Tecnologia

Vuoi riparare da solo il tuo iPhone?

Apple lancia il Right to Repair, il fai-da-te per aggiustare i nostri smartphone, componenti originali comprese – Un’idea ecosostenibile ed economicamente vantaggiosa, ma probabilmente destinata a un pubblico specializzato – Ne abbiamo parlato con Ivan Campari, consulente dell’ACSI e con i maggiori centri professionali di riparazione
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Irene Solari
30.11.2021 06:00

Quante volte ci è capitato di ritrovarci con lo schermo del nostro smartphone irrimediabilmente in frantumi o la batteria che non dura più nemmeno il tragitto casa-lavoro. Tante volte. I device tecnologici seguono il ritmo della nostra vita frenetica e spesso capita che – complici le loro forme sottili e leggere – ci sfuggano di mano, cadendo sempre nei posti peggiori e sugli angoli più sfortunati. E allora addio schermo di vetro o cristallo della fotocamera. Quindi si valuta la riparazione, anche se spesso capita che sistemare il danno in questione sia più costoso che ricomprare un prodotto nuovo. Ma in questo scenario, al quale ormai siamo abituati, è comparsa una novità. La Apple ha deciso di introdurre il Right to Repair, il diritto di ripararsi da soli i propri oggetti tecnologici. Il gigante di Cupertino intende fornire ai propri clienti le componenti originali e le indicazioni da seguire. Per ora se ne parla solo negli Stati Uniti e solo dal 2022, ma l’idea di arrivare a coprire anche i mercati europei c’è. E per il momento si tratta di alcune componenti – quelle che soffrono di più dell’uso, fotocamera, batteria e schermi – e solo per gli ultimi due modelli di iPhone. Ma, come detto, la volontà di crescere e di ampliare l’offerta è molto forte.

Vantaggi economici ed ecologici

In Europa ci si sta già muovendo in tal senso. Il portale europeo per il diritto alle riparazioni repair.eu attira l’attenzione non solo sul potenziale di risparmio economico, ma anche sull’importanza di ridurre i rifiuti elettronici, una delle più significative cause di inquinamento visto che si tratta di componenti quasi sempre impossibili da smaltire ecologicamente. Basti pensare, come riporta repair.eu, che l’e-waste è la fonte di rifiuti con la crescita più rapida del mondo: ogni anno ne vengono prodotti 53 milioni di tonnellate. Però esiste un’alternativa sostenibile: si tratta della riparazione e del riutilizzo dei device. Certo, aspettarsi che questa diventi un’abitudine diffusa è difficile, servono alcuni fattori e garanzie alla base di tutto. Ad esempio, una riparazione equa e accessibile, clienti informati sui propri diritti e un buon design di qualità. Su quest’ultimo punto insistono particolarmente i promotori del diritto di riparare. È complicato sistemare qualcosa che già in partenza è «mal fatto» o studiato apposta per durare poco ed essere sostituito. Il design deve permettere una riparazione efficace oltre che la maggiore longevità possibile dell’oggetto.

L’e-waste è la fonte di rifiuti con la crescita più rapida del mondo: ogni anno ne vengono prodotti 53 milioni di tonnellate. Si tratta di componenti quasi sempre impossibili da smaltire ecologicamente.

«Nella direzione giusta ma servono delle buone basi»

