Lugano

«Se affronti un rapinatore non puoi chiedere il time-out»

Continuano a tener banco le discussioni sull’intervento degli agenti che hanno sventato una rapina in centro – La testimonianza di Edy Gaffuri, un ex poliziotto che nella sua carriera è stato costretto a usare l’arma di servizio
© Ti-Press/Pablo Gianinazzi
Nico Nonella
10.07.2024 06:00

In pochi giorni, la tentata rapina andata in scena la scorsa settimana a Lugano ha varcato i confini cantonali e nazionali, con le immagini e i video dell’accaduto che sono stati pubblicati e condivisi sia sui social che su diversi organi di informazione. A tener banco, oltre all’agire dei quattro rapinatori, è stato anche l’intervento dei due agenti di pattuglia che hanno sventato la rapina. Già, perché quel (secondo) colpo partito dall’arma di servizio durante la colluttazione con uno dei malviventi ha infiammato il dibattito e l’opinione pubblica si è ben presto divisa tra chi ha difeso senza se e senza ma il poliziotto e chi invece ha lo ha criticato, sostenendo che quel proiettile avrebbe potuto colpire un passante. Come da prassi quando un agente è stato costretto a sparare con l’arma di servizio, spetterà agli accertamenti del procuratore generale Andrea Pagani stabilire se l’agire del poliziotto fosse corretto oppure no. Ma sta di fatto che in tutta questa vicenda c’è un lato umano che non va trascurato.

In servizio per 42 anni

Lo sa bene Edy Gaffuri, in polizia da 42 anni prima come gendarme, poi come istruttore e ufficiale dei reparti speciali e infine alla testa della Gendarmeria del Mendrisiotto. Lui è uno dei (pochi, per fortuna) agenti di polizia che nella sua carriera ha dovuto usare l’arma di servizio. «La cosa più pericolosa è arrivare quando la rapina è in corso. Quando si riceveva la chiamata si correva sul posto, incrociando le dita e sperando che i rapinatori fossero già in fuga. Se ci caschi dentro non puoi chiedere il time- out». Già, perché trovarsi in una situazione con persone che ti puntano un’arma carica ti obbliga a decidere in pochi secondi. «L’addestramento e le regole di ingaggio ti portano fino a lì, poi sono il tuo vissuto e la tua esperienza a farti agire in pochi secondi: capire chi sta facendo cosa, chi è armato e che cosa potrebbe succedere. Molti ritengono che gli agenti debbano essere cinture nere di karate o tiratori olimpionici: certo, la prestanza fisica e il saper usare l’arma sono importanti ma non è quello che ti fa svolgere bene il lavoro».

Lo spray? «Meglio di no»

Come molti di noi, anche Gaffuri ha visto il video della colluttazione, ripreso dall’alto. E ha letto i vari commenti. «La teoria è una cosa, la pratica un’altra», premette. «Si è trattato di un intervento “sporco”, e come lo sono quasi tutti gli interventi “reali”, ben diversi da quelli simulati in addestramento o nelle giornate delle porte aperte». A mente di Gaffuri, l’agire del poliziotto è stato sostanzialmente corretto. Partendo proprio dai colpi inferti al rapinatore con la pistola usata a mo’ di manganello. «Mi è capitato di fronteggiare una persona che voleva aggredirmi e portarmi via l’arma. In quel caso me la sono cavata usando la pistola per sferrargli dei colpi di disturbo, tenendo il dito dietro il grilletto». In quel modo è possibile stringere l’arma senza premerlo istintivamente e sparare (la pistola in dotazione alla Polizia di Lugano, una SIG P320, non ha una sicura meccanica – di solito è una levetta laterale – bensì automatica: in parole povere, fa fuoco solo se si tira il grilletto, ndr). Un colpo, facciamo però notare, è partito, e in teoria, seguendo alla lettera i principi dell’addestramento e le regole d’ingaggio, ciò non sarebbe dovuto accadere. «È vero, non dovrebbe succedere; ma dire che ha sbagliato tutto in una colluttazione di quel genere non sarebbe corretto». L’agente aveva altre opzioni, come riporre l’arma nella fondina o usare lo spray al pepe? Secondo il nostro interlocutore no. «Riporla nella fondina non significa che non te la possano rubare. Le fondine sono pensate per un’estrazione rapida grazie a una leggera pressione o a una torsione e in un corpo a corpo non è escluso che ciò possa succedere. Lo spray al pepe, poi, spesso agisce solo dopo qualche secondo e potrebbe anche rendere più aggressivo chi se lo è ritrovato negli occhi».

Da soli, senza rinforzi

Insomma, conclude Gaffuri, «la teoria è una cosa, l’atto pratico un’altra. Un intervento pulito non l’ho mai visto perché il rischio zero non esiste. Quando ero istruttore dicevo sempre che è come una partita di hockey: nel primo tempo si incassa la rete perché l’azione è repentina, nel secondo si sfrutta l’addestramento e il vissuto per arrivare al pareggio e se si può raccontare il terzo tempo vuol dire che è stato portato casa il punto. Non dimentichiamo – conclude il nostro interlocutore – che quel giorno c’erano solo i due agenti contro i rapinatori armati. Non c’erano i reparti speciali con i rinforzi. La situazione richiedeva di agire rapidamente. Il mio plauso va a loro e a tutti gli agenti di pattuglia che ogni giorno sono in prima linea».

Oltre a quelli della rapina, tra i video più visti c’è anche quello di Manuel Spadaccini, esperto di Krav Maga e di difesa personale e istruttore per le forze dell’ordine italiane. In pochi giorni, la sua analisi ha già superato le 100 mila visualizzazioni.
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