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Un Batman artistico arriva a Lugano per aiutare i bambini malati di cancro

Stasera a Palazzo Mantegazza l’artista bergamasco Ivano Facchetti protagonista della cena benefica del Lions Club Monteceneri: opere, racconto personale e sostegno al progetto “Bambole per la speranza” a favore dell’Associazione Cancro Infantile in Svizzera
Mattia Sacchi
19.12.2025 10:09

Ci sono supereroi che nascono con i poteri e altri che se li costruiscono addosso a forza di spigoli, errori, ostinazione. Ivano Facchetti – nato nel 1974 in provincia di Bergamo e cresciuto nei pressi di Caravaggio – è un artista autodidatta che si riconosce in questa seconda categoria: non l’eroe invincibile, ma quello che cade, si rialza e continua a muoversi anche quando tutto suggerirebbe di fermarsi.

Da bambino il disegno è il primo territorio in cui emerge. Un maestro prova a indirizzarlo verso una scuola artistica, ma la traiettoria prende presto un’altra direzione. Lascia gli studi e finisce in falegnameria. «Nasco falegname, arredamenti e allestimenti», racconta. «E poi fallisco. Fallisco perché non vengo pagato, ma va bene: scrivi pure che fallisco». Non è un dettaglio biografico, ma una chiave di lettura: per Facchetti la materia non è mai teoria, è lavoro, è officina, è concretezza. Fuori dagli orari sperimenta, costruisce, sbaglia, ricomincia. Non l’arte come vocazione romantica, ma come necessità fisica, quasi come un modo per restare in piedi.

Il resto arriva come una valanga. Una vita vissuta sopra le righe, notti scambiate per giorni, eccessi che mettono a rischio la salute e gli affetti. Facchetti non addolcisce né cerca scorciatoie narrative. Racconta di essersi disintossicato da solo e di aver capito che, se voleva sopravvivere, doveva trasformare la parte distruttiva in qualcos’altro. «L’arte mi ha salvato da un periodo molto buio e difficile», dice. «Sono riuscito a indirizzare nelle mie opere i turbamenti e le nevrosi che, altrimenti, mi avrebbero spinto a prendere strade sbagliate e dannose».

Il suo percorso non passa dalle accademie né dai canali istituzionali dell’arte. Passa dai mercati indipendenti, dai contesti di creativi, dall’antiquariato, dalla street culture. «Giravo città diverse e vedevo un mondo che mi influenzava. Volevo dare qualcosa di mio». Poi arriva la prima vera scommessa: una fiera a Parma. I conti sono semplici e spietati. «Ero riuscito a mettere via 2.800 euro. La fiera ne costava 3.000. Mi mancavano 200 euro. E mi sono detto: io senza soldi ci sono sempre stato, so vivere anche senza. O la va o la spacca».

È qui che prende forma l’idea di supereroe secondo Facchetti: non quello che salva il mondo, ma quello che rifiuta di farsi schiacciare. «Quando fallisci e devi ricominciare, nessuno ti dà credibilità. Il modo migliore era uscire dal territorio e presentarmi io». L’azzardo funziona. «Sono tornato a casa con 28.000 euro. Quel weekend mi ha cambiato la vita». C’è poi un dettaglio che per lui conta più di una recensione: le gallerie accanto che sbirciano dietro i pannelli per capire cosa stia succedendo.

Da quel momento costruisce un linguaggio riconoscibile: pittura sperimentale, Pop Art spinta verso la tridimensionalità, materiali industriali, riciclo, figure iconiche immediatamente leggibili che diventano, nelle sue mani, contenitori di biografia. «Io non parto da un progetto», insiste. «Creo dall’emozione. E se vuoi capire davvero l’opera, devi ascoltare la storia che c’è dietro». Il suo rapporto con le icone pop – Darth Vader, Batman, Catwoman – non è mai decorativo. Sono maschere, ma con un retro profondamente umano.

Batman, in particolare, diventa l’alter ego perfetto proprio perché è l’opposto del supereroe «magico». «Mi serve un supereroe senza poteri», spiega. «Uno vicino alle persone comuni. Batman non vola, non ha magie. Cade, prende botte, si rialza e va avanti». E lo sintetizza in una frase che usa come manifesto: «Se guardi Batman, è una figura che quando ti alzi la mattina ti deve dire: alzati e cammina, produci, fai. Arriva a sera contento. Questo è il messaggio».

Dentro questo universo c’è anche il Facchetti più polemico, quello che ragiona sul mercato e sulle sue distorsioni. Non ama le liturgie e distingue nettamente tra gallerista e mercante. «La galleria deve essere un mezzo per trasferire il lavoro di un artista al collezionista finale. Non deve decidere cosa deve fare un artista per vendere». Rivendica l’indipendenza senza diplomazie. «Io ho tre gallerie in Italia: quelle mi comprano i quadri. Quelle che non investono, non mi interessano». E anche sui social ribalta il luogo comune: «Il rapporto umano è quello che manca di più. Le cose davvero importanti nel mio Instagram non ci sono».

È con questa identità – ruvida, pop, personale, irregolare – che stasera Facchetti sarà tra i protagonisti della cena degli auguri del Lions Club Monteceneri, allo Spazio Eventi Meta di Palazzo Mantegazza a Lugano-Paradiso. La serata è legata al progetto «Bambole per la speranza», che coinvolge gli studenti della SAMS – Scuola d’Arte e Mestieri della Sartoria di Lugano – nella creazione di bambole di pezza uniche; il ricavato sarà devoluto all’Associazione Cancro Infantile in Svizzera. In programma anche l’intrattenimento musicale con Arcadionduo e una lotteria.

La sua partecipazione non è di facciata. Porta un’opera, i cui proventi saranno donati alla Fondazione Angeli di L.U.C.A., ma soprattutto porta una riflessione molto concreta su cosa significhi donare quando sei un artista. «Dare un’opera non è che non costi, per chi lo vive come mestiere è un impegno da non sottovalutare. Ma questa sera per me è un discorso personale: in famiglia ho una persona che soffre di fibrosi cistica, è mio nipote, ha vent’anni. Anche un semplice raffreddore potrebbe…». La frase resta sospesa, come spesso accade quando il personaggio lascia spazio all’uomo. E subito dopo arriva la ragione per cui non ha esitato: «Se posso donare per queste cose qua, lo faccio molto volentieri».

Non è un discorso da palco. È diretto, quasi brutale. «Se puoi donare a un ente che lavora davvero per far del bene a persone che ne hanno bisogno, fallo. Ti farà sentire bene. Non sarà una spesa che pesa». E lo traduce nel suo linguaggio essenziale: «Muoviti. Fai qualcosa». È lo stesso impulso che attribuisce al suo Batman, ma portato nella realtà, senza fumetti e senza pose.

Le ultime riservazioni per la serata di stasera sono ancora possibili scrivendo a [email protected]

«Io non mi sento un supereroe - conclude Facchetti -.Però se quello che faccio può servire a qualcuno che sta lottando davvero, allora vale la pena mettersi la maschera. Anche solo per una sera».