Cultura

Il ciclo continuo dell'arte

Eventi e mostre segnano la ripresa dei musei, «ma non è abbastanza»
© Ti-Press
Giorgia Cimma Sommaruga
04.12.2022 07:00

Nel 2021, i musei svizzeri hanno registrato - in termini di ingressi - un aumento del 26% rispetto all’anno precedente. Lo hanno riferito le rilevazioni pubblicate dall’Ufficio federale di statistica (UST) ad inizio mese di novembre. Secondo quanto comunicato dall’UST la tendenza è piuttosto rassicurante visto che «nel 2021 - cita il comunicato -, l’aumento di ingressi nei musei è stato particolarmente elevato soprattutto nella Svizzera italiana: +48% rispetto al 2020». In effetti, «l’8% dei musei svizzeri - osserva Laura Cabrini Damiani, presidente dell’associazione storici dell’arte della Svizzera italiana (AsaSi) -, si trova in Ticino». E il dato non è irrilevante visto che ci sono agglomerati come Zurigo, Basilea, Ginevra che hanno un numero di musei notevole e anche associazioni culturali molto importanti.

Un dato che stona

Tuttavia, osserva Damiani con un occhio rivolto ai dati UST, «quello che fa specie è che in relazione al numero di musei, quello di visitatori - in Ticino - è circa la metà rispetto alla media svizzera. Si contano infatti, nel 2021, 380.000 visitatori nella Svizzera italiana, su un complesso di circa 10 milioni di visitatori a livello svizzero. Il dato è irrisorio. Questo ci deve far riflettere…».

E allora, se è vero che a livello geografico il Ticino si trova stretto tra una forbice che vede a nord un polo culturale e artistico di primo piano come Zurigo, e a sud, Milano, è altrettanto vero che esiste una ricetta per attrarre più visitatori. A parlarne è Carole Haensler, direttrice del museo Villa dei Cedri a Bellinzona e presidente dell’Associazione dei musei svizzeri (AMS): «Forse la cosa che manca nel nostro territorio, è mettere in luce la complementarietà artistica propria del Ticino, l’ideale sarebbe promuovere un percorso culturale che vede i musei sparsi per il nostro Cantone, come fossero i musei di un’unica grande città: e allora ecco che si va ad Ascona per l’espressionismo tedesco, e poi al MASI a Lugano, e poi a Mendrisio e poi a Villa dei Cedri per l’opera su carta… Sarebbe bello far capire al pubblico che non conosce la nostra realtà artistica che siamo una città-Ticino anche a livello di mobilità».

Esiste ancora la critica?

Monitorando i dati forniti dall’UST, negli ultimi 10 anni in Ticino vi è stata una costante crescita di visitatori, «e poi la battuta d’arresto a causa della pandemia, ora i dati dimostrano che vi è una ripresa, ma non siamo ancora ai numeri di prima…», osserva Damiani. Tuttavia, nonostante l’agenda culturale ticinese sia sempre fitta di appuntamenti artistici, sembra manchi, talvolta, un vero e proprio interesse per l’arte. Ma soprattutto chi alimenta un dibattito critico. «Beh questo è un discorso interessante - osserva Damiani - e come spesso accade la colpa non cade solo da una parte. A mio avviso la forte chiusura del nostro territorio tende ad appiattire il dibattito critico, perché, e, non appena qualcuno si permette di muovere qualche osservazione scatta subito la polemica».

Ma non è finita qui, «poi c’è da dire che in questo contesto vi è una parte di responsabilità anche dei media che spesso, quando parlano di una mostra o di un evento, non fanno altro che pubblicare in pagina il comunicato stampa inviato dagli organizzatori – e infatti, è d’accordo Carole Haensler -:È molto raro vedere un affondo critico sui quotidiani oggi...».

Viva i volontari

Nelle statistiche redatte dell’UST un altro dato salta subito all’occhio e fa riflettere. Il 40% delle persone impiegato nei musei è su base volontaria. «Io trovo il numero allarmante - osserva Damiani -, visto che tra questi professionisti non vi sono solo pensionati, ma anche tanti giovani formati in storia dell’arte che non trovano una occupazione e decidono quindi di rimanere in campo museale, per l’appunto, su base volontaria».

È di un altro avviso la presidente AMS, che ritiene «fondamentale considerare che non esistono solo musei grandi, ma anche tanti piccoli musei, soprattutto sul nostro territorio, e allora diventa imprescindibile la presenza dei volontari al fine di preservare il nostro patrimonio». Questo permette inolte di riflettere su un altro aspetto. «Per la preservazione del nostro patrimonio artistico non investiamo abbastanza se abbiamo bisogno di volontari», sottolinea Haensler.

Esposizioni temporanee o permanenti?

Nel 2021 le mostre temporanee e gli eventi sono stati moltissimi in Ticino, «questo secondo me è da leggere in modo negativo - osserva la direttrice di Villa dei Cedri -, perché l’accento viene messo sul temporaneo, sulla pressione dell’avere sempre una affluenza adeguata, sul suscitare l’interesse dei visitatori e far si che tornino più volte a vedere la collezione declinata in modo diverso, secondo temi differenti». Perché dunque non puntare su una mostra permanente? «Servirebbero volontà e spazi maggiori», interviene Damiani.

