L'intervista

«Tutti chiamati a un’assunzione di responsabilità»

L'ex deputata Yvonne Feri è presidente del Consiglio di fondazione di Protezione dell'infanzia Svizzera - Con lei analizziamo il problema dei maltrattamenti sui minori
© CdT/Archivio
Paolo Galli
26.05.2025 21:15

Signora Feri, dal rapporto del Gruppo di specialisti in protezione dell’infanzia, emerge la necessità di proseguire nel lavoro di prevenzione e sostegno. Quali devono essere le priorità per la nostra politica federale?
«Gli ultimi dati delle cliniche pediatriche svizzere mostrano chiaramente che la violenza sui bambini non è un fenomeno marginale, ma una realtà per centinaia di bambini ogni anno. La politica deve intervenire per garantire che tutti i bambini possano crescere liberi dalla violenza. Ciò conduce a più fattori. In primis, la genitorialità non violenta deve essere sancita nel Codice civile e accompagnata da misure di accompagnamento, in particolare attraverso campagne di informazione nazionali. Genitori, tutori, bambini e giovani devono sapere dove possono trovare sostegno. Secondo punto: la prevenzione e la diagnosi precoce devono essere ampliate, soprattutto per i bambini piccoli che spesso non sono ancora coinvolti in contesti istituzionali. Terzo punto: i professionisti dell’assistenza, dell’intervento precoce, della medicina e dell’istruzione devono essere potenziati, con una maggiore formazione, linee guida chiare, concetti di protezione e certezza del diritto».

Un caso su cinque nel 2024 ha riguardato bambini nel loro primo anno d’età. Ciò che cosa ci deve far capire a livello di società?
«Un bambino su cinque è stato colpito nel primo anno di vita: è sconvolgente. Perché i bambini piccoli sono particolarmente vulnerabili. Questo dato ci chiama tutti a un’assunzione di responsabilità: le famiglie hanno bisogno di un aiuto tempestivo e non burocratico, e i professionisti devono essere specificamente formati per riconoscere precocemente i segnali di violenza. La violenza non inizia solo a scuola: spesso si manifesta molto presto, in modo molto silenzioso, nell’ambiente circostante. La genitorialità è una questione privata. La violenza sui bambini non lo è».

E come si può pensare di riuscire a entrare con più efficacia in queste dinamiche molto private?
«È necessaria una cultura in cui parlare dell’uso e dell’esperienza della violenza non sia un tabù e chiedere aiuto non sia una vergogna. La protezione inizia nell’ambiente sociale: ostetriche, medici, asili nido o centri per le famiglie sono spesso i primi a notare qualcosa. Per poter agire, hanno bisogno di conoscenze, sicurezza e tempo. Per questo motivo, Protezione dell’infanzia Svizzera sostiene i fattori di protezione e la qualità nella protezione dei bambini. Professionisti ben formati e sensibilizzati nel settore della prima infanzia, ovvero coloro che accompagnano le famiglie in fasi particolarmente vulnerabili, sono fondamentali. I bambini piccoli che non sono ancora integrati nelle strutture istituzionali sono particolarmente a rischio. Grazie a una formazione mirata, questi professionisti possono essere messi in grado di riconoscere precocemente i segnali e, quindi, di fare una differenza decisiva nella vita di un bambino. Allo stesso tempo, è necessaria una strategia di prevenzione forte e completa che rafforzi i fattori protettivi e promuova la resilienza nei bambini. Anche se la violenza non può essere sempre prevenuta, è stato dimostrato che i bambini che hanno relazioni affidabili, tutori stabili e un ambiente di sostegno, sono meno esposti allo stress e possono svilupparsi in modo più sano. Qualità nella protezione dei minori significa quindi anche: sostegno partecipativo, cooperazione professionale e concetti di protezione chiari in tutte le istituzioni. Possiamo offrire una protezione sostenibile solo se collaboriamo tra le varie discipline, facilitiamo lo scambio di informazioni e coinvolgiamo le famiglie interessate. Lo sviluppo di standard di qualità comuni è un passo importante in questa direzione».

Dal suo punto di vista, cresce davvero nella popolazione la propensione a denunciare i casi?
«Le statistiche delle cliniche pediatriche registrano i casi in cui i bambini hanno richiesto cure mediche, quindi non mostrano direttamente la propensione della popolazione a segnalare i casi. Ma stiamo osservando che la consapevolezza sta davvero aumentando. Sempre più persone, anche nella sfera privata, sono consapevoli della loro responsabilità di non voltarsi dall’altra parte quando si sospetta una violenza. Tuttavia, il numero di casi non denunciati rimane elevato. Per garantire che un numero ancora maggiore di bambini colpiti riceva aiuto in una fase precoce, è necessaria una cultura della vigilanza, sia tra i professionisti che nell’ambiente sociale».

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