Derubato sì, ma non del buon umore

Quando è andato in polizia a denunciare il furto della sua bicicletta, Werner Kropik è rimasto stupito dal dover rispondere più volte alla stessa domanda. «No, non era una bicicletta elettrica - ha ripetuto il noto documentarista viennese trapiantato a Lugano -. La bicicletta elettrica la prenderò magari quando diventerò vecchio. E non ho ancora mica deciso di diventare vecchio
Kropik la mette sul ridere, come da sua abitudine, come in quei suoi documentari contraddistinti da una sottile e sferzante ironia. Per ritrovare il buonumore gli basta mettere la pallina in un angolo dei campi di tennis del Campo Marzio («batto avversari quarant’anni più giovani di me»,dice) o anche solo veder passare una bella ragazza («ci sono donne in grado di ravvivare quella brace che credevo sopita», precisa).
Tuttavia, in questa occasione Kropik non riesce a nascondere un velo di malinconia per la scomparsa, domenica scorsa sotto casa sua in via Pessina, della compagna di viaggio degli ultimi 31 anni. «Potesse parlare - afferma - anche lei avrebbe tanto da raccontare sui nostri viaggi. E sarebbe interessante ascoltarla, perché noi pensiamo sempre che quello che raccontiamo sia la realtà, invece mi sono reso conto che la realtà non esiste. Esistono solo tante rappresentazioni della realtà, che possono essere molto diverse l’una dall’altra. Per questo, non dobbiamo mai avere troppa fiducia nei nostri ricordi».
Non un guru
In 83 anni Werner Kropik ne ha raccolti di ricordi e di insegnamenti. Sentendolo parlare, verrebbe da accomunarlo a un guru. Un’immagine in cui lui però non si ritrova affatto. «Sono semplicemente una persona curiosa, attratta dai modi di vivere diversi dal nostro - spiega -. A me non interessa visitare il Giappone o gli Stati Uniti, perché lì trovo gli stessi supermercati e le stesse automobili che qua. A me piace andare alla lenta scoperta dei villaggi più remoti che ancora hanno saputo mantenere una propria essenza».
Di recente Kropik è tornato proprio in uno di questi villaggi, in Nepal, raggiungibile solo in otto giorni di cammino. «Ci ero già stato trentacinque anni fa e avevo fotografato tutti gli abitanti del villaggio - racconta -. Ho quindi voluto ritornarci portando con me tutte quelle fotografie, per vedere se riuscivo a riconoscere qualcuno. E in effetti gli abitanti sono ancora quasi tutti gli stessi. Ovviamente i bambini di allora hanno oggi quarant’anni, chi aveva quarant’anni è anziano e chi era anziano è morto. Ma è stato molto interessante poter fare un confronto rispetto a 35 anni fa».
Le persone sono invecchiate, spiega Kropik, ma la vita nel villaggio nepalese non è cambiata granché. «L’unica differenza è che adesso hanno i pannelli solari per ricaricare i loro telefonini satellitari, che sono stati sovvenzionati dal governo nepalese, interessato a sapere cosa succede in quella regione di confine - afferma -. Per gli abitanti del villaggio è un grandissimo cambiamento. Mentre guardavamo le fotografie una donna ha riconosciuto suo fratello e gli subito fatto una videochiamata per mostrargliela. Ora suo fratello è un tassista sulle strade della California. Gli sono venute le lacrime agli occhi rivedendosi in foto all’età di 9 anni mentre arava i campi con gli yak a 4'100 metri di quota».
L’arrivo in Ticino
Sono realtà così lontane, ma anche così vicine a noi. «Quando sono arrivato in Ticino, nel 1964, si vedevano ancora signore con la gerla sulle spalle, tutte vestite di nero - ricorda -. Quel mondo è cambiato molto in fretta. C’era gente che aveva una manciata di capre ed è finita a lavorare in banca. Il mondo raccontato da Plinio Martini ne «Il fondo del sacco» è sparito. Però sono rimasti da raccontare i sentieri, le baite, gli alpeggi abbandonati. Io ho percorso tutte le vie della transumanza, cinquemila chilometri di sentieri, per mostrarle nei miei documentari. Mi hanno sempre affascinato le cappelle votive. Mi è sempre piaciuto vedere come la gente si immagina l’aldilà».
Un interesse per la spiritualità che tuttavia non ha mai scalfito il suo convinto ateismo. «La religione può avere dei lati positivi ma anche negativi - sostiene -. Nei paesi arabi in ogni frase mettono un «inshallah». Se vanno a schiantarsi contro un muro con l’automobile perché stavano telefonando alla guida, non pensano che sia colpa loro ma che Dio ha voluto così. L’indiano invece va al tempio come se andasse a uno sportello governativo. Offre dell’incenso alle divinità sperando di ottenere in cambio qualcosa. Pensa che le divinità siano corruttibili come gli impiegati statali».
Nemmeno il Dalai Lama, che Kropik ha incontrato diverse volte, è riuscito a fargli cambiare idea. «A volte abbiamo un’idea sopravvalutata della spiritualità - dice -. Io ho visto il Dalai Lama come una persona che ha innanzitutto un grande senso delle humour. Per esempio, un giorno ero accanto a lui ed è arrivato un giornalista francese, chiedendogli se anche noi occidentali dovessimo fare la meditazione tibetana. Lui gli ha risposto, no, anche una birra va benissimo».
Il ladro è stato visto
Questo modo di vivere disincantato ha permesso a Kropik di trovarsi a proprio agio in ogni angolo del mondo. «Il mio prossimo viaggio sarà in Bangladesh - annuncia -. Le autorità sconsigliano di andarci, ma in fin dei conti un qualche fanatico lo si può trovare ovunque». Emblematico è il fatto che l’unico luogo al mondo in cui gli sia stata rubata la bicicletta, una Kettler nera comprata 31 anni fa dal Gerosa, è stato sotto casa sua, a Lugano.
«Venerdì la polizia mi ha chiamato per dirmi che il ladro è ben visibile nelle immagini della videosorveglianza - dice Kropik -. Chissà, magari salterà fuori anche la bicicletta. Spero proprio di sì, perché ho ancora tanti viaggi da fare. Finora ho girato soprattutto in Asia, in Sudamerica, in Africa. Mi sono sempre detto che ci sono dei posti bellissimi anche più vicino, per esempio in Italia, ma ho pensato di tenerli per la vecchiaia. Se mai un giorno dovessi decidermi a diventare vecchio...».