L'analisi

Droni e siluri nella guerra tra Mosca e Kiev

L'Operazione Tela di Ragno dell’Ucraina è la conferma di come si combattono le nuove guerre e rappresenta un richiamo, forte, per chi deve difendere un Paese
©Anatolii Lysianskyi
Guido Olimpio
08.06.2025 06:00

L'Operazione Tela di Ragno dell’Ucraina è la conferma di come si combattono le nuove guerre e rappresenta un richiamo - forte - per chi deve difendere un paese.

Gli ucraini hanno impiegato tecnica e astuzia per colpire le basi dei bombardieri strategici russi. Cinque camion-madre che trasportavano casette prefabbricate, carico che celava nel tetto dei piccoli droni esplosivi. 

In questo modo si sono potuti avvicinare il più possibile a target, troppo «esposti». I velivoli erano sulle piazzole, senza alcuna protezione e ciò ha permesso il danneggiamento o la distruzione di una ventina di aerei. Poteva andare peggio, resta il colpo duro. La mancanza di bunker è una sorpresa fino ad un certo punto. Sono tante le installazioni - anche nei paesi occidentali - dove il numero di hangar protetti è basso o inesistente. Infatti, all’indomani dello strike è partito il grido d’allarme degli esperti, un messaggio rivolto ai comandi NATO: serve fare di più e meglio, senza escludere qualsiasi scenario.

Il timore è accresciuto dalla possibilità di incursioni a sciame. L’incursione organizzata dai servizi ucraini ha portato all’impiego di un centinaio di droni e non tutti hanno funzionato. Ma errori/problemi possono essere superati tenendo conto delle esperienze fatte: la prossima volta l’azione sarà più ampia come sarà più ampia la quota di mezzi.

E di nuovo il dossier va oltre la crisi in Ucraina. I cinesi, tanto per fare un esempio, stanno sviluppando piattaforme-madre per lanciare falangi di velivoli in qualsiasi teatro. Dal mare al cielo. Le lezioni che arrivano dai «campi» sono evidenti. In primavera Mosca ha bersagliato le città nemiche con una media di mille droni per settimana, un «pioggia» di proiettili pesanti. Una buona parte erano le varie versioni degli Shahed, mezzo di concezione iraniana oggi prodotto su licenza dalla Russia. Apparato ormai ben testato, presente dal fronte mediorientale a quello europeo. A loro volta gli ucraini hanno incrementato la messa a punto della loro «flotta», in modo autonomo e con l’aiuto dell’Occidente: parliamo di centinaia di migliaia di esemplari.

Gli arsenali in continua crescita pongono un altro nodo per chi gestisce budget, spesa, risorse. Un drone come lo Shahed costa all’incirca 20 mila dollari, un missile a lungo raggio un milione di dollari. Facile fare due calcoli, evidenti le ripercussioni. Le cifre diventano ancora più importanti se consideriamo lo sforzo per contenere questa insidia: in alcuni casi - ad esempio in Mar Rosso - l’esborso totale è diventato sproporzionato. Un sistema antimissile «sparato» per fermare un velivolo senza pilota può portare ad un conto milionario e ad un esaurimento rapido delle scorte. Al Pentagono hanno prospettato scenari preoccupati pesando ad eventuali impeghi multipli nel caso la Cina dovesse agire contro Taiwan.

Gli israeliani, a loro volta, hanno usato con successo i laser, soluzione adottata da Cina, Usa e Russia. Sempre la tattica della sorpresa decisa dai generali di Zelensky ha portato a risultati importati in Mar Nero contro la flotta del neo-zar. E non per caso gli ucraini hanno costruito diversi tipi droni marittimi, subacquei e di superficie. Sono equipaggiamenti con i quali puoi centrare porti, grandi navi, infrastrutture. E sempre a lunga distanza: uno dei «siluri» di ultima generazione usciti dalle fabbriche di Kiev ha un raggio di mille chilometri. Infatti, Mosca ha dovuto potenziare lo scudo attorno al ponte di Kerch, in Crimea, coinvolto in almeno tre attacchi con modus operandi variabili. Un camion bomba, un barchino kamikaze, una deflagrazione di un pilone.

Infine, l’aspetto «non convenzionale». I droni non sono una prerogativa di eserciti, sono diffusi tra guerriglieri e gruppi terroristici in quanto reperibili sul mercato civile. E dunque dobbiamo considerare l’ipotesi di un’azione eclatante contro un evento, una manifestazione, un luogo simbolico portata avanti grazie a piccoli velivoli esplosivi. Già il fatto di dover «pensare» alla minaccia costringe autorità e polizie ad allungare linee già sotto stress. Così il nodo da sciogliere non cambia, le forze di sicurezza sono costrette a inseguire il nemico.

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