Società

«Dal mio osservatorio di Piazza Riforma vi racconto come è cambiata la politica e pure come un giorno ho cotto le uova sul selciato rovente»

A tu per tu con Guido Sassi, il noto ristoratore luganese che di recente ha pubblicato un libro con le edizioni San Giorgio
Prisca Dindo
05.05.2024 06:00

Dici Guido Sassi e pensi subito a Piazza Riforma a Lugano. La sua, è una vita legata a doppio filo con quella della città. Tanto che il noto ristoratore le ha dedicato un libro pubblicato di recente dalle edizioni San Giorgio (Come su un palcoscenico, la mia Lugano da piazza Riforma). I luganesi conoscono bene i suoi ritrovi posizionati nel cuore della city. A partire dal bar Olimpia, lo storico ristorante all’interno del palazzo civico che Sassi, classe 1952, rileva nel 1981.

Cosa prova quando sente i chicchi cadere nella campana del macinacaffè?
«Per me è un’emozione, è magia! È la colonna sonora della mia vita! Lavorare nella ristorazione è una missione: devi avere passione per questo mestiere e io l’ho sempre avuta».

Significa anche lavorare lasciando fuori dalla porta i propri problemi. Difficile?
«Dipende dai punti di vista: alcuni ristoratori vivono questo mestiere con un fare distaccato, come fosse una professione qualsiasi; altri invece gli dedicano la vita, cercando di dare tutto di loro stessi. Io appartengo alla seconda categoria e quindi non mi è mai pesato mettere al centro dei miei pensieri i desideri dei clienti. Anzi…»

Il fattore umano nel suo mestiere gioca un ruolo importante?
«Non nascondo che a volte mi sento più psicologo che ristoratore. La gente si siede al bar e comincia a raccontarmi i suoi problemi. Secondo me la figura professionale del ristoratore sarebbe da valorizzare. Cosa farebbero le città senza bar e ristoranti? Se chiudessimo tutti quanti per un mese, cosa succederebbe? Il telefonino basterebbe per un paio di giorni, ma poi mancherebbe il contatto umano. Noi giochiamo un ruolo sociale che non andrebbe sottovalutato».

Una bella storia che ricorda con piacere?
«Una sera di inverno uno dei miei clienti mi chiese di bere qualcosa con lui. Era solo e sembrava sconsolato. Non appena mi sedetti al suo tavolo lui scoppiò in lacrime. Sua moglie l’aveva appena abbandonato. Io mi permisi di dargli alcuni consigli, senza violare la sua intimità. Due settimane dopo tornò e mi ringraziò. Mi raccontò che grazie alle mie parole era riuscito a fare pace con sua moglie. Nel mio piccolo ero riuscito a far tornare l’armonia in una coppia e ciò mi fece piacere».

Negli anni ’60 a Carasso c’era il «tavolo di sasso», attorno al quale i protagonisti dell’alleanza liberal-socialista decidevano le sorti del Cantone. Negli anni ’80 a Lugano c’era «il tavolo di Guido»?
«All’Olimpia c’era lo «stammtisch», un tavolo di legno, non di granito come quello di Carasso. Da lì passava la Lugano che conta, che veniva a bere il caffè e a leggere i giornali. Si trattava soprattutto di liberali e pipidini, di socialisti ne vedevo pochi. Quel tavolo era importante perché si sedevano i protagonisti della vita politica cantonale e comunale insieme ai timonieri della finanza e ai titolari dei più grossi studi legali. Lugano era la locomotiva del Cantone e molto ruotava attorno al bar Olimpia. Anche i consiglieri di Stato neoletti venivano a Lugano subito dopo la cerimonia di investitura che si svolgeva come sempre a Bellinzona. Stesso rito per i nuovi municipali luganesi. Tutti passavano da qui!»

Negli anni ’90 a Lugano è nata la Lega di Giuliano Bignasca. Cosa ricorda di quel periodo?
«Conoscevo bene il Nano, era un vulcano di idee, un vero decisionista. Quando lanciò il suo movimento molti dei miei clienti pensavano che fosse qualcosa di folcloristico. Ricordo che a due anni dalla nascita della Lega, chiesi ad uno dei notabili liberali radicali cosa pensasse dell’incredibile ascesa che stava vivendo il movimento. «Ma non ti preoccupare, Bignasca è in difficoltà finanziarie; vedrai: fra pochi anni salterà in aria lui insieme al suo movimento!» Mai previsione fu tanto sbagliata».

Quelli erano gli anni della Lugano «rampante». Ci racconti alcuni aneddoti…
«Una volta la colonnina di mercurio oltrepassò i 40 gradi in Piazza Riforma. Si moriva dal caldo e le lastre della pavimentazione erano roventi. I clienti non parlavano d’altro. «Fa talmente caldo che si potrebbe cucinare un uovo sul selciato», disse qualcuno. Detto, fatto. Presi dal frigo due uova. Tornai sulla piazza, pulii per bene una lastra e ci ruppi sopra le due uova. Dopo quindici minuti erano cotte a puntino! Ricordo che i clienti facevano a gomitate per avere «l’oeuf à la piazza Riforma». Una goliardata irripetibile oggi. Per non parlare della serata Pommery organizzata all’Olimpia in un dicembre di molti anni fa. Versammo ettolitri di champagne e il tasso d’alcolemia era alle stelle, compreso quello del sottoscritto».

E cosa successe?
«Verso la una di notte, a festa ormai terminata, mi venne la brillante idea di organizzare con gli ultimi invitati rimasti un tiro al piattello in Piazza. Andai in cucina e presi i piattini da caffè: io ne buttavo uno in aria e loro dovevano fingere di sparare. Ogni lancio era seguito dal fragore della ceramica che si frantumava per terra. Ne avremo sparati cinquecento! Dopo la bravata, andammo tutti a casa senza raccogliere un coccio. Verso le 5 mi chiamò uno spazzino per chiedermi lumi di quanto successo e alle 7 dovetti presentarmi in polizia».

Dall’Olimpia sono passati diverse personalità, eppure sulle pareti del ristorante non si trova neppure un suo selfie con qualche star. Come mai?
«Non ho mai scattato fotografie con i miei clienti. Neppure quando si trattava di attori del calibro di Arnold Schwarzenegger o Sylvester Stallone. A me interessa la persona, capire il suo mondo. Qui al bar ho conosciuto una delle quattro persone più ricche e potenti dell’Argentina, trascorreva sei mesi all’anno a Lugano. Una volta gli chiesi: «Ma tu, quanti soldi hai?». Lui mi rispose con un aneddoto che mi lasciò di stucco: ricordati, Guido, chi riesce a contare i suoi soldi è un povero».

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