Politica

La democrazia diventa digitale

Il Ticino è tra i cantoni più lenti nello sviluppo «Ma non è tutto negativo»
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Andrea Stern
Andrea Stern
30.10.2002 10:00

Ipagamenti non si fanno più allo sportello ma online. Le amicizie non sbocciano più al parco ma online. E sempre più anche la partecipazione ai processi politici avviene online. Seppur con forti differenze tra i cantoni.

«Il Ticino è nella parte bassa della classifica - osserva Anna Picco-Schwendener, ricercatrice postdoc alla Facoltà di comunicazione, cultura e società all’USI -, ma il risultato non è per forza tutto negativo. Non significa che in Ticino non succeda nulla».

Picco-Schwenderer fa parte del team di ricercatori che, per il secondo anno consecutivo, hanno misurato le possibilità di partecipazione digitale ai processi politici nei diversi cantoni (https://digipartindex.ch/it/). Perché se da nessuna parte è possibile votare per via elettronica, ci sono pur sempre dei cantoni che più di altri mettono a disposizione dei propri cittadini degli strumenti per aiutarli a formarsi un’opinione, a partecipare al dibattito o anche solo a comunicare con le istituzioni.

«In genere i cantoni più attivi sono quelli economicamente più forti - spiega PiccoSchwendener -. Sono i cantoni che possono permettersi di investire di più, perché sviluppare queste soluzioni ha un costo».

Il canton Ticino, ad esempio, comunica con i propri cittadini attraverso Twitter e YouTube. Ma si tratta di canali monodirezionali. Il cittadino non ha la possibilità di intavolare una discussione con le autorità. «Tecnicamente è molto facile consentire le interazioni - riprende la ricercatrice -.Però poi ci vuole qualcuno che si occupi di rispondere, puntualizzare, eliminare i commenti fuori luogo. Per essere un valore aggiunto, questi strumenti devono essere gestiti bene».

Raggiungere un pubblico più ampio

In tal caso diventa possibile raggiungere anche quelle fasce di popolazione, in particolare i giovani, che magari tendono a snobbare i canali informativi tradizionali.

«Non penso che l’opuscolo informativo sulle votazioni sia destinato a scomparire - sostiene Picco-Schwendener -. L’idea è piuttosto quella di sfruttare più canali in modo da raggiungere un pubblico più ampio e migliorare la partecipazione ai processi politici».

Non si tratta quindi solo di votare per via elettronica, un’opzione che alcuni cantoni avevano sperimentato negli scorsi anni prima che nel 2019 il Consiglio federale sospendesse tutti i progetti a causa di una falla nel sistema di sicurezza. Un giorno è probabile che si tornerà a sperimentare il voto online, particolarmente desiderato dagli svizzeri all’estero. Ma per ora la digitalizzazione può rivelarsi utile già solo per coinvolgere nei processi politici chi altrimenti rischierebbe di restarne tagliato fuori.

«Prima di diventare attivo politicamente riprende Picco-Schwendener - un cittadino deve potersi informare, capire cosa succede nel mondo politico. Per questo ci sono cantoni che mettono a disposizione degli strumenti per favorire l’insegnamento politico, sia per le scuole, sia per i cittadini. Altri cantoni consentono al cittadino di monitorare quello che succede, mettendo a disposizione i cosiddetti open-data. Poi c’è chi organizza consultazioni elettroniche, dove il cantone sonda l’opinione pubblica attraverso questionari o sondaggi. Infine può anche essere importante tradurre le informazioni in altre lingue».

Sotto tutti questi aspetti il Ticino è un po’ in ritardo rispetto ad altri cantoni, in particolare all’internazionale Ginevra. «Però in Ticino ci sono delle città che stanno promuovendo iniziative interessanti, penso in particolare a Lugano - osserva la ricercatrice dell’USI -. Inoltre rispetto ad altri cantoni il Ticino ha il vantaggio di avere già una base legale per il voto elettronico. Sarà quindi più facile introdurlo una volta che sarà stata trovata una soluzione a livello federale».

La digitalizzazione è ancora agli inizi, tanto che nessun cantone si avvicina ancora neanche minimamente al punteggio massimo dell’indice Digipartindex, che è 100. «Chissà che magari qualche politico - conclude la ricercatrice - non voglia farlo diventare il suo cavallo di battaglia...».

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