L'intervista

Frédéric Maire: «Il digitale ci ha aperto le porte del XXI secolo»

A tu per tu con il direttore della Cineteca svizzera, che al Locarno Film Festival festeggia i 75 anni dalla sua fondazione
© LAURENT GILLIERON
Antonio Mariotti
03.08.2023 06:00

Fino a pochi anni fa, quando si pensava a una cineteca s’immaginavano file di scaffali polverosi stracolmi di rulli di pellicola. Oggi le pellicole ci sono ancora, ma la tecnologia digitale ha fatto la sua entrata trionfale anche nel mondo degli archivi, come ci racconta Frédéric Maire che dal 2009 guida la Cinémathèque di Losanna, istituzione che al Locarno Film Festival festeggia i 75 anni dalla sua fondazione.

Da quando nel 2009 ha preso le redini della Cineteca è passato da un cantiere all’altro: dapprima il Centro di ricerca e di archiviazione di Penthaz e ora la «casa del cinema» che sta sorgendo nel centro di Losanna con il restauro della sala storica del Capitole. Che cosa ha portato Penthaz e cosa porterà il Capitole per l’istituzione fondata da Freddy Buache nel 1948?
«Ci sono due elementi da ricordare in primo luogo. Penthaz è il primo vero edificio pensato per la Cineteca e per i suoi bisogni e non un adattamento di un edificio già esistente. In secondo luogo, e questo è simbolicamente importante, è il primo edificio costruito dalla Confederazione e che le appartiene. Come ha detto nel 2010 Freddy Buache, all’apertura del cantiere, è la prima volta che la Confederazione si rende conto che il patrimonio cinematografico nazionale e internazionale ha un’importanza-chiave in ambito culturale. Penthaz ha fatto entrare la Cineteca nel XXI secolo, da una parte perché abbiamo potuto integrare l’archiviazione e il trattamento del materiale digitale che era indispensabile per poter continuare la nostra attività, ma anche perché il digitale ci permette di diffondere molto meglio i film del patrimonio. Penso per fare un esempio, a Waalo Fendo di Mohammed Soudani che era stato girato in 16 mm, che quindi molto difficile da vedere, e la cui copia, restaurata e digitalizzata da noi, si vedrà nei prossimi giorni a Locarno. Penthaz ci ha inoltre permesso di aprire degli spazi di ricerca e di consultazione delle collezioni che sono stati pensati a questo scopo. Ogni giorno accogliamo studenti, ricercatori, persone di tutti i tipi che da noi trovano documenti interessanti per il loro lavoro. Si tratta di una tappa del tutto nuova per l’istituzione che era un sogno da tempo che finalmente si è avverato».

E il Capitole invece, la cui inaugurazione è prevista nel 2024?
«È difficile dire oggi quale sarà il suo apporto. Potremo misurarlo solo dopo l’apertura. Da un lato c’era la necessità di preservare un edificio del 1928 che entra di diritto nella storia del cinema. Poter presentare dei film classici in uno spazio come questo dà loro una forza particolare, una carica emotiva che non si trova nelle sale moderne che si somigliano tutte. Non bisogna inoltre dimenticare che con il Capitole, la Cineteca avrà per la prima volta a disposizione un vero cinema e non l’aula magna di un liceo, come agli inizi, o spazi ricavati in edifici che non hanno una storia simile. Ciò darà un valore aggiunto a qualsiasi proiezione. Si tratta di tornare all’idea: non so cosa vado a vedere ma vado al cinema. E per questo punteremo anche su eventi vintage, come ad esempio la proiezione di film in pellicola 35 mm o addirittura in 70 mm»,

E sarà anche una vera casa del cinema?
«Sì, ci sarà un negozio di DVD e manifesti, una libreria, una mediateca, due bar e una seconda sala più piccola. Sarà un luogo da vivere per tutta la giornata».

Stiamo anche superando le frontiere nazionali, per cercare di far vivere il cinema svizzero anche all’estero, ad esempio grazie alla nostra partecipazione con film restaurati ai grandi festival come Berlino o Cannes

Da diversi anni avete dei partner a livello nazionale (il Fimpodium a Zurigo, il Grütli a Ginevra, il Rex a Berna) con i quali collaborate: una rete che funziona?
«Funziona molto bene e va anche oltre queste sale, soprattutto da quando abbiamo sviluppato una struttura di distribuzione di film classici. Senza dimenticare la collaborazione costante con i circoli del cinema. Del resto, stiamo anche superando le frontiere nazionali, per cercare di far vivere il cinema svizzero anche all’estero, ad esempio grazie alla nostra partecipazione con film restaurati ai grandi festival come Berlino o Cannes. Questa visibilità a livello internazionale porta dei film svizzeri del passato ad essere diffusi in molti Paesi del mondo. È nato un vero e proprio mercato del cinema patrimoniale, grazie alla tecnologia digitale ed è un mercato fondamentale oggi come oggi. Ma ciò non ci impedisce nemmeno di distribuire film molto recenti che non trovano un distributore in Svizzera, come Leonora addio di Paolo Taviani che presto spero si possa vedere anche in Ticino».

