L'intervista

Stefano Dias: «Lascio la guida dei Verdi liberali, il partito delle due etichette»

Domani il PVL eleggerà un nuovo presidente – Con l’uscente facciamo il punto del percorso (di successo) e sul clima politico (frustrante)
© CdT/Gabriele Putzu
Gianni Righinetti
14.11.2025 06:00

Stefano Dias saluta e va. Domani i Verdi liberali volteranno pagina eleggendo un nuovo presidente. Con l’uscente facciamo il punto del percorso (di successo) e sul clima politico (frustrante). Due deputati in Gran Consiglio e l’esperienza positiva a Lugano nella corsa a braccetto con il PLR.

Sabato lascerà la presidenza dei Verdi liberali. Sarà come togliersi dalle spalle uno zainetto diventato troppo pesante per impegni professionali pressanti e l’aria politica fattasi irrespirabile?
«Sì, è vero che mi tolgo un peso. Lo ammetto. Quando inizio a fare qualcosa non mi risparmio mai, vado al massimo, ma negli ultimi mesi i miei impegni professionali sono aumentati molto in intensità, e ho sentito che il mio corpo aveva bisogno di “lasciare andare qualcosa”, non ho lasciato andare solo la presidenza del PVL, anche altre cose a me care. Credo sia fondamentale per la salute mentale saper dire di no al momento giusto: è un modo per preservare il proprio equilibrio, il rischio di ritrovarsi senza energie e svuotato è alto, specie per una persona come me che non si risparmia. Certo, anche il clima politico non ha aiutato. L’atmosfera, sia a livello globale sia, e soprattutto, cantonale, è diventata pesante e poco stimolante. Non ha fatto nulla per trattenermi, fosse diverso credo che avrebbe influito sulla mia decisione».

Detto che le valutazioni personali sono soggettive, pare di leggere nelle sue parole una sorta di disillusione per quello che la politica sta offrendo. Qual è stato l’elemento decisivo?
«La disillusione fa parte di un percorso che credo avesse senso vivere. È iniziato nel 2019, quando ho deciso di impegnarmi attivamente. Tutto ciò che è accaduto nel frattempo ha contribuito alla mia scelta. Negli ultimi mesi questa disillusione è diventata più evidente, ma non mi ha fatto perdere l’amore per la politica, né la voglia di dibattere o contribuire in forme diverse. È ovvio che tutti i “casi” politici avvenuti in questi ultimi 12 mesi siano il sintomo di un problema più complesso, con i tanti problemi che abbiamo in questo Cantone, si passa più tempo a discutere di foto, di alcool test o altre piccolezze lasciando i cittadini spaesati. Penso dunque che la politica debba svegliarsi: è ormai ostaggio della comunicazione facile, di calcoli a brevissimo termine e della mancanza di collaborazione per obiettivi che non siano puramente personali. E gli attacchi diretti o velati, sono all’ordine del giorno. Se la politica continua così, rischiamo davvero, lo dico sorridendo, che un giorno dovremo sostituire i politici con l’intelligenza artificiale o con dei robot, che almeno, a differenza di molti umani, sono meno inclini al protagonismo e più concreti ed efficienti».

Ha parlato di «marasma» in riferimento alla situazione attuale. In che modo questo ha colpito anche i Verdi liberali?
«Il “marasma” di oggi nasce da un contesto, come detto in precedenza, in cui tutto deve essere immediato: opinioni, proposte, reazioni. Non ci lasciamo più il tempo di riflettere. Le idee più scioccanti ottengono consenso, mentre chi prova a ragionare con pragmatismo fatica a farsi ascoltare. Non esiste una strategia, sia a livello di partito, sia a livello legislativo o esecutivo, mi sembra che si viva alla giornata, a volte in base alla notizie che si leggono sul giornale la mattina al caffè. Tutto questo penalizza partiti come il PVL, che vogliono proporre soluzioni concrete e ponderate, senza slogan o effetti speciali».

