«La Russia è un Paese smarrito, venduto all'uomo forte»

La storica Irina Scherbakova, premio Nobel per la pace nel 2022, autrice del saggio «Le mani di mio padre. Una storia di famiglia russa» (Mimesis, 480 pagine), ha vinto il «Premio Friuli Storia 2025» (XII edizione), assegnato da una giuria di 360 lettori appartenenti al Circolo della Storia. Cofondatrice dell’associazione «Memorial» chiusa negli anni ‘80 da un tribunale di Mosca perché aveva definito - prima dell’attacco - un’aggressione un eventuale intervento in Ucraina, da allora vive in esilio in Germania e la Ong è rinata a Ginevra. L’abbiamo intervistata.
Com’era la sua famiglia e soprattutto suo padre al quale ha dedicato un libro di memorie intenso e realistico del tempo in cui è vissuto che si intreccia alla storia della Russia. Come e perché Putin è arrivato al potere e come l’ha consolidato?
«È stato un processo molto complesso. La gente non credeva più nella possibilità di ricostruire una società comunista. Voleva cambiamenti e capiva che era necessario distruggere il regime che si era instaurato in passato. E questo, direi, è il momento più importante del mio memoriale. S’è capito allora che quel regime era decrepito, fragile e molto rapidamente è caduto il muro di Berlino che significava la fine della guerra fredda; e nel giro di due anni poi si è disgregato il regime sovietico, un evento prima assolutamente inimmaginabile».
Che cosa ha impedito la creazione di una Russia moderna, libera?
«S’era diffusa la corruzione e il capitalismo selvaggio, ed era venuto alla luce tutto un mondo criminale: e questo negli anni novanta ha fatto pensare che se equivaleva alla disonestà e al malaffare, c’era qualcosa di sbagliato nell’idea di libertà. Al tempo le autorità avevano paura di adottare provvedimenti decisi, non c’è stata una riforma del servizio di sicurezza dello Stato, cosa molto pericolosa; non c’è stata una riforma della giustizia».
Questo ha aperto la strada a Putin?
«A un certo punto la società ha accettato l’idea di un uomo forte, dell’ordine, rappresentato da Putin che era stato nominato da Eltsin. C’è stata una sorta di scambio con la società. Voi della società normale non vi intromettere nella politica, tanto non potrete mai cambiare niente, io vi garantisco sicurezza. Intanto erano cresciuti i prezzi del petrolio e del gas e questo ha consentito alle autorità, la possibilità di dare una fetta della torta e tutte le persone pronte a scambiare l’idea di democrazia in cambio della stabilità. Il prezzo morale da pagare perché in Russia si realizzino cambiamenti nella società e si affermi la democrazia, sarà molto alto e ben più doloroso della perestrojka».
Su cosa si regge un regime che non ha portato miglioramenti al Paese?
«Questo è uno dei tasti su cui Putin ha giocato con i suoi proclami una volta capito che la Russia non aveva ottenuto superiorità in campo tecnologico, non era riuscita a creare una nuova industria e una nuova manifattura: allora era necessario dare la colpa agli altri, ai nemici dai quali bisognava difendersi. Tutto questo è collegato, più che a un complesso di inferiorità, a un forte risentimento. E poi c’è un altro elemento, la sensazione che quello che era un Paese grande, enorme, una potenza nucleare con un grande esercito che aveva vinto la guerra ed era invidiato e temuto da tutti, s’è disgregato, è crollato e noi russi ci chiedevamo: chi siamo? Questa perdita di identità è stata utilizzata dalla propaganda nazionalistica di Putin, militarista e falsamente patriottica».
La guerra in Ucraina lo sta mettendo in difficoltà per il fatto che i giovani non vogliono andare in guerra?
«Putin non vuole riproporre il sistema di mobilitazione che c’era sotto Stalin: vuole mantenere gli elementi di economia di mercato. Quello che vuole è un potere forte in cui le persone non possano fare opposizione né avere possibilità di vincere con delle elezioni. Questo era uno dei modelli chiave del periodo staliniano. E questo è ciò che Putin vuole riprodurre. Quello che vuole è seminare paura.
La guerra in Ucraina è anche colpa dell’Occidente?
«L’Occidente per molto tempo non ha voluto riconoscere l’Ucraina come Paese indipendente. Continuava a pensare che doveva esserlo per forza di cose. Io vivo in Germania e ho visto come solo dopo la conquista della Crimea e la guerra del Donbass, l’Europa s’è resa conto di quale fosse la situazione, e anche adesso non tutti sono arrivati al riconoscimento. Putin ha compreso molto bene quali erano le debolezze dell’Occidente e quali erano i forti interessi economici che lo legavano alla Russia, e sperava di riuscire a conquistare l’Ucraina rapidamente (l’Europa se ne sarebbe fatta una ragione), ma l’Ucraina ha opposto resistenza e questo ha costretto anche l’Occidente a prendere delle decisioni».
Putin reagisce alle sanzioni con minacce piene di astio. Ma queste sanzioni causano danni reali?
«Sì, rappresentano un danno per l’economia russa che registra una inflazione galoppante . Ma non c’è stata quella catastrofe che si sperava. Questo perché la Russia ha tratto risorse dal suo interno e perché ha avuto il sostegno della Cina. Le nuove sanzioni toglieranno una fonte di profitto al regime russo e peggioreranno la crisi dell’economia ma, secondo me, sarebbe un’illusione pensare che queste sanzioni porteranno a una sconfitta della Russia nella guerra in Ucraina. Peseranno sulla situazione in Russia ma non determineranno la sconfitta sul campo di battaglia. L’Europa in questa tragedia deve diventare più forte, deve aiutare più intensamente l’Ucraina perché questa guerra non finisca con la vittoria di Putin e la sconfitta di Kiev: questa è la cosa più importante da fare per danneggiare Putin che appare inarrestabile e impietoso».
Condivide il piano dell’Unione Europea per la pace in Ucraina, e come valuta l’atteggiamento di Trump?
«Sul piano europeo direi che se fosse attuato nella sua interezza sarebbe un grosso aiuto per l’Ucraina. Purtroppo negli ultimi tre anni questo processo è stato molto lento. Per quanto riguarda Trump i suoi piani cambiano ogni giorno. Abbiamo a che fare con un politico volubile. Lui credeva di far da paciere tra due parti impegnate in un litigio e che parlando con l’uno e con l’altro avrebbe ricomposto gli animi. Vedremo come si svilupperanno le cose. Quello che non vorrei è che L’Ucraina fosse costretta ad accettare una pace ingiusta».
Ma qual è atteggiamento del popolo russo nei confronti della guerra in Ucraina?
«Almeno una piccola percentuale di russi può aver accolto con favore l’inizio della guerra, però la maggior parte della società ha formalizzato il conflitto guardando da un’altra parte. Magari vorrebbero che la guerra finisse, ma pensano che non dipende da loro. Putin ha iniziato la guerra e Putin deve finirla. Cercano di sottrarsi alla responsabilità soggettiva. In Russia non potrà esserci mai un movimento verso la democrazia e la libertà se la società non prenderà coscienza delle sue responsabilità».