Il vostro motto è: «Conservare, restaurare, valorizzare e diffondere il cinema»: qual è secondo lei il compito più difficile tra questi?
«Quella che mi preoccupa di più è la conservazione, non tanto quella dei film su supporto analogico che è sotto controllo, ma quella delle opere digitali che rimangono molto fragili e necessitano di una cura costante. Non è come posare una bobina di film su uno scaffale e poi ritrovarla intatta 10 anni dopo. Il digitale necessita di una migrazione di supporto ogni 5 anni, quindi ora ci stiamo preparando a migrare tutti i nostri dati, che rappresentano circa 12 petabyte, quindi 12.000 terabyte, e questa migrazione di supporto durerà alcuni anni. C’è qualcuno dei nostri impiegati che farà solo quello. Probabilmente in futuro le cose andranno più velocemente ma questa manutenzione sarà sempre necessaria. La conservazione del digitale è molto più complessa, pesante e costosa rispetto a quella dell’analogico e questa è la preoccupazione maggiore che dobbiamo avere perché siamo un archivio e questo archivio è la base di tutto il nostro lavoro».

Qual è il vostro pubblico a Losanna: più capelli grigi o anche giovani?
«Cambia a seconda delle proposte, è molto variato: i capelli grigi ovviamente ci sono, soprattutto alle proiezioni pomeridiane, e non abbiamo nessuna intenzione di perderli. C’è però stato anche un ringiovanimento del pubblico, grazie all’Università, alla scuola di cinema e a quella di teatro. Siamo diventati molto popolari in rete, a quanto pare, e i giovani ci seguono anche per delle proposte piuttosto difficili e a volte ne siamo sorpresi noi stessi. Inoltre è un pubblico molto fedele, che subito dopo il COVID è subito tornato nelle nostre sale».

Un omaggio a Schmid e uno a Goretta

Frédéric Maire, da oltre una decina d’anni avete instaurato una collaborazione con la battedra di storia del cinema dell’Università di Losanna: un’altra partnership fruttuosa?
«Sì, soprattutto perché tra noi c’è uno scambio che va ben al di là del fatto di semplicemente fornire loro dei documenti. È chiaro che il nostro lavoro è conservare e non analizzare, studiare e ricercare e quindi era naturale offrire all’Università la possibilità di avere accesso alle nostre collezioni. Alla base c’era però anche l’idea di creare un legame tra il mondo accademico e quello più scientifico, legato all’archiviazione e alla conservazione, e così è stato, perché sempre più studenti universitari s’interessano al lavoro degli archivi, seguono delle specializzazioni in questo campo e poi magari vengono da noi a lavorare. D’altra parte, i nostri collaboratori possono seguire dei corsi universitari gratuiti legati al cinema. Storicamente erano due mondi che si guardavano senza collaborare, mentre ora sono molto intrecciati tra loro. Ora stiamo iniziando nuove collaborazioni con le università di Zurigo e di Basilea e ovviamente anche con l’USI».

Veniamo al fiore all’occhiello tra i film restaurati che vedremo a Locarno: La Paloma di Daniel Schmid in Piazza Grande…
«Sì, La Paloma è un film mitico nella storia dell’opera del regista grigionese. Il restauro è stato più complesso del previsto perché è stato girato in 16 mm e ancora una volta è risultata fondamentale la collaborazione con il direttore della fotografia Renato Berta che ha seguito la color correction. Simbolicamente è un film importante perché ha fatto scoprire Schmid ovunque a livello internazionale. Schmid aveva un rapporto molto forte, sia con la Cineteca, essendo molto amico di Freddy Buache, sia con il Festival di Locarno, dove ha presentato quasi tutti i suoi film e che gli ha dato un premio alla carriera. Quindi proiettare questo film in Piazza simboleggia il costante rapporto tra la Cineteca e il Festival che del resto sono quasi coetanei. Non bisogna però dimenticare un’altra opera importante di un grande regista svizzero: Si le soleil ne revenait pas di Claude Goretta. È un film che è stato un po’ dimenticato, perché Goretta iniziava a lavorare sempre più spesso per la televisione, ma si tratta di un film con un cast eccezionale - Charles Vanel, Philippe Léotard e Catherine Mouchet - ed è un ottimo adattamento del celebre romanzo di Ramuz. oltre che uno degli ultimi ruoli di Charles vanel al cinema».

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