Strabismo intellettuale

Larga eco ha trovato nei media europei il dissidio tra il presidente degli Stati Uniti e Harvard, una delle più prestigiose università americane.
Trump si è comportato come un elefante in un negozio di cristalleria, in parte per istinto e in parte per tattica. Questo suo atteggiamento porta a dimenticare la vera ragione del dissidio originato anche da una «culpa in eligendo».
Qualche anno fa Harvard, influenzata dalle mode del momento, ha nominato a presidente Claudine Gay, una giovane accademica afroamericana (campo di studi quello dei rapporti etnici con l’Africa) le cui credenziali accademiche erano scarse per la responsabilità della carica.
Gli atteggiamenti da lei tollerati o addirittura sostenuti nel campus universitario, i cedimenti alle mode «wokiste», l’hanno portata a doversi giustificare dinanzi a una commissione del Senato durante la presidenza Biden, che non le era ostile. La figura barbina dinanzi alla commissione l’ha indotta alle dimissioni.
È giusto ricordare che mentre Harvard si oppone, per alcuni aspetti probabilmente con ragione, alle misure di Trump la Columbia University ha riconosciuto i propri eccessi «wokisti», la complicità con atteggiamenti politici che nulla hanno a che vedere con la formazione accademica di studenti.
Sulla deriva ideologica di molte università – non solo americane – vi è solo l’imbarazzo della scelta. Se è vero che non è ammissibile per la serietà accademica di ammettere studenti inadeguati perché sostenuti da notevoli elargizioni di genitori super facoltosi, è altrettanto vero che la risposta non consiste nell’ammettere studenti altrettanto impreparati ma da favorire perché afroamericani. Non si rimedia ad un errore con un altro. Preoccupa che nel curriculum di studi per ragioni ideologiche (o per timore) si inseriscano corsi bizzarri, sostituendo ad esempio lo studio della storia dell’Occidente con quelli di esotiche minoranze africane o, addirittura, facendo assurgere a materia di studio la magia con corsi sull’esoterismo, stregoneria, scienza occulta.
Lo sviluppo della burocrazia amministrativa universitaria, con poteri sulle assunzioni e promozioni condizionate a dichiarazioni di adesione al «pensiero wokista», ha avuto un deleterio impatto. La professoressa Borghi che si dichiara porno-attiva e predica il «femminismo anale», ha diritto alle sue opinioni. Ma il fatto che la Sorbonne le metta a disposizione una cattedra per simili esibizionistiche eccentricità preoccupa.
Una stimata professoressa di genetica, lesbica, quindi non sospettabile, che si è permessa di difendere le sue convinzioni opponendosi alle fantasie oggi imperanti, è stata licenziata. L’atmosfera nelle università – non solo USA – si è fatta pesante e le prove abbondano. È dello scorso maggio un libro di più di venti professori francesi esasperati e intitolato «Face à l’obscurantisme woke» (Presse universitaire de France). Uno di loro non ha potuto tenere una conferenza all’università di Ginevra per la contestazione violenta di allievi (solo loro?).
Ma cosa si intende per wokismo, termine partito dall’espressione del mondo afroamericano «be woke», stai attento, non farti fregare? È oggi un’ideologia che si appoggia sul vittimismo sociale che individua l’origine delle ineguaglianze nella razza, nel colonialismo e nell’orientamento sessuale. Evidente la similitudine con il progressismo di sinistra dal quale ha assunto i due atteggiamenti dialettici teorizzati da Marcuse già negli anni ’70. Evitare il dialogo con chi la pensa altrimenti perché inutile, addirittura controproducente in quanto dà una dignità immeritata all’opinione avversa. Il secondo che sostiene che l’intolleranza deve esprimersi pure nel non dare la parola, l’opportunità del dibattito pubblico a chi sostiene la visione della società attuale, espressione della dittatura del consumismo capitalistico, che va combattuta e basta.
Dove il mondo è arrivato con simili concetti da pensiero unico ai tempi del nazismo e comunismo ben lo sappiamo.
Orwell già nel romanzo «1984», da lui scritto nel 1948, profeticamente anticipava che la «neolingua», il cambiamento della lingua (oggi in atto con il politically correct e l’imposizione di nuove forme di scrittura) ha lo scopo di rendere impossibile ogni altra forma di pensiero.
Trump non si è reso conto di aver reso con il suo modo di fare un grande favore al progressismo di sinistra e al wokismo. Spostando le contestazioni su interventi discutibili riesce a far dimenticare la vera ragione della contestazione, la deriva di università che talvolta accettano e addirittura sostengono l’ideologia wokista accompagnata dall’intimidazione nei confronti della vera cultura. L’adesione a tali atteggiamenti di parte del corpo accademico è molto preoccupante, anche se spesso conseguenza della esigenza di carriera e della paura.
Nell’Italia del dopoguerra si sono distinti per zelo intellettuali comunisti che al tempo di Mussolini erano disciplinati fascisti. Anche gli intellettuali tengono famiglia.
Le università che cedono alla prepotenza di minoranze di studenti (e non), che permettono che l’ideologia avveleni gli studi, offuschi il sapere, che non danno spazio al dialogo e lo difendono, vengono meno alla loro funzione.
La cultura si basa sul dibattito, il confronto di idee, la tolleranza, tutte premesse per una coesistenza non autoritaria e per il vero progresso.