Il reportage

I benzinai nel Mendrisiotto sono alla canna del gas

Viaggio tra le stazioni di servizio ticinesi al confine con l'Italia, che continuano a chiudere – «Siamo in agonia, il futuro è nerissimo»
©Gabriele Putzu
Andrea Bertagni
Andrea Bertagni
01.06.2025 06:00

Per chi è nato ed è vissuto nel Mendrisiotto le stazioni di benzina sono (e sono state) più di quello che sono. Vedere aprire o chiudere una pompa di benzina poco prima del confine o a Chiasso, così come a Stabio, equivaleva a farsi un’idea di come stava andando l’economia. «È inutile girarci attorno, in passato abbiamo sempre «vissuto» grazie alla Lombardia e ai lombardi, che venivano nel Mendrisiotto per rifornirsi di carburante e comprare beni e prodotti che non trovavano in Italia o che pensavano fossero migliori di quelli italiani», spiega Lorenzo Baumgartner, al vertice del Gruppo Piccadilly, realtà imprenditoriale di Mendrisio che conta 38 stazioni di servizio e impiega circa 280 collaboratori.

Baumgartner non ha usato il tempo al passato a caso. Indietro non si torna. Oggi non è più così. Oggi i lombardi non fanno più «il pieno» in Svizzera e men che meno fanno acquisti negli shop annessi alle stazioni di rifornimento. Tanto che qualcuno ha parlato della fine di un’era, come Matteo Centonze, CEO di ECSA Energy SA (il cui gruppo impiega oltre 300 persone) e presidente dell’Associazione ticinese stazioni di servizio (ATSS).

Ristrutturazioni in vista

«La crisi delle stazioni di servizio in Ticino - ha scritto l’associazione pochi mesi fa - ha raggiunto proporzioni drammatiche, segnando quella che sembra essere la fine di un’epoca. I volumi di vendita dei carburanti stanno crollando a ritmi senza precedenti, mettendo in ginocchio un settore già provato da anni di difficoltà e ora spinto verso un punto di non ritorno». Parole forti che Centonze conferma su tutta la linea. «La situazione è realmente difficile, tanto che nei prossimi anni - dice - mi aspetto una forte ristrutturazione del settore».

Centonze non lo dice, ma se le cose dovessero andare avanti così, è molto probabile che altre stazioni di benzina chiuderanno o saranno trasformate in qualcos’altro, con conseguenze anche per il personale.

Una crisi, molte facce

I primi effetti si sono già palesati. Il Gruppo Piccadilly è passato dalla cinquantina di stazioni di servizio che aveva negli «anni d’oro» alle 38 di oggi. Solo a Stabio ne ha chiuse 3. Numeri figli di altri numeri. «Rispetto al 2019, nostro anno di riferimento pre Covid - sottolineano all’unisono Centonze e Baumgartner - abbiamo perso il 50% dei volumi di carburanti venduti. Le cause? Molteplici». Da una parte, certo, c’entrano gli automobilisti italiani che non si riforniscono più nel Mendrisiotto. Dall’altra sono da contemplare tutto un insieme di fattori, che, legati tra loro, stanno avendo un effetto negativo per il comparto.

«Dall’evoluzione tecnologica dei motori e delle auto che oggi sono diventate ibride, elettriche e in generale consumano meno, allo sviluppo del trasporto pubblico, dalle crisi energetiche alle politiche fiscali dei Paesi vicini, come l’Italia, dove oggi rispetto a noi non è conveniente solo il diesel ma anche la benzina grazie a un sistema delle accise che appunto favorisce il rifornimento in patria». Sono situazioni come queste che fanno dire a Baumgartner che «oggi, solo con la vendita dei carburanti non sopravvivremmo».

Una volta invece...

