Il personaggio

Dai colori della Sicilia al maestro Botta

«Oggi creo gioielli e mi ispiro alle opere d'arte» dice Eleonora Castagnetta, che ci ha raccontato la sua storia di imprenditrice, mamma e moglie
Giorgia Cimma Sommaruga
22.01.2023 17:05

Siciliana doc, si laurea in architettura a Palermo completando la sua tesi di laurea a Mendrisio, presso l’Accademia di architettura. E poi - galeotto fu lo stage presso lo studio dell’architetto Mario Botta - dove conosce suo marito Tommaso, il figlio del maestro. Oggi Eleonora Castagnetta, dopo una lunga «gavetta» seguendo il suo mentore (e suocero), si dedica solo ai suoi progetti: tanti colori, linearità e fantasia. A La Domenica ha raccontato la sua storia di imprenditrice, mamma e moglie.

Partiamo dal colore. Che cosa significa per te e come mai è così importante anche nel tuo modo di vestire - e lavorare?

«Arriva da un retaggio siciliano, dalle mie origini. Ho vissuto a Palermo fino a 24 anni, ho studiato lì alla Facoltà di Architettura, quindi mi sono formata fino all’età adulta in Sicilia. I colori sono un aspetto secondo me predominante della cultura siciliana che è molto stratificata, ha avuto tante dominazioni di diversa natura quindi anche i monumenti sono nei vari secoli completamente diversi tra di loro. Quella siciliana è una architettura molto contaminata. Lo vediamo nei mosaici, e poi il paesaggio, il mare, le barche, i dipinti, i carretti. Forse inconsciamente ho voluto riportare questa varietà, questa contaminazione, questo fascino dato proprio da un mix di suggestioni contrastanti». 

E -forse- sfatare il luogo comune dell’architetto noioso e cupo.  

«Beh… il modo di lavorare di un architetto è molto rigoroso e geometrico, molto simmetrico, forse questo colore vuole essere quella rottura e quel tocco un po’ più leggero rispetto a questa rigidità. Poi chiaramente il colore è qualcosa che piace a tutti, porta solarità, allegria e vivacità quindi ed è anche materia: anche a livello progettuale ha una sua valenza».

13 anni presso lo studio di Mario Botta. Tutto è iniziato con uno stage. Cosa ha significato lavorare per lui? 

«Beh finiti gli studi, quando ho avuto l’opportunità di iniziare uno stage del genere presso uno studio così internazionale ero estasiata. La cosa più bella che può capitare a un architetto appena laureato. Ho lavorato su progetti culturalmente interessanti perché ovviamente all’interno di questo studio non si lavora solo sul fronte edilizio di edifici residenziali. Lui è un visionario, una persona poliedrica e uno stakanovista. Durante lo stage ho conosciuto mio marito, e così, Mario Botta, dopo essere stato il mio maestro è anche diventato mio suocero». 

È stato limitante per la tua attività avere Mario Botta all’interno della tua famiglia? 

«Lavoro e famiglia spesso non sono separati nel nostro caso, facciamo un lavoro creativo io, mio marito e anche mio suocero, dunque è capitato durante i pranzi della domenica di confrontarci… Alla fine devo dire la verità, gli argomenti ruotano sempre attorno all’architettura ma perché è un tema affascinante. Il fatto che sia un parente io non l’ho mai visto come un limite anzi, è una linfa, un esempio importantissimo». 

Come nasce il tuo progetto?

«Penso sia corretto dire che il flusso della vita mia ha portato a lui. Ho sempre detto che prima dei 40 anni volevo fare qualcosa, per conto mio. Poi sono capitate delle situazioni in cui ho cominciato a fare dei lavoretti miei. Intanto i 40 anni si avvicinavano e quindi ho ho preso coraggio e ho aperto il mio studio. Ovviamente i progetti che faccio io sono a scala molto più piccola rispetto ai progetti che ho affrontato nei 13 anni precedenti. Però sono miei». 

Secondo me alla fine la vita ti porta dove devi essere. Non c’è niente di casuale non c’è niente che non andava fatto

Credi nel destino?