Rimpiangere la politica di un tempo potrebbe aiutare?
«Rimpiangere non serve a nulla. Ogni epoca ha le proprie sfide, e quella attuale è particolarmente complessa. Le soluzioni del passato non bastano più, anche perché, come dicevo prima sono spesso sempre le stesse persone a proporle, e questo non aiuta. Credo però che alcuni valori vadano recuperati: il rispetto reciproco, la preparazione, il senso del servizio. Oggi sono stati sostituiti da una continua personalizzazione e da una presenza quasi ossessiva dei politici sulla scena pubblica».

Chissà che alle federali non si riesca a creare un vero centro politico unito, per difendersi dalla polarizzazione

Prima la co-presidenza nel 2021, poi la presidenza ora le dimissioni. Nel frattempo, il successo con due seggi in Gran Consiglio. Ha lasciato il segno?
«Forse resterà in qualche ricordo o in qualche racconto futuro, ed è certamente un motivo d’orgoglio. Ma quel risultato non è solo mio: è il frutto del lavoro di tante persone che, negli anni, hanno contribuito alla crescita dei Verdi liberali. Sono sempre stato orientato al lavoro di squadra, perché credo che solo così si possano trovare soluzioni durature ed efficaci. Non amo gli “one-man show”. Il successo del 2023 è stato straordinario, ma non deve essere un punto d’arrivo. Non amo soffermarmi sulle celebrazioni: preferisco guardare avanti, ai prossimi obiettivi della mia vita».

Però con due deputati in solitaria in Parlamento, distaccati dalle logiche dei gruppi, è un po’ come stare su un’isola senza connessione e pretendere che la propria voce giunga sul continente. Condivide?
«Sì, condivido la sua osservazione, ma è anche vero che, in un Parlamento così frammentato, a volte anche due voti possono fare la differenza, e lo abbiamo visto più volte in questa legislatura complessa e turbolenta. Detto questo, non è tanto un merito nostro, quanto piuttosto il risultato delle difficoltà dei grandi partiti nel trovare coesione. È un segnale chiaro di quanto dicevo prima sul protagonismo: i partiti di governo avrebbero la forza per approvare quasi tutto ciò che vogliono, se solo riuscissero a lavorare insieme. Ma non lo fanno, e ci ritroviamo in questa situazione. In ogni caso, grazie alla presenza di Massimo Mobiglia nella Commissione ambiente, territorio ed energia, partecipiamo attivamente e portiamo un contributo concreto su temi centrali come il PECC».

A Lugano nel 2024 vi siete uniti con il PLR. Esperienza positiva?
«L’esperienza con il PLR Lugano è stata positiva, soprattutto grazie al rapporto di fiducia costruito con il presidente Paolo Morel e il suo gruppo. Ci hanno subito coinvolto attivamente nella campagna elettorale, e questo approccio ci ha colpiti in modo molto positivo. La decisione, però, non è stata basata solo su affinità personali: abbiamo analizzato i voti a livello comunale, cantonale e federale, e il PLR e i nostri candidati hanno sempre mostrato una forte sinergia anche i termini di voti. Detto questo, preciso due aspetti: alle ultime federali avevamo proposto una collaborazione con PLR e Centro per rafforzare il “centro politico” e contrastare la destra, ma non è stato possibile, quindi abbiamo corso da soli. Per il futuro, sento che la nostra base preferirebbe tornare a correre in autonomia, anche a rischio di non ottenere grandi risultati, ma valorizzando appieno le nostre forze».

Non avete mai considerato di aggregarvi al gruppo PLR in Parlamento per giocarvi delle carte in vista delle prossime elezioni?
«No, non è mai stato un tema realmente discusso. Anche con due deputati riusciamo a dare il nostro contributo, sia nei voti sia nei contenuti. Chissà che alle prossime federali non si riesca finalmente a creare un vero “centro politico” unito, per difendersi dalla crescente polarizzazione che i sondaggi mostrano chiaramente in corso».

