L'ultima intervista

Anna Felder: «Il guscio di un pistacchio aperto mi sorride»

Per onorare la scrittrice ticinese, scomparsa ieri ad Aarau, vi riproponiamo l'incontro avvenuto lo scorso settembre
©Chiara Zocchetti
Andrea Bertagni
Andrea Bertagni
16.11.2023 09:30

Anna Felder è morta. La scrittrice ticinese, nata a Lugano nel 1937, si è spenta ieri ad Aarau, dove aveva a lungo insegnato francese e italiano al liceo. Durante la sua carriera, ha pubblicato diversi libri presso editori ticinesi e italiani. La sua opera è stata apprezzata perché carica di sensibilità e umorismo. In carriera ha vinto anche molti premi letterari, fra cui il Premio Italia nel 1975, due Premi Schiller (1982 e 1998), l'Aargauer Literaturpreis (2004) e infine il Gran Premio svizzero di letteratura nel 2018. Per onorarla al meglio, vi riproponiamo l'ultima intervista concessa a La Domenica, lo scorso settembre, a firma Andrea Bertagni.

Il guscio mezzo aperto di un pistacchio tostato? Sorride. Un ombrello? Ha le fattezze di un pipistrello. Un gatto? Ha il muso come un pugno. La fantasia di Anna Felder, scrittrice svizzera nata e cresciuta a Lugano, anche se si divide con Aarau, dove ha casa, nasce oggi come ieri dallo sguardo attento della realtà. Perché se negli anni ’70 dava alle stampe il suo primo romanzo Tra dove piove e non piove (Armando Dadò editore), che anima le gesta e i cuori di un’insegnante di italiano e dei piccoli immigrati d’origine italiana a cui dà lezioni, nel pieno dei dibattiti e delle animate discussioni sull'iniziativa Schwarzenbach contro la presenza straniera e in particolare italiana in Svizzera, oggi Felder che ha raggiunto gli 85 anni e, salvo qualche racconto, ha appeso la penna al chiodo, guarda sempre la realtà. In tutte le sue forme. Anche quella minuta. Anche quella che dà la forma a un guscio di pistacchio. Di cui è golosissima, ammette, sgusciandone uno. E poi un altro ancora.

La felicità

Una fantasia e un’attenzione non comuni per le piccole grandi cose. Che Felder cattura con gli occhi, le orecchie, le sensazioni. Da sempre. Fin da bambina. «Ricordo la prima felicità - racconta - andavo al Ginnasio e dalla finestra di casa, a Molino Nuovo, dove abitavo, ho visto una scena sotto un albero. C’era una mamma che giocava alla palla con due bambini. Mi sono messa a descrivere quella scena. E mi sono accorta quanto era bello dire e non dire, scegliere, avere la libertà delle parole». Una felicità immensa. Talmente grande da indurre Felder a chiedersi come mai non scrivano tutti. «Perché tutti non prendono la palla al balzo? Con la scrittura si ha la libertà di inventare il mondo, di creare i tempi e gli spazi. È bellissimo».

Anche al Liceo mi ricordo che leggevano i miei componimenti in classe. Uno di questi era intitolato L’ombrello. Lo avevo paragonato a un pipistrello. Mentre di un gatto avevo scritto che aveva il muso come un pugno

Le parole

Ecco perché dopo quella scena immortalata con le parole non si è più fermata. «Anche al Liceo mi ricordo che leggevano i miei componimenti in classe - prosegue -. Uno di questi era intitolato L’ombrello. Lo avevo paragonato a un pipistrello. Mentre di un gatto avevo scritto che aveva il muso come un pugno». Chissà se l’idea dell’affidare il ruolo di narratore a un gatto, come Felder ha fatto con il suo secondo romanzo, La disdetta, pubblicato nel 1974 da Einaudi e poi da Casagrande nel 1991, è germogliata lì, tra i banchi di scuola. Di sicuro la sua narrazione è sempre stata attenta, anche psicologica, e veloce, incalzante, sospinta dalle parole. «Le parole si alimentano le une con le altre - sottolinea Felder - si mettono in gioco, in causa, in modo anche ritmico, continuano a esserci, a esprimere un flusso, parole che implicano altre parole. Credo nel loro valore. Nel loro destino. A volte ho quasi l’impressione che devo ubbidire alla parola, non è lei che ubbidisce a me».

Le parole corrono e a volte possono diventare anche giocose. Diventare divertenti anche in un contesto che invece non lo è, come quello dei telefoni cellulari. Su cui ci si china forse troppo a lungo rubando il tempo a qualcosa di più prezioso. Eppure... eppure chi ha fantasia può trovare il modo di giocare con le parole anche avendo davanti «uno schermetto», come lo chiama Felder. «Io mi industrio a inventare parole, ad appiccicarle insieme, a trasformarle e questa è una libertà che una volta non c’era - ammette l’autrice - Saluta Luca, può ad esempio diventare Saluca e così avanti di seguito...».

La libertà

La libertà di inventare, la libertà di scrivere. Sopra ogni altra cosa. Che può portare anche a una lingua alterata. Sperimentale. Così come è stato del resto definito sperimentale dalla critica proprio il romanzo, La disdetta. Italo Calvino, che patrocinò convintamente il secondo romanzo di Felder, scrisse del resto che si trattava di pagine per lettori dal palato molto fino. E così si continua con Nozze alte, pubblicato nel 1981, che riscrive e aggiorna il mito di Filemone e Bauci, oppure con Le Adelaidi, uscito 2007 che porta a scoprire la storia di un uomo e di molte donne, raccontata come un puzzle di evocazioni e di ricordi confusi e riemersi.

Felder guarda la realtà, la interpreta, la esplora. Ci entra dentro e poi la estrapola. «Ho spesso l’impressione che scrivere è stare all’ascolto. C’è già la storia, tra il cielo e la terra, è già scritta, bisogna solo ascoltarla e togliere uno strato». Un’autrice mai ferma. Arrivata. Doma. Di sicuro riconosciuta e premiata. Come dimostrano il Premio Schiller nel 1982 o il Gran Premio svizzero di letteratura conferitole nel 2018. Riconoscimenti comuni a un’altra scrittrice recentemente scomparsa, Silvana Lattmann, di cui Felder era molto amica. Due donne forti. Entrambe autrici in lingua italiana, pur vivendo gran parte della loro vita in Svizzera tedesca. Di sicuro accomunate dalla stessa passione. La ricerca delle storie, da quelle più piccole a quelle più dense, da trasformare in romanzi e racconti. In grande letteratura.

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