardario, per il quale, presto o tardi, sarà necessario riflettere «sulla concentrazione della ricchezza».
