Se il cemento svizzero diventa «verde»

Il consumo annuale di cemento in Svizzera è di quasi 500 kg pro capite. Una quantità enorme che serve a costruire edifici, dighe, tunnel, ponti. La Svizzera moderna non esisterebbe senza cemento. Tuttavia, questo indispensabile materiale ha anche un rovescio della medaglia: è molto inquinante. O meglio, sarà ricordato come un materiale inquinante perché in futuro il cemento diventerà perfettamente «verde». E non solo nelle cave dismesse come l’ex Saceba alle Gole della Breggia bensì nell’intera filiera produttiva. L’industria svizzera del cemento, che già negli ultimi anni ha drasticamente ridotto le proprie emissioni di CO2, si è infatti prefissa di arrivare a zero entro il 2050.
«Grazie a un intenso lavoro di innovazione e sviluppo l’industria svizzera del cemento ha già quasi dimezzato le proprie emissioni dal 1990 ed è oggi una delle più ecologiche al mondo - spiega Stefan Vannoni, direttore di Cemsuisse, l’associazione di categoria -. Nei nostri sei stabilimenti produttivi utilizziamo oltre il 70% di combustibili alternativi, un livello che solo Austria e Germania eguagliano. Allo stesso tempo, grazie ai nostri processi ad alta temperatura, possiamo contribuire a smaltire rifiuti (tra cui anche i cosiddetti PFAS) che altrimenti necessiterebbero di appositi impianti. Inoltre le aree di estrazione garantiscono una biodiversità estremamente preziosa per molte specie in via di estinzione».
Resta ora da completare la riduzione delle emissioni fino al netto zero, ciò che verrà effettuato attraverso la cattura della CO2 direttamente al camino degli stabilimenti. «Si tratta di un progetto generazionale che richiede la collaborazione di Stato, aziende energetiche, gestori delle condutture - conclude Vannoni -. Noi siamo pronti a dare il nostro contributo».
Signor Vannoni, davvero un giorno il cemento potrà essere considerato un prodotto «ecologico»?
«Direi che lo è già oggi! Non conosco nessun altro settore in Svizzera che prende così sul serio l’obiettivo di zero emissioni nette come l’industria del cemento. Anche perché ha un grande potere di leva nella riduzione delle emissioni di CO2. Personalmente sono sempre impressionato dalla forza innovativa e dalla volontà imprenditoriale delle aziende svizzere attive nella produzione di cemento, che oggi è di fatto un prodotto high-tech».
Pensavo che la produzione di cemento fosse nociva per l’ambiente.
«È vero che la produzione di cemento è molto energivora e genera importanti emissioni di CO2. Queste non possono essere evitate, poiché la CO2 è contenuta direttamente nelle materie prime e viene sprigionata durante il processo di produzione. L’industria del cemento ha quindi una responsabilità particolare, che prendiamo molto sul serio. D’altra parte il cemento è uno dei materiali da costruzione più importanti al mondo e oggi, nelle economie sviluppate, è impossibile farne a meno. Pensiamo solo a ponti, dighe o a qualsiasi edificio. Il nostro benessere si basa sul calcestruzzo».
Qual è l’opera in Svizzera che ha richiesto il maggior quantitativo di cemento?
«La Svizzera necessita di circa 4 milioni di tonnellate di cemento all’anno, quasi 500 kg pro capite. La maggior parte di questo cemento è prodotto in Svizzera. Un grande progetto è la costruzione della seconda galleria autostradale del San Gottardo, per la quale vengono impiegate circa 300’000 tonnellate di cemento».
Perché una parte viene importata dall’estero?
«Le importazioni provengono dai paesi confinanti e sono spesso motivate da ragioni logistiche. Rappresentano circa il 15% delle forniture. L’85% dunque, è prodotto in Svizzera, ciò che ci rende unici in termini di sicurezza dell’approvvigionamento».
Il cemento svizzero è concorrenziale?
«Al momento le nostre aziende sono ancora in grado di produrre a costi competitivi. Ma i costi aumentano rapidamente rispetto ai concorrenti extraeuropei a causa delle direttive della politica climatica della Svizzera e dall’UE. Dobbiamo stare molto attenti a questo sviluppo».
L’estrazione di calcare si scontra spesso con una forte opposizione da parte della popolazione.
«Capisco le preoccupazioni della popolazione. Anche a me stanno a cuore la tutela del paesaggio e la protezione della natura. Siamo, come spesso, in presenza di una difesa reciproca di interessi. Tutti hanno bisogno di cemento, ma nessun vorrebbe una cava nelle sue vicinanze. Ma, “come premio”, la biodiversità nelle nostre aree di estrazione rinaturalizzate è altissima. Spesso nelle cave in funzione o rinaturalizzate si trovano animali e piante in via di estinzione inseriti nella lista rossa delle specie più minacciate. La protezione della natura e le aree di estrazione non sono quindi affatto incompatibili».
Pensa che a lungo termine sarà ancora possibile estrarre calcare in Svizzera?
«Ne sono convinto. La Svizzera è ricca di questa materia prima naturale. Molti non ne sono consapevoli. Se vogliamo garantire l’indipendenza del nostro Paese in termini di approvvigionamento, allora il calcare dovrà essere estratto. Tuttavia, grazie a nuove composizioni, il calcare e la marna vengono sempre più sostituiti da materiali alternativi. Per ogni tonnellata di cemento ne avremo quindi bisogno in quantità sempre minori».
In quali opere il cemento sarebbe completamente sostituibile con altri materiali?
«Mettere in contrapposizione i materiali da costruzione sarebbe un errore. Proprio nell’edilizia, materiali collaudati come il mattone o il legno possono essere integrazioni sensate. Ma, ad esempio, non ha alcun senso trattare il legno in modo tale che alla fine del suo ciclo di vita (comunque più breve rispetto al cemento) possa essere smaltito solo come rifiuto speciale. Alcune proprietà del cemento, come la durata e la resistenza, non possono essere sostituite».
Dato che il cemento è insostituibile, cosa si fa per renderlo più ecologico?
«Dal 1990 l’industria ha quasi dimezzato le proprie emissioni. Questo risultato è ben al di sopra della media svizzera. La produzione di clinker, il prodotto intermedio del cemento, genera emissioni elevate e quindi l’obiettivo era ridurne la quantità nel cemento. Questo è stato possibile grazie a un intenso lavoro di innovazione e sviluppo. Per la maggior parte delle emissioni di CO2 residue è però necessaria la cattura del carbonio».
Come funziona la cattura del carbonio?
«L’idea è banale: la CO2 viene catturata direttamente al camino presso lo stabilimento e poi trasportata e immagazzinata nel sottosuolo. Oppure viene utilizzata come materia prima, ad esempio per i combustibili sintetici. Le relative tecnologie esistono già in Europa e in alcuni casi sono già in uso. Ma i costi sono enormi».
Chi finanzierà questi costi enormi?
«Le imprese svizzere prevedono investimenti di oltre 300 milioni per ogni stabilimento. Poiché prendono sul serio l’obiettivo delle zero emissioni, questi enormi investimenti saranno sostenuti anche a livello aziendale. Ma solo se si avrà la certezza di poter pianificare e rimanere competitivi. Qui la politica è chiamata a garantire sicurezza. E poi c’è il tema del trasporto, che non tocca solo l’industria del cemento. La questione di come gestire il trasporto e lo stoccaggio a livello nazionale della CO2 è complessa. Si tratta di un progetto generazionale che richiede la collaborazione di Stato, aziende energetiche, gestori delle condutture. Noi siamo pronti a dare il nostro contributo».
