«Le grandi mostre isolate non costruiscono sostenibilità»

Il Consiglio di Fondazione del MASI Lugano - Museo d’arte della Svizzera italiana - ha annunciato ieri la nomina della nuova direttrice. Dopo un attento processo di selezione condotto con il supporto di una commissione di esperti indipendenti, è stata scelta Letizia Ragaglia, figura di spicco del panorama museale internazionale, attualmente direttrice del Kunstmuseum Liechtenstein di Vaduz. Letizia Ragaglia assumerà ufficialmente la direzione del MASI a partire dalla primavera 2026, quando Tobia Bezzola raggiungerà l'età pensionabile.
Direttrice Ragaglia, con quale sentimento si appresta ad affrontare questa nuova sfida professionale?
«Con grande entusiasmo. Sono molto felice ed onorata dell’incarico e di poter dare seguito all’ottimo lavoro svolto da Tobia Bezzola».
Che cosa l’ha mossa a concorrere per questo prestigioso incarico?
«Soprattutto la peculiare posizione del MASI tra mondi culturali diversi così come la sua singolare collezione che permette di spaziare tra le epoche. Credo che ci sia la possibilità di intrecciare una molteplicità di dialoghi e vedo nella vicinanza del LAC un’opportunità per lavorare anche in maniera interdisciplinare».
Quali sono gli obiettivi che si prefigge a livello personale?
«Innanzitutto, integrarmi nel team del museo e nel territorio. Certe sfide non si affrontano da soli o da sole; sono pronta e grata di ricevere informazioni dalle persone che sono già attive sul territorio, per potermi muovere meglio e poi affrontare nuovi progetti insieme».
Come vede attualmente il posizionamento internazionale del MASI? Secondo lei vi è un potenziale ulteriore di crescita?
«Il MASI è un museo giovane e trovo che proprio per la sua ancor giovane età abbia raggiunto molti prestigiosi obiettivi. Sono state gettate delle importanti basi, che nei prossimi anni permetteranno di affinare e rafforzare ulteriormente il profilo dell’istituzione».
A questo proposito, come intende rapportarsi con il territorio e con i suoi numerosi artisti?
«Sono una persona curiosa. Inizialmente mi porrò in una situazione di ascolto, di osservazione e di ricerca. Vorrei aggiungere che nella mia esperienza in Liechtenstein sono riuscita a coinvolgere una giovane “scena artistica” nelle attività del museo, ma vorrei anche sottolineare che si tratta di un processo che necessita di tempo, di conoscenza e di fiducia reciproca. Ogni luogo ha le sue dinamiche e al momento io so molto poco degli artisti del territorio ticinese. Ma questo all’inizio può anche essere un vantaggio per muovermi senza pregiudizi».
È a conoscenza del patrimonio culturale luganese e ticinese e come giudica la collezione esistente che appartiene alla Città?
«Per prepararmi alle interviste del processo di selezione ho studiato a fondo le collezioni, ma non vorrei esprimere giudizi. Io amo incondizionatamente i musei e le loro collezioni proprio per le loro peculiarità. A volte possono risultare molto più interessanti e affascinanti delle collezioni molto specifiche e territoriali rispetto a collezioni fatte di grandi nomi che finiscono per assomigliarsi. Indubbiamente tutte le collezioni narrano delle storie e sono dunque da contestualizzare e da rileggere in continuazione, magari anche in maniera inedita e inconsueta».
Come intende promuovere gli eventi della Pro Museo e il rapporto con l’élite di collezionisti illuminati presenti sul territorio?
«Ho sempre provato tanto rispetto per le persone che stanno vicine a un’istituzione e la sostengono; dunque, non posso che pormi con il massimo rispetto e con una grande apertura nei confronti della Pro Museo. Per quanto riguarda i collezionisti, al momento conosco solamente la preziosa collaborazione con la collezione Olgiati; non vedo l’ora di fare anche la conoscenza degli altri collezionisti e di instaurare, come spero, un rapporto di reciproca fiducia. I collezionisti sono una linfa importantissima per un territorio. Lei li definisce un’élite e purtroppo certe volte vengono percepiti solo così, ma preferirei vederli come un importante motore. La presenza di collezionisti è certamente un arricchimento per il museo e può stimolare collaborazioni, di cui può godere l’intero territorio e non solo. Quando ero a Bolzano non avrei raggiunto certi obbiettivi senza la presenza e il supporto dei collezionisti».
A Lugano con il suo avvento sarà finalmente possibile fare sistema e creare un polo culturale ancora più forte?
«È proprio nel fare rete che vedo un grande potenziale: penso che il rafforzamento e l’espansione mirata di un polo culturale possa diventare un segno distintivo per Lugano e per il Ticino».
I tagli alla cultura che, con ogni probabilità, non risparmieranno nemmeno Lugano, la preoccupano in vista del suo insediamento?
«Conosco i bilanci attuali del MASI, ma non sono ancora informata sui bilanci futuri. Si possono talvolta fare anche delle ottime programmazioni con meno mezzi».
Le grandi mostre e i grandi nomi sono ancora una potenziale prerogativa del futuro per il MASI oppure prevede altre strategie per profilare e posizionare il museo nel futuro?
«Le grandi mostre isolate non costruiscono sostenibilità e possono essere addirittura un danno se non sono contestualizzate all’interno della programmazione di un museo. Sto parlando in generale e non certo del MASI. Sono convinta che un museo forte a livello internazionale deve essere anche contemporaneamente radicato nel suo territorio. Le cosiddette grandi mostre così come i grandi nomi sono un fattore di arricchimento se vengono bilanciate da una sapiente integrazione nel contesto culturale, in cui vengono proposte».