L'editoriale

Con l'UE un'intesa sempre vacillante

C’è un particolare fervore in questi giorni attorno al tema dei rapporti con l’Unione europea, ma resta parecchio da fare per appianare le divergenze
©Chiara Zocchetti
Giovanni Galli
06.04.2024 06:00

C’è un particolare fervore in questi giorni attorno al tema dei rapporti con l’Unione europea. Mentre hanno preso da poco il via i negoziati per un nuovo pacchetto di accordi bilaterali, un fronte (ridotto) di favorevoli a un più solido rapporto con l’UE e quello dei contrari sono scesi in campo con due iniziative di segno opposto ma mosse dal medesimo obiettivo di fondo: occupare uno spazio e preparare il terreno in vista della fase decisiva, quando all’eventuale intesa fra Berna e Bruxelles - entro fine anno o nel corso del 2025 - seguirà in Svizzera la fase politica interna. L’UDC, con la sua iniziativa contro una Svizzera da dieci milioni di abitanti, parte da una posizione di vantaggio. Mentre le altre forze politiche, sebbene favorevoli a nuovi negoziati, hanno assunto un atteggiamento attendista e circospetto, il partito di Marcel Dettling ha lanciato da lontano una campagna tambureggiante, nell’intento di conquistare il primato interpretativo sul significato di questi accordi, considerati come un contratto di stampo coloniale. Fallito il primo attacco frontale alla libera circolazione delle persone, l’UDC torna alla carica con una proposta indiretta, in nome della «sostenibilità», che ne vincola l’abolizione al superamento di una determinata soglia demografica. Gli ultimi dati sull’immigrazione e sulla crescita della popolazione giocano a suo favore. Inoltre, non sono stati attesi i canonici diciotto mesi. Le firme necessarie sono state raccolte nella metà del tempo e subito depositate. Il Consiglio federale avrà un anno per prendere posizione ed eventualmente presentare un controprogetto. È quindi possibile che il dibattito interno sull’accordo con l’UE e quello sull’iniziativa si svolgano più o meno parallelamente. In tal caso si dovrà decidere a quale dei due dare la priorità sull’agenda (il voto sul nuovo pacchetto è previsto indicativamente nel 2026). C’è chi sostiene, come la «NZZ», che l’iniziativa potrebbe tornare utile ai negoziatori svizzeri, perché di fronte a una tale minaccia Bruxelles potrebbe fare concessioni in tema di immigrazione. Una clausola di salvaguardia per misure temporanee, secondo il giornale zurighese, sarebbe un controprogetto ideale. Ma siamo sempre nel campo delle ipotesi.

L’altra iniziativa, risultato di una lunga gestazione e sostenuta solo dagli ambienti dichiaratamente europeisti, vuole inserire nella Costituzione la cooperazione con l’Unione. Tuttavia, questa proposta, definita «Iniziativa Europa», sembra destinata ad avere un minore impatto. Per cercare un rapporto più solido con l’UE non servono ulteriori esortazioni, visto che il Consiglio federale, dopo il no all’accordo quadro istituzionale, ha rilanciato i negoziati con il beneplacito del Parlamento e dei Cantoni. La raccolta di firme è appena iniziata e la procedura rischia di protrarsi oltre i termini utili per incidere sul processo decisionale. L’iniziativa ha tutt’al più il valore di un segnale per non lasciare all’UDC il monopolio del discorso, per mobilitare chi sostiene la necessità di relazioni più strette con l’Europa e per fare in modo che la questione non venga definitivamente chiusa, nel caso l’accordo in via di definizione a Bruxelles cadesse già in fase negoziale o alle urne. Più che l’aspetto problematico dei tempi, l’handicap principale è lo scarso appoggio politico. A sostenerla, in veste di promotori, ci sono solo l’Operazione libero e i Verdi. Mancano all’appello tutti gli altri partiti e organizzazioni che in passato avevano appoggiato la via bilaterale. Alla prova dei fatti, il contributo alla causa potrebbe quindi rivelarsi assai scarso.

Iniziative a parte, resta l’impressione che i negoziati, preceduti da colloqui esplorativi e preparati con cura, siano nati sotto una cattiva stella. La prosecuzione della via bilaterale ha una chance solo a condizione che si trovi un’ampia maggioranza in sede politica, economica e sindacale contro l’UDC. Al momento non sembra il caso, anche perché un paio di settimane fa l’Unione sindacale svizzera si è ritirata dalla tavola rotonda coordinata dalla SECO sulle misure di compensazione interna, non condividendo alcuni passaggi del mandato negoziale. Di là della protezione dei salari, i sindacati perseguono anche obiettivi che vanno oltre le questioni negoziali, come un’applicazione facilitata dei Contratti collettivi di lavoro e regole più severe per il lavoro temporaneo. Sanno che il loro consenso è fondamentale e quindi cercano di trarre il massimo vantaggio dalla situazione. Sta di fatto che in mancanza di chiare concessioni non salirebbero mai a bordo. Gli imprenditori, dal canto loro, non vogliono prendere in considerazione aspetti che non hanno un legame diretto con i negoziati e che potrebbero restringere il loro margine di manovra sul mercato del lavoro. Da una parte e dall’altra non sembra esserci disponibilità al compromesso su questo punto, a dimostrazione che la partita interna resta altrettanto ardua, se non di più, di quella in corso a Bruxelles. Al Consiglio federale e al fronte tradizionale favorevole alla via bilaterale resta parecchio da fare per appianare le divergenze e soprattutto per convincere perché serve un’intesa con l’Unione europea.