«Secondo me alla fine la vita ti porta dove devi essere. Non c’è niente di casuale non c’è niente che non andava fatto. Tutto quello che è successo in questi anni secondo me ha determinato la persona che sono adesso». 

Ti piacciono i gioielli? 

«Fin da bambina. Infatti parallelamente ho dato vita ad un marchio che realizza gioielli ispirati all’architettura, e poi abiti ispirati al concetto geometrico e ai colori».

Ultima ispirazione?

«Un bracciale che apparentemente è una catena ma in realtà è un piccolo progetto di architettura. Gli anelli della catena sono degli archi fatti in modo che si possono avvitare e svitare tutti, uno per uno. Questo sistema permette poi di riassemblarlo in infinite combinazioni. L’idea era di riproporre una piccola città sotto forma di catena».

Sembra che questi gioielli parlino di te. 

«Diciamo che il fatto che siano gioielli ispirati all’architettura permette di uire due aspetti della mia vita: il lavoro e le origini. I siciliani hanno una lunga tradizione del gioiello che va regalato dalla nonna quando ci sono le occasioni speciali, la famiglia tramanda i gioielli di famiglia, io fin da bambina mi ricordo di questo».  

Sei molto appassionata, hai pensato di trasformarla nella tua attività principale?

«Forse. Io sono una persona eclettica, non voglio focalizzarmi su una sola attività duque per ora sono contenta di dedicarmi a più cose differenti».

uUn tempo, addirittura da una generazione all’altra facevamo tutti la stessa professione. Ritengo impensabile che tutte le persone con tre generazioni differenti abbiano le stesse attitudini e sensibilità

Non sembra anacronistico rispetto alla nostra cultura?

«Sì, perché un tempo, addirittura da una generazione all’altra facevamo tutti la stessa professione. Ritengo impensabile che tutte le persone con tre generazioni differenti abbiano le stesse attitudini e sensibilità. Eppure lo facevano. Oggi invece, le persone sono più eclettiche, tuttavia sento talvolta «ah tu sei quella dei gioielli!», che magari è un complimento perché vengo ricordata per qualcosa di bello che faccio, eppure io non voglio essere etichettata».  

Artista, imprenditrice, ma anche mamma e moglie. Esiste la ricetta perfetta?

«In merito mi sento di dire che per quanto si stia lottando per avere questa famosa parità tra i sessi, in questo momento, la donna è sempre un minimo sacrificata rispetto la figura maschile. Riuscire ad essere presenti a casa comporta tantissima organizzazione e pianificazione. E questa pianificazione - nel mio caso - ruota sempre intorno alla figura della mamma. La figuara del padre, di mio marito, per fortuna mi aiuta molto, è presente. Però vedo che la programmazione vera e propria è qualcosa che gestisco io, questo mi ha aiutato anche nella vita di tutti i giorni». 

In che senso?

«Quando non ero mamma ero indubbiamente meno flessibile. Lavorare e avere una famiglia significa destreggiarsi continuamente tra più cose. Nel caso della mia famiglia poi, ci siamo sempre organizzati da soli, senza l’aiuto dei nonni, i miei vivono in Sicilia, e i genitori di mio marito non sono proprio dei nonni tradizionali». 

Che cos’è per te l’estetica?

«L’estetica da sola non esiste. è qualcosa di formale che risulta all’occhio delle persone e quindi viene percepita in maniera soggettiva. Quello che a me piace è che questa estetica sia sempre legata a un concetto, perché nella lettura di ogni persona, chiaramente, ognuno la interpreta attraverso un suo stato d’animo. Ogni persona potrà leggere al livello che vuole quello, assimilarlo, percepirlo in modo differente. Ma se dietro all’estetica c’è un concetto, esso rimane sempre. Ad esempio, pensiamo ai miei gioielli. Possono piacere o no - a livello estetico - però il fatto che vengano creati seguendo un concetto architettonico e questo viene compreso e letto dalle persone che li acquistano, questo significa che il progetto è riuscito».