E poi, come ormai spesso accade in molti ambiti, «anche qui c’entra la politica che valuta la resa di un museo solo in base ai biglietti venduti e al numero dei suoi visitatori, senza invece vedere un museo come una servizio alla popolazione, al pari di una scuola, o di una biblioteca», osserva Haensler. A ben vedere, secondo l’UST, il Ticino è il cantone che ha più musei pro capite in Svizzera, dunque, «con l’aumento degli eventi, la concorrenza è quasi interna», osserva Haensler. E poi, c’è la questione del marketing, o per meglio dire, del come stuzzicare l’appetito del visitatore. Secondo Haensler, «il rinnovo delle opere esposte è indispensabile per avere i visitatori. Basti pensare che quando è stato creato, il Zentrum Paul Klee a Berna, dove si trova la collezione più importante al mondo dell’omonimo artista, dedicava inizialmente un piano intero alla collezione permanente, e il resto alle mostre temporanee». Ma la gente - continua Haensler - «non veniva mai per la collezione permanente, e allora sono stati costretti, anche a Berna, a creare dei cicli su tematiche differenti per mettere in mostra la stessa collezione, ma in una modo che sembrasse differente, sempre nuova. In questo modo il pubblico torna, e si fanno i numeri».

La parola all'esperto: Milo Miler

Si coltivano troppo le mode e troppo spesso si pensa solo ad artisti che monetizzano
Milo Miler, esperto d'arte, fondatore Casa Miler Capolago

Appassionato d’arte, con una forte vocazione per lo stile Liberty. Assieme a sua moglie Julia Kessler acquista l’antica Tipografia Elvetica di Capolago, e le dona nuova vita fondando la casa d’arte Miler.

Milo Miler con la moglie Julia Kessler nella loro casa d'arte di Capolago.
Milo Miler con la moglie Julia Kessler nella loro casa d'arte di Capolago.

Signor Miler, i musei oggi entrano a pieno titolo nell’ industria dell’arte?

«Fino a 30 anni fa nessuno avrebbe collegato l’arte al guadagno. Oggi si. Ogni cittadino, prima, aveva un rapporto diverso con l’arte. I guadagni di un tempo - in questo campo - erano inferiori rispetto a quelli di oggi. Ma soprattutto, all’epoca non c’era questa smania dell’investimento».

Come mai questo cambio di rotta ?

«Beh oggi l’arte, sempre più spesso, è diventata mero mercato, perché è ghiotta occasione per fare soldi. E, duole dirlo, ormai i musei, che dovrebbero essere insegnanti supremi dell’arte in tutte le sue forme, spiegandoci le correnti attraverso esposizioni, si fanno portatori di interessi. Vetrina per artisti. In Ticino vedo questa tendenza».

A cosa si riferisce?

«Ricordo qualche anno fa una esposizione al LAC, Lugano Arte e Cultura. Ecco, il LAC, istituzione culturale massima nel cantone, appaltò una galleria privata, per una esposizione di Frank Gertsch. Alla galleria privata venne chiesto di portare le proprio opere del pittore, come se l’esposizione fosse cassa di risonanza e vetrina per la vendita. Ilguadagno».

Secondo lei questo svaluta la figura dell’artista?

«Talvolta sì, e sempre più spesso enfatizza invece talenti che non esistono, succede per lo più con gli artisti contemporanei, solo perché sono personalità che fanno monetizzare. Oggi sembra tutto un gioco. E poi si continuano a cavalcare le mode...».

Sembra che oggi gli artisti siano diventati degli “influencer”. A proposito di mode, cosa ne pensa della crypto art?

«Io non spreco il mio tempo a seguire sviluppi dell’arte che la svalutano. Mi chiedo perché interessarsi e sprecare energie per questi marchingegni truffaldini da cui gli assatanati di guadagni cercano di trarre profitti. L’arte è superiore a queste dinamiche, e questa arte digitalizzata, e non tangibile, non la riconosco, perché non è altro che un travestimento finanziario che non ha nulla a che vedere con la bellezza».

E per quale motivo i musei sottostanno a queste dinamiche?

«Perché ormai, purtroppo, ogni società e istituzione, guarda anche ai propri azionari. L’artista contemporaneo viene proposto al cliente, e spinto al successo, da determinati sistemi di investimento anche bancari. Ora i musei hanno una vera e propria funzione di vetrina per contemporanei, diventando modaioli, propongono sempre meno esposizioni storiche».

Ma lei ha memoria di una esposizione degna di nota in Ticino allora?

«Qualche anno fa al Piccolo museo di Mendrisio era stata allestita una mostra che riguardava un movimento storico ticinese del 1940, periodo in cui il nostro territorio accoglieva molti artisti provenienti dall’Italia e da altre zone d’Europa, artisti che, a causa della guerra mondiale, non potevano esprimere il loro estro altrove, momento di grande fervore artistico quello».

Eppure sembra che si trovino sempre gli stessi artisti in giro…

«Oggi le persone vanno a vedere lo stesso artista, in più città differenti. Perché quel nome è di moda. Ma questo non vuol dire che la mostra organizzata sia sempre di livello. Settimana scorsa sono stato a Firenze, c’era la mostra di un grande artista, ma era scabrosa, era allestita con i rimasugli mandati dalla sua galleria in Norvegia…».