Abbiamo domandato a Ivan Campari, consulente dell’Associazione consumatrici e consumatori della Svizzera italiana (ACSI), il parere sul futuro di questa idea. Il suo sentire è positivo: «Può sicuramente essere un passo nella direzione giusta» anche se ne riconosce i limiti pragmatici: «Non tutti siamo riparatori e non tutto è semplice da riparare. Per questo motivo, sono del parere che questa responsabilità non possa essere scaricata esclusivamente sul consumatore, ma che le aziende debbano fornire dei servizi di riparazione attrattivi e a prezzo accessibile». E sottolinea l’importanza di disporre di un buon manufatto alla base: «Gli oggetti devono essere prodotti secondo criteri differenti in modo da essere più duraturi e riparabili. In occasione dei nostri eventi Caffè riparazione, che organizziamo dal 2016, abbiamo constatato diverse volte che il problema sta a monte. I riparatori si trovano confrontati con oggetti difficilmente riparabili, di qualità scadente, senza viti che permettano di aprirli o con viti speciali che richiedono l’utilizzo di appositi cacciavite a disposizione soltanto dell’azienda produttrice e così via. Molti oggetti non sono costruiti per durare, né per essere riparabili. Serve un cambio di mentalità da parte di molte aziende produttrici». E aggiunge anche quanto sia importante informare le persone sui vantaggi che comporta la riparazione, sia economici che ambientali. «Penso che sia necessario un cambio di mentalità generale: uscire dall’ottica dell’usa e getta, del continuo bisogno di comprare oggetti nuovi e riscoprire il piacere di avere oggetti di qualità in grado di durare nel tempo ed essere riparati. Un passo in avanti tanto per il pianeta, quanto per il portafoglio dei consumatori». Anche se, come riconosce Campari, ci sono diverse difficoltà: «Noi riteniamo che troppo spesso il consumatore venga apertamente o velatamente scoraggiato dal riparare, e spinto invece a comprare. Non di rado capita di sentirsi consigliare di lasciar perdere, che non ne vale la pena, che si fa prima a comprare un oggetto nuovo. Molte aziende preferiscono vendere un numero maggiore di oggetti nuovi anziché farli durare più a lungo. Servono dei modelli di business differenti, che non si basino sulla necessità di continuare a vendere prodotti nuovi, bensì anche su tutta una serie di servizi, che nella maggioranza dei casi rivestono oggi un ruolo troppo marginale». Ma ci rivela che qualcosa si sta muovendo in una nuova direzione: «Dei cambiamenti in questo senso sono già in atto, anche se avvengono troppo lentamente. Come l’enorme crescita del mercato second hand degli smartphone, che a poco a poco stanno diventando oggetti più duraturi man mano che sempre più persone escono dalla mentalità secondo la quale bisogna sostituire il proprio telefono ogni 2 o 3 anni perché è già vecchio, mentre può durare tranquillamente il doppio». Come anche nel comportamento dei consumatori: «Le persone che preferiscono far riparare un oggetto anziché comprarlo nuovo è ben più alto di quanto si potrebbe pensare e, se l’accesso a servizi di riparazione attrattivi fosse garantito, la maggioranza dei consumatori opterebbe per la riparazione molto più di quanto non avvenga attualmente. Molto spesso il fatto di gettare via l’oggetto in questione e comprarne uno nuovo non è una scelta dettata dalla convinzione, ma dalla mancanza di alternative praticabili» ci spiega.

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«È necessario che anche in Svizzera si faccia qualcosa»

Per quanto riguarda la cornice degli aspetti legali, Campari precisa che in Europa c’è un quadro per promuovere il diritto alla riparazione: «Il concetto è ancorato giuridicamente dall’UE nel 2019 e ha portato diversi Stati membri a proporre soluzioni per allungare la durata di vita dei prodotti e stimolare la produzione di oggetti più riparabili. Basti pensare all’indice di riparabilità, l’etichetta introdotta in Francia che valuta i prodotti secondo criteri oggettivi, permettendo al consumatore di informarsi prima dell’acquisto. In Austria lo Stato ha optato per un incentivo: 200 euro all’anno a disposizione di ogni cittadino per spese di riparazione. Da noi, come spesso accade, per ora si tentenna». E infatti, sottolinea Campari, ci sarà sicuramente in futuro l’esigenza di un cambiamento in questa direzione: «È necessario che anche in Svizzera si faccia qualcosa. Le misure che si possono adottare sono molteplici. Ad esempio, lo scorso 30 settembre il Consiglio nazionale ha accolto una mozione che chiede di prolungare la garanzia da due a cinque anni. Questa è una misura che noi sosteniamo con convinzione e che spingerebbe sicuramente i produttori a proporre oggetti più duraturi o facilmente riparabili. Quante volte, infatti, gli oggetti si rompono o iniziano a dare problemi proprio poco dopo lo scadere dei due anni di garanzia legale?» Senza tralasciare l’aspetto della qualità delle componenti: «Anche sul fronte della disponibilità dei pezzi di ricambio, sulla trasparenza o sui requisiti di ecodesign si potrebbero fare passi importanti. Fino ad ora in Svizzera è mancata la volontà politica di chinarsi su questo tema. Forse questo è però destinato a cambiare, anche perché come hanno sottolineato alcuni sostenitori della mozione sul prolungamento della garanzia, in caso contrario rischiamo col tempo di diventare un mercato di serie B, dove si vendono prodotti di qualità inferiore rispetto ad altri paesi europei. Per quanto concerne specificamente la riparazione fai-da-te, sicuramente la disponibilità di pezzi di ricambio e manuali di istruzioni dovrebbe essere garantita per legge per periodi sufficientemente lunghi».

