A che punto è il futuro
Dopo i saluti, con voce calda e ferma, quasi confidenziale, dichiara per prima cosa:«Sta andando tutto velocissimo». E continuerà su questo registro per un’ora buona, ribadendo il concetto in un italiano pressoché ottimo, raccontando, spiegando, tirando fuori numeri, statistiche, nomi di persone e indirizzi di luoghi. È mezzogiorno di una assolata domenica di primavera e sono al telefono con Erion Veliaj, sindaco di Tirana dal 2015, ex ministro del Welfare sotto il premier Edi Rama. L’idea è quella di capire con lui a che punto è il futuro nella capitale dell’Albania, che nel 2022 è pure Capitale europea della gioventù. Perché non c’è dubbio:laggiù qualcosa sta accadendo. «Per decenni - prosegue Veliaj - siamo stati la Pyongyang d’Europa. Dopo la caduta del comunismo negli anni Novanta, Tirana è cresciuta di cinque volte, da 200mila a un milione di abitanti. Uno sviluppo caotico e fuori controllo: la città sembrava una enorme favela. Arriva Edi Rama, sindaco dal 2000 al 2011 e inizia a mettere un po’ di ordine. Arrivo io, e siamo al secondo round:dopo le ‘pulizie’, è iniziata l’execution.
Una legge ha riunito 27 Comuni nella Tirana metropolitana e così abbiamo 42 chilometri quadrati di città e 1.250 di area urbana complessiva. Con l’architetto italiano Stefano Boeri abbiamo varato il progetto Tirana 2030 e ora tutto è più operativo:sono arrivati architetti e artisti da ogni dove, Svizzera compresa, per trasformare la capitale albanese in una città policentrica e caleidoscopica, volta all’accoglienza e alla vivibilità. Naturalmente c’è ancora parecchio da fare ma le cose qui stanno andando davvero a una velocità elevatissima. In questo momento l’intera città è un unico cantiere aperto, un work in progress come la Sagrada Familia a Barcellona». Di fatto, con un aumento di 30mila cittadini all’anno - tradotto: almeno 10mila case e 10mila auto - le cose da sistemare e i rischi da evitare sono tanti. Si fa presto a ritrovarsi in una favela 2.0. «Con Boeri abbiamo ideato un sistema boschivo orbitale continuo intorno alla città, con due milioni di alberi, parchi e oasi naturalistiche protette: è il nostro ‘muro permeabile’ preposto a darci l’allarme sulla qualità della vita e sull’equilibrio ecologico.
Da lì in avanti prima di costruire ci si dovrà pensare due volte». Ma in tutto ciò, che ne è del recupero dei luoghi storici? «Qui c’è un equivoco - spiega Veliaj - perché Tirana è città dal passato molto limitato. Abbiamo i resti di una antica villa romana, una castello bizantino, due moschee ottomane, qualche architettura fascista e quelle volute da Nikita Chruščëv. E pochissimo altro. Tanti edifici erano tenuti molto male e questo ci ha imposto una riflessione:le città non possono essere magazzini di oggetti inutili, invasi da auto e da topi, ma devono accogliere e far germogliare la vita e le persone, nel modo più pulito possibile. Abbiamo dunque deciso di salvare e restaurare i luoghi di valore, ma allo stesso tempo di riservare i discorsi nostalgici alle visite nei musei. Gli abitanti hanno capito:‘Not In My Back Yard’ è una protesta rara da ascoltare qui a Tirana, gran parte dei cittadini è molto giovane e protesa al futuro. E se mi chiedi che modello abbiamo in testa, ti rispondo:Tel Aviv». Di fatto, l’intera politica dell’istruzione e della cultura a Tirana è stata ripensata e impostata sull’acquisizione di competenze tecnologiche, in particolare informatiche. Finita l’era dei call center dai salari bassissimi, ormai delocalizzati in India, si entra in quella del coding, che trattiene i giovani in loco. «Certo - conclude Veliaj - quelli che vivono in provincia puntano ancora alla Svizzera o all’Italia. Ma il loro piano B è trasferirsi a Tirana. Io sono il manager dei piani B, quelli che nella storia hanno dimostrato, e non poche volte, di funzionare meglio».
TOMMY CAPPELLINI
FOTO DI ALDO BONATA