Zio contro nipote in aula per settanta milioni

Uno zio che era come un padre. «Più di un padre» ha confermato il nipote, che era sempre al suo fianco. Un rapporto «saldissimo» in cui all’improvviso si è aperta una crepa profonda. Tanto profonda da portare i due di fronte al giudice Paolo Bordoli per il processo, cominciato oggi a Lugano, che ruota attorno a un patrimonio ingente: settanta milioni di euro. Lo zio, oggi novantaduenne, aveva incaricato il nipote di gestire le sue società, ma lui, secondo l’accusa, si è appropriato illecitamente dei suoi beni. Lo avrebbe fatto, grazie anche a documenti falsi, tramite ad esempio cessioni di azioni, vendite di immobili in Corsica e a Lugano e incassi di affitti.
Accuse, quelle sostenute dalla procuratrice pubblica Raffaella Rigamonti, che l’imputato cinquantatreenne, difeso dall’avvocato Davide Ceroni, contesta fermamente. Sia lui sia lo zio sono cittadini italiani residenti nella penisola. Alla sbarra vi è, o meglio dovrebbe esserci anche un cinquantasettenne ticinese che rappresentava il novantaduenne in due società con sede nel nostro cantone. È accusato di amministrazione infedele qualificata, appropriazione indebita e falsità in documenti, mentre a carico del nipote, oltre alle ultime due imputazioni, vi è quella d’istigazione all’amministrazione infedele qualificata.
Dopo alcune schermaglie giuridiche, il dibattimento è entrato nel vivo con il racconto dello zio. «Ho qualche problema di salute, ma non incide sul raziocinio, anche se qualcuno diceva che ero un deficiente. Sono un vecchio che non ne può più di questa situazione...». L’uomo ha confermato che i rapporti con il nipote, a cui aveva pagato il matrimonio e comprato una casa, sono sempre stati ottimi. «Era un ragazzo meraviglioso». Poi è stato un valido aiuto a livello professionale, da quando lui ha deciso di affidargli la gestione delle proprie società, fra cui quelle svizzere. Affidare la gestione, non donare: su questo il novantaduenne è stato fermo. «Donare le mie società? Nooo, ma scherziamo?».
Il nipote ha dal canto suo spiegato come fosse difficile gestire gli affari dello zio. «Sono stato al suo fianco nelle infinite procedure legate alle sue società. Procedure esecutive, giudiziarie, civili... Era anche finito in mezzo a una vicenda di compravendita di opere d’arte protette». Discorsi lavorativi intercalati da altri familiari, intimi. «Siamo stati più che padre e figlio» ha detto a un certo punto con la voce rotta dall’emozione. «Se potessi lo abbraccerei, mi ha fatto tenerezza vederlo così oggi, ed è stato doloroso dover interrompere, non per mia volontà, un rapporto che era saldissimo». Sui fatti a lui contestati, tuttavia, il cinquantatreenne è stato fermo quanto lo zio: «Non ho defraudato nessuno. Facevo quello che mio zio mi chiedeva di fare, nel modo in cui i nostri consulenti svizzeri ci suggerivano di fare. Ho fatto così perché in quel momento bisognava fare così, ma non-ho-rubato-nulla: questa accusa mi devasta e non la posso accettare».
In aula hanno tenuto banco anche le condizioni attuali del novantaduenne, che dal nipote riceve un assegno mensile. «Vivo di stenti per colpa di una donazione che non esiste - ha detto - e non capisco perché non ho potuto riavere le mie azioni quando sono state sequestrate. Per vivere vendo pezzi di antiquariato che ho in casa». «Mio zio ha sempre detto che l’importo che riceve è più che sufficiente» ha replicato il nipote. «Ho dovuto ridurre la somma perché usava i soldi per iniziative legali contro di me, comunque non versa in uno stato di povertà».