Reportage

Quel legame tra il Ticino e il Friuli

Alla scoperta di una comunità «con il lavoro nel DNA» che si è rinsaldata con il cantone dopo il terremoto del ‘76
Un momento della festa dell’anno scorso con cui il Fogolâr Furlan dal Tessin ha festeggiato i 50 anni di esistenza.
Andrea Bertagni
Andrea Bertagni
25.02.2024 12:36

Tra i friulani di ieri e quelli di oggi c’è almeno una differenza. «I giovani che stanno arrivando in Ticino per lavorare soprattutto nel settore medicale non hanno la stessa esigenza di stare in contatto con i corregionali che avevano invece le generazione precedenti. È difficile farli partecipare anche a una semplice cena». David Lucchetta, presidente del Fogolâr Furlan dal Tessin, non nasconde le difficoltà che sta vivendo una delle comunità italiane più attive nel cantone, quella dei friulani, appunto. Avere delle difficoltà non significa comunque gettare la spugna o farsi prendere dalla rassegnazione. Perché proprio l’anno scorso il Fogolâr Furlan dal Tessin ha festeggiato i 50 anni di esistenza con una grande festa a Bellinzona «a cui hanno partecipato almeno 100 persone», precisa questa volta fiero Lucchetta.

La storia dei friulani in Ticino si sta forse solo evolvendo verso qualcosa che non è ancora stato. Perché accanto ai primi immigrati che arrivarono nei primi anni ‘70 «per lavorare soprattutto nell’industria e nell’edilizia» e alle seconde e terze generazioni, che sono nate e cresciute in Ticino, c’è anche una terza componente, quella dei nuovi immigrati friulani, appunto. Che per età e formazione si differenziano da chi li ha preceduti. Questo perché la Svizzera e il Ticino continuano ad attirare manodopera italiana. Non soltanto frontaliera. Ma anche residente. Come dimostrano le ultime statistiche sulla popolazione che indicano negli italiani il gruppo di stranieri più numerosi nel cantone.

Sapere con esattezza quanti siano i friulani è però difficile. «Stimiamo alcune centinaia di persone», dice Lucchetta. Che ricorda come a nascere per primo sia stato il Fogolâr di Locarno, seguito da quello di Lugano. Entrambi creati con l’obiettivo di sostenere i primi emigrati provenienti dal Friuli, «che avevano qualche difficoltà a inserirsi». Difficoltà oggi del tutto superate. Perché «l’integrazione in Ticino è andata molto bene - riprende il presidente del Fogolâr Furlan dal Tessin - tant’è vero che abbiamo anche imprenditori e diverse altre figure professionali che si sono fatte rispettare nel mondo del lavoro». Anche perché Lucchetta è sicuro. «Il friulano è un gran lavoratore. Di più. Ha il lavoro nel DNA». Quando parla dei suoi corregionali la voce di Lucchetta cambia tonalità. Sembra farsi più seria. «Il friulano è uno spirito libero - continua - ha sete di esperienze e conoscenze. Nello stesso tempo è però anche molto attaccato alla sua terra come dimostrano i 90 Fogolâr sparsi in tutto il mondo».

Quando si parla di emigrazione italiana si pensa spesso a un fenomeno prettamente del Sud d’Italia. Ma non è così. Almeno non completamente. Non soltanto perché l’emigrazione ha avuto varie evoluzioni storiche negli anni. Tanto che oggi ad arrivare in Ticino, secondo gli ultimi dati, sono soprattutto lombardi. Ma anche perché negli anni ‘60 e ‘70 in Italia non erano soltanto le regioni meridionali a soffrire per la mancanza di lavoro e opportunità per i giovani. Ecco allora che a prendere la valigia sono stati sicuramente siciliani, calabresi e campani, ma anche ad esempio toscani, liguri, sardi (come evidenziato nella puntata precedente a questa), veneti e anche friulani, appunto.

Più somiglianze che differenze. Le ha invece incontrate Giuseppe Vit quando nel 1965 è arrivato in Ticino per lavorare come tipografo. Prima a Bellinzona e poi a Lugano, Vit, che oggi ha 80 anni, ha trovato un cantone simile al Friuli e si è subito trovato a suo agio. Non solo lavorando con passione e dedizione fino alla pensione ma anche contribuendo in prima persona nel Fogolâr. «Il Friuli - spiega - confina a Est con la Slovenia, a Nord con l’Austria, a Ovest con la pianura padana e a Sud con il mare adriatico. È stretto quindi tra varie realtà differenti un po’ come il Ticino che a Nord ha la Svizzera tedesca e a Sud l’Italia. Gli argomenti in Friuli erano insomma gli stessi del Ticino anche se con nomi differenti». Lavorando a stretto contatto con editori e personalità importanti, come ad esempio Plinio Martini, «ho impaginato io il Fondo del sacco», rivela, emigrando in Ticino Vit ha insomma compiuto «un vero salto di qualità, perché in Italia non esisteva che un tipografo lavorasse fianco a fianco con i clienti». Una vicinanza arricchente sotto tutti i punti di vista. Che anni dopo gli ha regalato soddisfazioni anche con il passaggio dal piombo al computer e soprattutto con il rinnovamento del Giornale del Popolo «allora diretto da Filippo Lombardi», al quale ha contribuito profondamente.

Non meno importante è stato scoprire la presenza di una folta comunità di friulani. Che dopo il terremoto del 1976 che fece quasi mille morti e rase al suolo 45 comuni, si impegnò in prima fila nelle opere di ricostruzione in collaborazione con le autorità cantonali di allora. Tanto che «all’inaugurazione di un asilo ricostruito in Friuli grazie ai contributi raccolti nel cantone - ricorda Vit - partecipò anche l’allora consigliere di stato, Flavio Cotti». Molti anni dopo, oggi quell’asilo esiste ancora. «Tre anni fa è stato ristrutturato per volere della popolazione locale - precisa Lucchetta - che si è opposta con fermezza alla sua chiusura». La potenza dei simboli e dei luoghi della memoria che non si vogliono dimenticare. 

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