Attualità

Il «bambino blu» non deve morire

La storia vera di un cardiochirurgo che opera il figlio di un terrorista: «Ho cercato la libertà»
Nella Siria devastata dalla guerra.
Mauro Spignesi
19.11.2023 19:11

Chissà dove è finito Mohamed, il piccolo Mohamed. A quest’ora potrebbe essere a scuola, in un Paese sicuro, o potrebbe essere solo o con la mamma. Ma potrebbe anche essere diventato un bambino-soldato, perso in una guerra che ormai dura da dodici lunghi anni. Mohamed è siriano. Sino a pochi anni fa era un «bambino blu», affetto da un disturbo cardiaco, la tetralogia di Fallot; aveva una valvola polmonare non sviluppata adeguatamente e di conseguenza non aveva una completa ossigenazione del sangue. Questo scompenso gli conferiva un aspetto bluastro, soprattutto nelle labbra e attorno alle unghie. Sarebbe bastata una ecografia per diagnosticare e sistemare il disturbo, ma questo accade in Occidente, non in Siria, dove nei pochi ospedali rimasti in piedi manca tutto, anche il cotone per tamponare le ferite. Mohamed si è salvato. E la sua storia, la sua straordinaria storia, è finita in un bel libro, Shukran, scritto da Giovanni Terzi.

La notizia della morte di Alì

Ma per raccontare davvero cosa è accaduto, cosa c’è dietro la vicenda di Mohamed, bisogna fare il riassunto delle puntate precedenti. E allora, ecco in sintesi quanto è successo. Partiamo dal’inizio, da un cardiochirurgo siriano, Tammam Youssef, nato in un villaggio della Siria. È una bella persona, appassionata del suo lavoro e riceve la notizia che uno dei suoi fratelli, erano 13 in tutto, il fratello Alì al quale era molto affezionato, è stato ucciso da una autobomba. L’attentato è stato rivendicato dal gruppo terroristico islamico al-Nustra, vicino ad al-Qaeda. Alì nell’ultima telefonata al cardiochirurgo, il 29 aprile del 2012, aveva parlato della storia di Mohamed, il «bambino blu» che non poteva giocare con i suoi coetanei. Da quel momento, dal funerale dell’amato fratello, Tammam Youssef ha avuto un solo chiodo fisso: ritrovare il piccolo Mohamed. E alla fine, grazie a Jala, l’assistente del medico, è stato rintracciato all’ospedale di Idlib, nella Siria nord-occidentale, vicino al confine con la Turchia.

L’arrivo a Damasco

Il bimbo arriva a Damasco, dove nel reparto di cardiochirurgia pediatrica ci sono due sale operatorie attrezzate per questo tipo di intervento, insieme alla madre. Qui spesso vengono curati minorenni provenienti da territori ribelli, dove l’infanzia non esiste, dove figli e nipoti sono candidati a diventare piccoli kamikaze. Tammam Youssef è pronto a operare quando l’assistente lo avverte: Mohamed è figlio, uno dei tanti figli avuti da diverse mogli, di Yaser di Binnish terrorista molto vicino a Abu Mohammed al Adnani, il capo della filiale dell’Isis in Siria. Ovvero il papà è un terrorista di quelli che sicuramente sapevano o che hanno in qualche modo preso parte all’attentato dove è stato ucciso Alì. Youssef non ci pensa due volte, ricorda le parole di pace del fratello, ripercorre i valori che devono scandire una vita giusta, indossa il camice, afferra il bisturi e opera. L’unica parola che riceve dalla mamma del bambino quando le comunica che si salverà è «Shukran», un grazie profondo, pronunciato con un lieve cenno di capo e la mano sul petto.

L’uomo che dava da mangiare ai cigni

Giovanni Terzi ha sentito raccontare questa storia direttamente da Tammam Youssef all’inizio di un dicembre freddo di alcuni anni fa a Lugano. Era arrivato in Ticino per incontrare il suo caro amico Marco Di Terlizzi, vicepresidente all’associazione Bambini cardiopatici nel mondo, fondata da Alessandro Frigiola, direttore della Cardiochirurgia pediatrica dell’IRCCS Policlinico San Donato di Milano e da Silvia Cirri, responsabile dei Servizi di anestesia e rianimazione dell’Istituto clinico Sant’Ambrogio, sempre di Milano. Terzi, quella mattina, era arrivato in anticipo all’appuntamento fissato in un ristorante di Riva Vincenzo Vela e aveva notato un signore che lanciava molliche ai cigni. «Mi aveva colpito la sua aria distinta», racconta Terzi a La Domenica. «Poi - aggiunge - una volta entrato nel ristorante l’ho rivisto: era lui, Tammam Youssef. Quell’uomo mi ha affascinato, la sua storia racchiude tutta la filosofia dell’Associazione bambini cardiopatici del mondo fatta di medici che operano e aiutano i bambini ovunque nel mondo, senza chiedere appartenenza religiosa, politica, familiare. E così a Lugano è nato il libro, che vuole essere una innanzitutto una forte testimonianza, vuole veicolare un messaggio di pace. Un messaggio ancora più importante oggi in un momento buio per l’umanità». La mamma di Terzi, Luisa, a Milano aveva fondato la Scuola di storia in Medio Oriente. E il ricordo della madre è stato la spinta in più per cementare l’amicizia con Youssef che nel frattempo ha operato decine e decine di bambini. «Devo dire - conclude Terzi - che ammiro molto Frigiola e la sua associazione perché aiutano i bambini, esseri indifesi, fragili, vittime della guerra. Ieri come oggi».

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