Non tutti sanno come comportarsi con un telefono da mille franchi in mano. Non sanno come aprirlo, non sanno rimuovere le parti per poi integrare quella sostitutiva.

Il parere dei tecnici delle riparazioni

Per capire come sarebbe l’eventuale introduzione della riparazione fai-da-te, abbiamo parlato con i diretti interessati, alcuni dei principali commercianti che si occupano di servizi di riparazione: CityPhone24, iRotto e DoctorPhone.

I riparatori ci spiegano che la clientela c’è sempre, «è forse uno dei settori che ha risentito di meno della pandemia» conferma DoctorPhone. Sulla stessa linea anche CityPhone24, che aggiunge come forse ci sia stato un lieve calo negli ultimi anni. iRotto concorda sulla clientela in cerca di riparazioni e ci spiega quale potrebbe essere una delle ragioni: «Al momento abbiamo il problema della fornitura dei materiali tecnologici, c’è scarsità di termoconduttori. Quindi acquistare un nuovo telefono o tablet risulta complicato e costoso».

Anche se le marche incentivano sempre all’acquisto, ci spiega DoctorPhone «con iniziative che vanno incontro al cliente, come il ritiro dell’usato o uno sconto all’acquisto di un nuovo telefono».

E sull’eventualità di introdurre questa auto-riparazione anche da noi, tutti i negozianti sono concordi sul fatto che, nonostante l’idea sia sicuramente nuova e interessante, rimanga comunque destinata a una nicchia di persone che dispongono effettivamente delle competenze tecniche necessarie per eseguire una riparazione. «Non tutti sanno come comportarsi con un telefono da mille franchi in mano. Non sanno come aprirlo, non sanno rimuovere le parti per poi integrare quella sostitutiva. Giustamente non se la sentono di metterci mano senza avere l’esperienza. Oltretutto se si danneggia il dispositivo mentre si cerca di eseguire la propria riparazione si creano degli ulteriori problemi» ci spiega iRotto. «Magari Apple vorrà gestire la sua iniziativa integrando dei video tutorial nel kit di riparazione». CityPhone24 ribadisce che trattandosi di competenze tanto peculiari, alla fine la maggior parte dei clienti continuerà a rivolgersi ai tecnici professionisti delle riparazioni. Gli fa eco anche DoctorPhone: «Si tratta di un esperimento di Apple, vedremo come andrà. Di sicuro servirà del tempo di attesa per ottenere il pezzo di ricambio originale e poi non tutti si fiderebbero ad affidarsi al fai-da-te. Si tratta di operazioni complicate dove bisogna far lavorare insieme software e hardware. Immagino che molti preferirebbero rivolgersi al negozio di riparazione». Quella che si definisce una win-win situation (una situazione nella quale tutte le parti traggono vantaggio): «Apple più vende pezzi di ricambio originali e più guadagna. Noi ripariamo e il cliente pagherebbe il lavoro di manodopera».