Una crisi senza precedenti, dunque. Che non sta cambiando solo le strategie di chi opera sul mercato, ma anche la geografia del Mendrisiotto. Perché là dove una volta c’erano i benzinai, oggi, ci sono uffici cambio, compro oro e altre attività che nulla hanno a che fare con i derivati del petrolio. Un bene? Un male? Dipende dai punti di vista e dal periodo storico. Perché, tutto sommato, erano in pochi quelli che in passato si lamentavano delle auto incolonnate per fare rifornimento. Code sterminate soprattutto nei weekend. «Io stesso, che sono nato a Genestrerio e ho qualche anno sulle spalle, ricordo bene la fila di automobili sulle strade», fa sapere Baumgartner. Forse a cambiare la percezione è che quelle code una volta erano sinonimo di affari e benessere per tutti. Mentre, oggi, il traffico sulle strade del Mendrisiotto è fatto soprattutto di pendolari e, in estate, di turisti».

Non si torna più indietro

Dopo anni d’oro, ma anche di battaglie, come quella sul contratto collettivo di lavoro entrato in vigore in Ticino nel 2023, che prevede una retribuzione minima di 3’650 franchi per 13 mensilità per i lavoratori non qualificati (dallo scorso febbraio il salario è aumentato di 20 franchi per i dipendenti senza formazione professionale) e «pesanti oneri e vincoli per i datori di lavoro», a emergere è una vera e propria «crisi strutturale senza precedenti», come specifica l’associazione di categoria. «Siamo di fronte a una lenta ma inesorabile agonia che mette a rischio non solo le aziende, ma anche i posti di lavoro e l’indotto correlato. Le stazioni di servizio, per decenni simbolo di progresso e connessione, rischiano di diventare l’emblema di un tempo che non tornerà più», scrive l’associazione.

La stampella degli shop

Ad aver aiutato il settore, risparmiandogli una fine più netta e prematura, sono stati tutti quei servizi che i distributori di carburante si sono inventati per parare il colpo. Come gli shop frequentati dai ticinesi soprattutto la domenica, quando la maggior parte dei negozi sono chiusi. Qui, a differenza della vendita dei carburanti, la trasformazione nel corso degli anni è stata notevole. Perché ci si è accorti subito che i pendolari del pieno in Svizzera cercavano anche altro, non soltanto diesel o benzina. «Il franco non era così forte e la lira ci permetteva ancora di essere competitivi - ricorda Baumgartner - ecco allora che già mio zio Bruno, fondatore del Gruppo Piccadilly, riuscì a intercettare le esigenze dei clienti e, piano piano, introdusse tutta una serie di articoli che oggi non si vendono più».

Dallo zucchero, «che in Svizzera era cristallizzato in maniera diversa rispetto all’Italia», al cioccolato, dalle sigarette, «una volta meno costose di adesso, tanto che oggi una stecca in Svizzera costa 30-40 franchi in più rispetto all’Italia», alle banane, passando per i dadi Knorr. Prodotti che c’erano anche in Italia, ma, secondo i gusti dei clienti, venivano comunque in secondo piano rispetto a quelli realizzati in Svizzera. A seguire sono arrivati anche tutti quei prodotti per l’auto e la sua cura, fino all’allargamento dell’assortimento agli alimentari e ai prodotti per la casa di oggi, che, di fatto, ha trasformato il negozio del «benzinaio» in un piccolo supermercato, aperto generalmente tutti i giorni dalle 6 alle 22.

Tra concorrenza e speranze

Tutto ciò, però, non basta. La direzione è quella di avere stazioni di benzina e negozi sempre più moderni e funzionali, infatti «ne stiamo ristrutturando diversi in collaborazione con i nostri partner, e siamo davvero soddisfatti», sottolinea Baumgartner. Tuttavia, come detto, non basta perché, nel frattempo, è arrivata altra concorrenza, come dimostrano quei dettaglianti che poco alla volta stanno aprendo piccoli negozi per rimanere aperti la domenica.

Soprattutto, bisognerà capire cosa ne sarà dei distributori sulla fascia di confine, che sono appunto ignorati dai pendolari italiani. «Questa è una grande incognita», precisa Baumgartner. Per sapere cosa succederà non resta che attendere. Quel che è certo è che un’era - non solo per il Mendrisiotto - sembra realmente finita e che il punto di non ritorno pare già essere stato superato. Colpi di scena o miracoli, a parte.

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