Così rischiamo, lo dico sorridendo, che un giorno dovremo sostituire i politici con l'IA o con dei robot

Verdi e liberali: lei ci crede. Riesce a fare autocritica sul fatto che, per molti, siano concetti antitetici?
«Ci credo profondamente. Il problema, a mio avviso, è che il nostro nome porta con sé due etichette, “verde” e “liberale”, che oggi non godono di grande popolarità e sono spesso fraintese. La prima viene talvolta associata a un ambientalismo ideologico, percepito come ostile al progresso o volto a smantellare la società attuale; la seconda viene confusa con il liberismo finanziario dei mercati, dove tutto è accettabile purché generi profitto. Eppure, se presentassimo i nostri valori e il nostro approccio senza menzionare il nome del partito, sono certo che molti cittadini li troverebbero innovativi, concreti e li accoglierebbero con entusiasmo. Siamo un partito giovane, nato nei primi anni 2000, orientato agli obiettivi e al pragmatismo. Facciamo autocritica perché sappiamo quanto sia difficile far passare questo messaggio, ma spesso siamo vittime di giudizi superficiali e semplificazioni, anche da parte dei media, che si fermano all’apparenza del nome senza approfondire le sfumature e la sostanza delle nostre idee».

È più ecologista o più liberale?
«Mi sento più liberale. È una parte di me che porto da sempre, anche se ne riconosco i limiti nel contesto attuale a volte. Credo però che ogni pensiero debba evolversi: anche il liberalismo deve sapersi adattare ai cambiamenti sociali ed economici. Ed è qui che entra in gioco il “verde”. Non sono ideologico, ma pragmatico. Però mi sono reso conto che non possiamo ignorare i problemi ambientali: non solo per il loro impatto ambientale, ma anche per quello sociale ed economico. Da liberale credo nel pensiero critico, nella responsabilità individuale e nel progresso tecnologico come strumenti per affrontare il cambiamento climatico. Dobbiamo però mantenere un atteggiamento positivo e costruttivo, senza cedere al pessimismo, anche se oggi è sempre più difficile».

L’ecologia è presente in molte forze politiche. In cosa vi differenziate?
«Non mi preoccupa che altri partiti si occupino di ecologia, purché lo facciano con sincerità e non per puro marketing elettorale. I Verdi liberali sono un partito giovane che, sin dall’inizio, ha cercato di affrontare le sfide climatiche ed economiche in modo integrato, senza contrapporle. A differenza dei partiti storici, siamo più liberi da schemi che si ripetono da decenni e da dinamiche interne spesso complicate. Questo ci consente di affrontare ogni tema con razionalità, senza ideologie rigide o preconcetti radicati nel tempo. Per noi, l’ecologia è un concetto trasversale: significa energia, mobilità, innovazione e anche un cambiamento graduale del nostro stile di vita».

È in corso la COP30. Come osserva questo evento e le sue contraddizioni? È più un’opportunità o un limite?
«Le COP hanno avuto un ruolo fondamentale nel sensibilizzare la politica sui rischi ambientali, ma oggi credo abbiano perso parte della loro efficacia. I pericoli e le conseguenze del cambiamento climatico sono ormai chiari a tutti: la questione non è più “se”, ma “quanto” sarà forte l’impatto su ciascuno di noi. Serve quindi un approccio pragmatico: l’aumento delle temperature non può più essere fermato del tutto, ma possiamo limitarne gli effetti e imparare ad adattarci. Sono convinto che la tecnologia, in particolare l’intelligenza artificiale e il calcolo quantistico, sarà decisiva per accelerare lo sviluppo di soluzioni concrete e sostenibili. Dobbiamo mantenere un atteggiamento ottimista e costruttivo, non cedere al catastrofismo».

Sabato passerà il testimone al suo successore. Che consiglio e che augurio gli lascia?
«Gli direi di restare sé stesso e di non lasciarsi schiacciare dai meccanismi a volte “perversi” della politica cantonale. Gli serviranno autenticità e coraggio. Gli auguro di continuare a far crescere il nostro partito mantenendo lo spirito innovativo e aperto che ci contraddistingue. Abbiamo bisogno di costruire ponti, non muri».

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