Vent'anni prima, vent'anni dopo

Emanuele Gagliardi
Emanuele Gagliardi
03.03.2012 05:00

di Emanuele Gagliardi - Vent?anni dopo, vent?anni prima. In mezzo il dolore. Allora lancinante, oggi temperato dal tempo, ma non meno bruciante. La memoria non si cancella. La strage di Rivera del 4 marzo 1992 ha segnato il Ticino: sei i morti, sei i feriti. La causa? Un uomo, Erminio Criscione, armato di Kalashnikov, in giro per il cantone a suonare campanelli di conoscenti, di amici per sparare e uccidere. Il perché? Non si saprà mai. Sparava un colpo alla volta. Passata qualche ora, si consegnò, piangendo, ai poliziotti. Piangevano già da qualche ora (e probabilmente continuano ancora) anche parecchie famiglie, vittime della furia cieca di Criscione. Il Ticino si risvegliò schiacciato dalle notizie riportate dalla carta stampata e dai giornali radio che raccontavano ed aggiornavano su quanto accaduto la sera prima. Notizie, per i giornalisti, non facili da raccogliere, ordinare e spiegare a lettori e ascoltatori. C?era l?elenco delle vittime, dei feriti, di coloro che versavano in gravi condizioni: c?era quell?uomo minuto, il killer, che veniva descritto da conoscenti come persona tranquilla, amante dei cani e dei cavalli. Si era passata la notte a correre da un paese all?altro, a raccogliere i nomi dei morti e dei feriti, senza però riuscire a dare una lettura precisa agli avvenimenti. Con l?occhio, per chi lavorava nei giornali, sempre puntato sull?orologio, per rispettare i tempi di chiusura dei quotidiani che dovevano essere caricati in tempo sul treno per la Svizzera interna. Anche la polizia aveva il suo daffare, rincorrendo nella notte un fantasma che sparava e spariva, lasciando dietro di sé morti e feriti. Vent?anni dopo. Non è semplice ricordare tutto nei dettagli. È inevitabile aprire le raccolte e leggere la cronaca. I volti delle vittime e dei feriti sono lì che ti guardano quasi a chiedere il perché sia toccato loro un così atroce destino. E perché torni da loro, adesso, quasi a disturbarli. Criscione uscì di scena, qualche giorno dopo i fatti, impiccandosi in cella. Fu difficile anche per gli psichiatri dire qualcosa sul perché della strage senza poter conoscere gli aspetti più intimi dell?autore della carneficina. C?era qualche difficoltà finanziaria, ma non tale «da giustificare la strage e il rancore contro persone così diverse e così numerose. Un caso, comunque, di «psicosi acuta», disse, a caldo, lo psichiatra Tazio Carlevaro. Si parlò di delitto da Medioevo, di fotocopia del caso Tschanun, l?uomo che aprì il fuoco all?impazzata contro i colleghi d?ufficio a Zurigo. Qualcosa dentro Erminio Criscione si era rotto a livello di rapporti interpersonali. La notizia della strage di Rivera fece il giro della Svizzera, suscitando incredulità, cordoglio e commozione. Qualche anno dopo, la morte violenta avrebbe fatto il suo ingresso anche nel Parlamento del canton Zugo. Storie terribili, da impazzire, da cui pare impossibile uscire. La cronaca recente ci ha confrontati con altre folli sparatorie, avvenute in Paesi vicini e lontani. Spesso, gli autori delle stragi, sono persone del posto, integrate, che non hanno alle spalle storie di emigrazione come Criscione. Anche lì, comunque, le foto delle vittime sui giornali, dagli schermi televisivi, giovani e meno giovani, che ti guardano: chi sorridente, chi pensieroso. Infine, arriva il giorno dei funerali, delle cerimonie religiose, del commiato; amici, congiunti che leggono gli ultimi messaggi dedicati agli scomparsi: pronunciati con un filo di voce rotta dall?emozione, che a volte sembra lì lì per spezzarsi ma che riesce sempre a concludere la lettura. Seguono le omelie, toccanti. Davanti la folla commossa, muta. Un dignitoso silenzio, compostezza da parte dei familiari a cui fa da cornice solo il pianto. E poi i canti. Fu così anche a Rivera. Le bare allineate, sopra di esse i ritratti degli scomparsi accoglievano familiari, amici e pellegrini giunti a Rivera. Sono passati vent?anni: chi è sopravvissuto alla strage, chi è scampato non può dimenticare. Come non possono dimenticare familiari e amici. Anche chi per lavoro, chi come semplice cittadino fu coinvolto in questo evento, ricorda. La raccolta dei giornali del 1992 ritorna in archivio. Un ultimo sguardo alle fotografie, un pensiero ai familiari che in tutti questi anni in silenzio hanno continuato la loro vita stravolta in pochi secondi, riuscendo a dare un senso alla quotidianità. È difficile staccare gli occhi dalle fotografie. Tutte persone tranquille, operose, cordiali. Che non avevano nulla da temere. E che quella sera avevano aperto tranquillamente la porta di casa quando era squillato il campanello: dietro ad attenderli c?era, però, la morte.