Strada di Gandria: il Cantone reinventa l’arte del patchwork in chiave bituminosa

A guardarla dall’alto – magari con quel distacco contemplativo che si riserva alle installazioni più audaci della Biennale di Venezia – la Strada di Gandria non sembra più una via cantonale, ma una tela post-industriale. Una sorta di Pavement Art Brut dove l’asfalto diventa medium e la ruspa pennello. Altro che rifacimento: qui siamo di fronte a un’opera d’arte concettuale a cielo aperto. Il Cantone, in un lampo d’avanguardia, ha scelto di non rifare l’intero manto stradale, ma di procedere per segmenti, quasi tessere di un mosaico monocromatico, un puzzle grigio-nerastro da interpretare.
È il trionfo del patchwork stradale, omaggio involontario – o chissà, magari no – a un certo minimalismo à la Donald Judd, ma con il pragmatismo svizzero che trasuda da ogni colata. Non ci sono linee rette né uniformità cromatica: solo contrasti, giunzioni, improvvise virate di tono. Qui un grigio antracite profondo come un pensiero di Malevič, là un nero opaco che sembra uscito da un incubo asfaltato di Burri. E se si guarda bene, si notano addirittura eleganti reticolati di linee d’asfalto che tentano, senza riuscirci davvero, di nascondere le cicatrici più profonde: segni calligrafici, quasi segreti, che ricordano le venature dorate del kintsugi giapponese – solo, senza l’oro e con meno poesia.
In fondo, perché accontentarsi di una strada liscia e monotona quando si può percorrere un’opera d’arte interattiva? Ogni automobilista è così costretto – o privilegiato – a vivere l’esperienza dell’estetica del dislivello, un sobbalzo alla volta. Come in certe performance degli anni ’70, anche qui il pubblico è parte integrante del lavoro: lo vive, lo sente sotto le ruote, lo commenta con fervore.
Certo, si sarebbe potuto osare di più. Se davvero si trattava di lanciarsi nel mondo dell’arte pubblica, perché fermarsi al grigio e al nero? Un tocco di cromatismo alla Rothko, un’iniezione di pop alla Haring, magari qualche tono cangiante in stile Op Art per stimolare i sensi e destabilizzare la percezione – e invece no: si è scelto il rigore, la sobrietà. Forse per rimanere in tema con i tagli di bilancio.
Il risultato è una strada che, più che percorsa, andrebbe esposta. E se proprio deve restare lì, almeno che qualcuno le dedichi una targa: «Composizione stradale n. 1 (Gandria), bitume su cemento, autore: ignoto, ma approvato dal Cantone».
Nel frattempo, gli automobilisti affrontano l’opera con la devozione di chi sa di trovarsi davanti a qualcosa di più grande, qualcosa che sfugge al semplice concetto di viabilità. Magari maledicendo ogni buca, ma con la consapevolezza che, in fondo, stanno attraversando un pezzo d’arte. O quantomeno, un pezzo.